Immagina il grande scrittore argentino Jorge Luis Borges, nei suoi “Nove saggi danteschi”, che Dante Alighieri abbia messo su tutta la gran macchina della Divina Commedia quasi solo per raccontare di aver visto, al di là dei Mondi di morte, il sorriso di Beatrice. Tutto il poema per dire d’un sorriso: per l’ultimo sorriso dell’amata morta e ritrovata oltre l’Oltremondo. L’amore per quella Beatrice conosciuta a nove anni da Dante era stato narrato nella “Vita Nova”, che contiene anche il racconto della morte della donna.
Tanto grande è Padre Dante che possiamo permetterci di leggere la sua opera quasi senza curarci della sua grandezza. Mi sia consentito qui concentrarmi banalmente sulla trama: il romanzo di Beatrice, che comincia con i sospiri per la bellissima fanciulla nella chiesa fiorentina nella “Vita Nova”, trova il suo epilogo fuori dallo spazio e dal tempo nella “Comedía” nella contemplazione del beato e beatifico sorriso della Santa nella piú grande espressione d’amore che opera d’uomo mai abbia creato.
Il capitolo centrale della straordinaria trilogia che è il romanzo di Beatrice, fra la “Vita Nova” ed il Poema, è il “Convivio”.
Come a scuola si studia, il “Convivio” è un prosiritmo incompiuto che avrebbe dovuto esser costituito di quindici trattati, quattro dei quali furono effettivamente scritti mentre i restanti undici sono rimasti solo impliciti nel progetto irrealizzato. Non stupisce che, cosí descritto, il “Convivio” non sia al vertice delle classifiche di vendita.
Nella grande e complessa opera filosofica che è il “Convivio”, Padre Dante riprende però la straordinaria vicenda spirituale e sentimentale della “Vita Nova” dal punto cui s’era interrotta: dalla promessa fatta a sé stesso – cioè – di «dire di Beatrice ciò che non fu mai detto d’alcuna». Il “Convivio” è proprio questa novità assoluta del dire d’amore.
Alla morte di Beatrice, l’amore del Poeta si rivolge alla Filosofia, vera destinataria delle Canzoni del “Convivio”: la lotta fra i due amori di Dante – Beatrice e la Donna Gentile che è la Filosofia – si risolve qui nella vittoria della seconda, alla quale però in un certo senso l’ha portato la prima. Le Canzoni che aprono i trattati che costituiscono le parti dell’opera sono proprio l’espressione di questo tanto sublime e sublimato sentire.
L’opera, incominciata nei primi anni dell’esilio politico (e filosofico) dall’odiatamata Firenze, era concepita come un grande banchetto – il “convivio”, appunto – in cui in Volgare d’Italia l’Autore imbandisce anche ai dilettanti della grande Cultura (purché d’animo gentile) quelle vivande filosofiche delle quali dai trattati latini non raccolgono che le briciole. Il primo trattato, d’introduzione, apre il simposio e presenta il progetto e la questione della Lingua; i tre successivi (ed avrebbero dovuto esser quattordici) si aprono ognuno con una Canzone, che poi la prosa commenta analizzandone il portato filosofico (rispettivamente: l’amore per la Filosofia, la Sapienza e l’amore nobile, la Nobiltà morale).
Estrinseco alle singole opere è, però, il capitolo fondamentale di tutto il romanzo di Beatrice: c’è un punto in cui l’autore Dante Alighieri lascia incompiuto il “Convivio”, a nemmeno un terzo del programma iniziale; ed inizia a scrivere il grande Poema cui «ha posto mano e Cielo e Terra» e che certo a ragione chiamiamo divino: perché evidentemente la struttura speculativa della serie di trattati non poteva bastargli piú, né poteva piú convincerlo un sistema dominato dalla Filosofia umana e nel quale l’amore per Beatrice fosse sostanzialmente vinto da quello per un’altra.
La lettura dell’intera serie (“Vita Nova” – “Convivio” – “Comedía”) è percorrere la storia di una formazione intellettuale e spirituale che, nella sua realtà vissuta, possiamo solo immaginare d’intuire, per quel che conta.
Lasciato cosí interrotto lo speculativo capitolo degli innamorati trattati filosofici, inizia il viaggio unico del Poema. La sospensione della scrittura del prosiritmo non è però, per me, qualcosa d’incompiuto, ma lo snodo fondamentale della trama: il ritorno totale a Beatrice. Ciò che, insomma, vorrei con leggerezza proporre qui è una lettura integrata delle tre opere, ed in particolare di quanto tacciono: il punto trasfigurativo in cui l’anima si volge su sé stessa e su quanto ha percorso è in ciò che nel “Convivio” non è detto, nel sollevarsi del calamo al termine del quarto Trattato per non calare piú sul principio del quinto, al quale altro si sostituisce a «dire di Beatrice ciò che non fu mai detto d’alcuna» (“Nel mezzo del…”).