di Enrico Sozzetti
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La sanità a volte è strana. Ti cura bene, ma lo fa in ambienti spesso vecchi e malandati. Dove invece è tutto moderno e ipertecnologico magari a volte si verificano errori clamorosi e sviste macroscopiche. Come dire, il vestito non fa il monaco. E sì, la sanità è strana. Come quando viene bandito un concorso per tre posti da infermiere e ad Alessandria arrivano in tremila. Con una tempistica rispettata pressoché in tutto tra selezione e prove e alla fine arriva la novità: l’azienda ospedaliera del capoluogo assumerà 52 persone e 12 operatori sociosasanitari. Ancora poco, certo, rispetto alle necessità di un ospedale di specialità e che opera su un bacino di oltre seicentomila persone che comprende le province di Alessandria e Asti. Si possono capire le parole di Giovanna Baraldi, direttore generale dell’azienda ospedaliera ‘Santi Antonio e Biagio e Cesare Arrigo’ di Alessandria: “Siamo molto orgogliosi di queste assunzioni che ci permetteranno di rispondere in modo ancora più appropriato ai fabbisogni di salute di cittadini e pazienti, ma anche dell’elevato livello che hanno presentato coloro che sono stati selezionati e inseriti nella graduatoria. Una graduatoria che sarà utilizzata sia dall’azienda ospedaliera di Alessandria, ma anche dalle altre aziende del Piemonte”. Anche questa è una novità. Chi ha investito in un concorsone pubblico dai numeri enormi ha delle opportunità in più per trovare lavoro. La politica trova spazio per esprimere soddisfazione con Domenico Ravetti, consigliere regionale alessandrino e presidente della Commissione regionale Sanità che parla un processo di riorganizzazione del sistema sanitario pubblico e privato finalmente avviato. Un processo “che non è terminato e che merita particolari attenzioni tutti i giorni per evitare errori soprattutto in territori complessi come quello della provincia di Alessandria”.
Vero. Vero che il territorio è complesso. Vero che gestire la sanità con i parametri di una azienda manifatturiera non è il massimo della vita, per i pazienti come per gli operatori. Però questo è il sistema italiano che fra mille problemi, a volte incompetenze, burocrazia asfissiante e spesso inutile, interessi e poteri forti, riesce comunque a garantire cure e prestazioni a tutti, e mediamente di buon livello, come non avviene in molti altri Paesi europei (per non parlare delle Americhe). Eppure è altrettanto vero che ancora troppi non capiscono che è finita la stagione dell’ospedale sotto casa. E non è solo una questione di riorganizzazione come sta avvenendo in Piemonte. Come a Casale c’è il comitato spontaneo ‘Presidio Sanità’ steso sulle barricate per difendere l’ospedale ‘Santo Spirito’, a Tortona e ad Acqui non mancano mobilitazioni popolari, oltre a quelle politiche. Ma molti di questi strenui difensori del campanile sanitario forse non sanno che la scelta di privilegiare una struttura ospedaliera piuttosto che un’altra la fanno per primi i pazienti. Una cosa è avere un presidio di pronto soccorso sul territorio per affrontare la prima emergenza, un’altra cosa è la specialità che ti salva la vita grazie a esperienza, competenza, affidabilità, sistema. Certo, la buona sanità passa anche attraverso una buona struttura. E qui ad Alessandria le cose non sono proprio ottimali. Però la risposta deve essere sempre quella di ‘cosa fa’ l’ospedale e non ‘dove è’. Conta cosa avviene nei reparti, nei laboratori, nelle sale operatorie. Una volta non ci si scandalizzava quando si facevano i ‘viaggi della speranza’ per andare in Svizzera piuttosto che negli Stati Uniti d’America. Tolte alcune, ovvie, eccezioni, per effettuare un intervento o una visita specialistica oggi invece basta percorrere qualche decina di chilometri. Le difficoltà non mancano. Le strade sono a volte piene di buchi e i servizi di trasporto approssimativi. Prezzi da pagare di una sanità italiana che comunque resta una delle più affidabili. Nonostante tutto, Italia per prima.