A volte basta molto poco per tuffare la mente nel passato e percorrerne tutti i meandri tortuosi che si sviluppano immediatamente.
La memoria restituisce meraviglie fatte o vissute in anni lontani. Basta un semplice cartoncino colorato – una cartolina particolare – ed ecco nascere subito qualcosa che non è soltanto un pensiero.
Osservare una cartolina dei giardini pubblici con l’immagine del trenino che portava i bimbi in giro per viali e vialetti è soprattutto un’emozione legata a questo ricordo.
Gianni Golfera sostiene che per fissare i ricordi occorra metterli in relazione con qualcosa che dà emozione.
Ed emozione pura provavano i bambini di Alessandria nel farsi scarrozzare dalle vetture che delicatamente percorrevano il consueto tragitto di terra battuta.
I poveracci che non avevano la possibilità di salirvi provavano emozione anche soltanto guardando il convoglio che, carico di novelli Lucignoli e Pinocchi, seppure non fosse diretto al Paese dei Balocchi, lentamente procedeva laddove il traffico di macchine moto e biciclette era vietato. Sì, anche chi non poteva salirci per mancanza di materia prima se ne ricorda! Eccome se se ne ricorda! Forse costui ne ha memoria anche in misura maggiore di quei figli di papà che durante tutto il pomeriggio si potevano divertire sul trenino senza – per questo motivo – intaccare minimamente le risorse di famiglia.
Per ricordare il trenino occorre avere all’incirca una sessantina di anni di età (o anche più).
Chi negli anni ’60 / ’70 era già adulto magari non se ne ricorda per il motivo di non averci fatto caso o probabilmente perché impegnato altrove.
Invece i nati negli anni ‘50 di sicuro quel trenino lo hanno perfettamente delineato nei ricordi.
So per certo di aver visto l’allegro convoglio centinaia di volte senza esserci mai salito.
Forse ero già troppo grande per provar gioia nel farmi condurre tra le profumate aiuole o forse, più probabilmente, non ci ero mai salito per il motivo che appartenevo alla categoria dei diversamente figli di papà. Oggi non si possono più usare le parole con il loro esatto significato, per il timore che qualcuno si possa offendere.
Non si deve dire che non salivo sul trenino perché ero spiantato come un fante da picche…
Non potrei assolutamente dire che non avevo una lira da cacciarmi in un occhio… e via discorrendo.
Non si può più dire così!… Gli spiantati e i poveracci potrebbero offendersi…
Così come i ciechi non devono più essere chiamati ciechi ma non vedenti… (sempre ciechi, purtroppo per loro, rimangono).
Non si può dare dello spazzino a questo o quello, seppure il lavoro praticato da questa o da quella persona sia di ramazzare la città dall’alba fino a fine turno…
Operatori ecologici! Ecco come devono essere appellati!… Anche se – a dire il vero – di ecologico ai novelli spazzini resta ben poco, essendo dotati di macchine a motore che – a volte – invece di pulire fanno esattamente l’opposto, lasciando scie oleose e sporcizia dovunque.
E i negri non si possono più chiamare negri… per il motivo che i negri… potrebbero offendersi, anche se comunque la loro pelle resta sempre scura e sono pur sempre negri.
Ho pensato a lungo a questa cosa, a questo ragionamento.
Una volta un bambino a cui parlavo di una persona di colore… mi aveva chiesto “di quale colore”? Eh, sì, perché la definizione moderna, se ci fate caso, dice e non dice. Anche la definizione stessa “si nasconde dietro un dito”… seppure un dito di colore.
E come la mettiamo parlando di un bambino… di colore? Non lo si può più chiamare negretto… che pure era una simpatica definizione. Ma l’italiano non pesca direttamente dal latino? Anche i dialetti lo fanno!
In Calabria, in dialetto, il colore nero viene ancor oggi definito nigru. E non si offende nessuno…
Non voglio aprire la discussione parlando di nomi ed aggettivi nati dal termine che sto prendendo in considerazione. Studiando la storia come dovrebbero esser definiti i negrieri? E in antropologia da quale vocabolo dovrebbe essere sostituito il termine negroide?
La casistica può proseguire all’infinito parlando, ad esempio, dei diversamente abili, dei non udenti, dei non deambulanti, delle donne della pulizia (quelle che una volta erano riconosciute da chiunque con l’appellativo di serve) e via di questo passo.
Ci avreste pensato che, iniziando a parlare di una cartolina con trenino nei giardini pubblici, ci saremmo trovati a parlare del metodo Golfera e di eufemismi egualitari? No? Nemmeno io.
Ve lo dice un diversamente piemontese nato ad Alessandria da genitori… diversamente polentoni. Insomma, ve lo dice un terrone, intanto lui non si offende!
Il pezzo d’epoca
25 ottobre. (Gagliaudo). – Una distrazione che costa cara. – Stamane giungeva in Alessandria, reduce dall’America, certo Bruno Giov. Batt., d’anni 48, di Sezzè. Trovandosi nei giardini pubblici e volendo soddisfare ad un urgente bisogno corporale, entrò nel cesso e depose attraverso l’architrave della porta una cintura di cuoio, che teneva attorno la vita.
Uscitone, ed entrato in città, s’accorse, con dolorosa sorpresa, di aver dimenticata la cintura. Ritornò prestamente sui suoi passi, ma giunto al luogo dove l’aveva lasciata non la trovò più.
Incontratosi presso il cesso con due individui, ne chiese loro contezza, ed essi lo mandarono dal proprietario di uno di quei baracconi che si trovano presso la stazione, il quale per tutta risposta gli chiese se era matto.
Ognuno potrà comprendere il dolore del povero contadino quando sappia che quella cintura conteneva venticinque sterline: unico peculio ch’egli portava al suo paese dalla lontana America.
[La Stampa – Giovedì 26 Ottobre 1899]