Perchè voterò sì al referendum sulle trivelle

É abbastanza noto per che domenica prossima, 17 aprile, sia stato indetto un referendum abrogativo che, per semplicità, interessa alcuni impianti di trivellamento che operano nel Mediterraneo e che estraggono idrocarburi.

Citando il sito lavoce.info, «gli elettori dovranno decidere se i permessi per estrarre idrocarburi in mare entro 12 miglia dalla costa (poco più di 22 chilometri da terra) debbano durare solo fino al termine della concessione. Oggi la legge prevede infatti che le concessioni abbiano una durata iniziale di trenta anni, prorogabili una prima volta per altri dieci, una seconda volta per cinque e una terza volta per altri cinque; al termine della concessione le aziende possono chiedere la proroga fino all’esaurimento del giacimento».

Dicevo in apertura di questo articolo, il voto di domenica è “abbastanza” noto e il tono non può che essere di disappunto. Come spesso accade in Italia, il referendum è utilizzato dagli schieramenti politici non come opportunità per approfondire un tema e proporre una discussione pubblica sulla questione, ma come test di apprezzamento verso questo o quel Governo o, peggio, contro questo o quel presidente del Consiglio.

Eppure la vicenda che interessa il prossimo quesito referendario è complicata da capire e difficile da interpretare, per questo motivo avrebbe (avuto) bisogno di maggior approfondimento e di una migliore e più capillare copertura mediatica, specie in televisione.
Domenica, infatti, si tratterà di esprimere una propria idea riguardo ad un ambito – quello della politica energetica nazionale – di capitale importanza per qualsivoglia Paese e per i cittadini che la abitano. Oltretutto in Italia, come le notizie delle ultime settimane contribuiscono a farci capire, il rapporto con l’approvvigionamento e l’uso di energia appare un settore in cui la politica sembra avere sempre meno voce in capitolo, a favore di poche grandi aziende che fanno valere fin troppo il loro potere di lobbying.

Per la prima volta non si tratterà di un referendum voluto dai cittadini ma da nove Regioni che hanno impugnato una Legge dello Stato sulla quale non erano d’accordo, dando la possibilità ai cittadini la possibilità di decidere.
Inizialmente i quesiti erano 6, scesi poi ad uno solamente (quello su cui saremo chiamati a votare domenica) in seguito alle modifiche del Governo alla propria Legge; tali modifiche hanno accolto le istanze dei richiedenti e, nel merito, hanno dato ragione chi quei quesiti aveva ideato e presentato.

Proprio per la forte valenza politica di cui questo referendum è stato caricato, le notizie inesatte si sono susseguite specie sui social network, luogo in cui sempre più persone attingono informazioni ma in cui la cosiddetta “bufala” è dietro l’angolo.
Così, ad inquinare il voto del prossimo 17 aprile, sono stati soprattutto tre temi che ritengo giusto commentare:

 se dovesse vincere il SÌ, non si causerebbe una perdita dei posti di lavoro legati alle operazioni di estrazione di idrocarburi, per il semplice fatto che le operazioni in oggetto, come già affermato sopra, non si interromperebbero immediatamente ma arriverebbero a scadenza; durerebbero insomma ancora qualche anno.

 se dovesse vincere il SÌ, l’Italia non tornerebbe, né domani né mai, all’“età della pietra”. Gli idrocarburi estratti dalle piattaforme oggetto del referendum incidono pochissimo sui nostri consumi: se si considera il 2014, stiamo parlando del 2,1% dei consumi nazionali derivanti da gas e dello 0,8% da petrolio.

 particolarmente buffa ho trovato la bufala delle trivelle croate nel mare Mediterraneo: sì, bufala e in quanto tale neppure meritevole di smentita (se volete leggerla, potete trovarla qui: http://www.glistatigenerali.com/energia-economia-reale/le-trivelle-croate-che-non-lo-erano/) ma che merita un passaggio per il messaggio che rischia di passare. In generale, se altri Stati decidono di operare scelte che io ritengo sbagliate nel metodo e nel merito, nessuno mi convincerà che seguirle ed uniformarmi a queste sia una buona idea.

In chiusura di articolo, la mia posizione. Domenica 17 aprile io mi recherò alle urne e voterò SÌ al referendum abrogativo.
Ritengo che, seppur il quesito abbia un minimo impatto sulla nostra politica energetica nazionale, l’eventuale vittoria del sì possa essere interpretata come un segnale importante per ripensare la stessa. É un SÌ che guarda al futuro, alla costruzione di un futuro diverso.

Ripensare il nostro modo di produrre e consumare energia è fondamentale; sia per una banale questione di sfruttamento di risorse non rinnovabili e in esaurimento, sia per l’impatto che l’utilizzo di tali risorse ha sull’inquinamento del nostro ambiente.

Molti Paesi in Europa e nel mondo stanno investendo ingenti risorse in ricerca e sviluppo di nuove forme di energia rinnovabile, stanno incentivando i comportamenti virtuosi e stanno educando i cittadini ad un uso consapevole dell’energia.

Investire in solare, eolico, idroelettrico, cogenerazione e trigenerazione da fonti rinnovabili, e in generale continuare ad incentivare l’efficienza energetica, può senz’altro contribuire a migliorare la nostra qualità della vita e creare nuovi posti di lavoro in Italia.

Io voterò Sì perché è quanto posso fare, nell’immediato, per dire al mio Paese quanto sia necessario ed utile ripensare la nostra politica energetica nazionale.

 

Walter Ottria
consigliere regionale PD