di Enrico Sozzetti
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La costanza degli imprenditori? Una virtù. Il cambiamento? Una opportunità da cogliere. Le previsioni dell’indagine congiunturale trimestrale di Confindustria Alessandria? Tutti gli indicatori sono positivi. La rilevazione, cui hanno partecipato novanta imprese su circa cinquecento associate, mostra un risultato, come rileva Luigi Buzzi, presidente di Confindustria Alessandria, complessivamente “costante rispetto ai precedenti trimestri, con qualche lieve scostamento nei dati quantitativi, ma non nel ‘sentimento’. Questo non vuol dire che, da un anno a questa parte, le condizioni di scenario in cui i nostri imprenditori operano siano immutate”.
Interpretare la congiuntura, prevedere, nei limiti temporali del possibile di una economia mondiale profondamente rivoluzionata, le evoluzioni possibili, innovare e progettare: per le imprese sono le sfide quotidiane. Certo, non tutti le affrontano nello stesso modo. C’è chi guarda al domani, chi a medio termine, chi non si accontenta di un ordine a breve termine, chi sfida i cambiamenti e rinunciando alle comodità di una gestione ordinaria punta dritto verso mercati nuovi e tutti da scoprire. In fondo è tutto qui. E’ la semplice differenza tra chi sta dietro al bancone e attende che qualcuno entri nel negozio e chi si mette in mezzo alla strada per convincere un nuovo cliente che forse non sarebbe mai entrato. Non che la classe imprenditoriale sia esente da colpe! Però non tutti oggi si accontentano dei piccoli passi modesti e dalla scarse prospettive.
A Casale, a fronte della volontà manifestata dal sindaco, Titti Palazzetti, di mettere a fuoco una proposta alla multinazionale Amazon per offrire uno spazio che potrebbe arrivare fino a trecentomila metri quadrati (ma dove siano oggi non è però ben chiaro) c’è chi non vede di buon occhio un insediamento che potrebbe in realtà impoverire il territorio alla luce della tipologia di attività e della qualità del profilo lavorativo. Al contrario, non mancherebbero purtroppo ostacoli e difficoltà di dialogo sui fronti di sviluppo legati all’innovazione e all’ampliamento di attività esistenti. In ogni caso, l’insediamento di Amazon lo vogliono tutti: se a Novara il fronte del ‘no’ è forte, ma unicamente per via delle prossime elezioni amministrative (e nessuno decide a pochi giorni dal voto, nemmeno i decisionisti renziani come il sindaco Ballarè), dopo Biella, con il presidente della Provincia, Emanuele Ramella Pralungo, che ha scritto ad Amazon Italia, anche la città di Carisio è scesa in campo.
Mentre c’è chi guarda al futuro, ci sono altri che scendono in campo con battaglie di retroguardia e di difesa di quello che è ormai è indifendibile. Sono i sindacati confederali che sotto la guida dei segretari generali di Cgil, Cisl e Uil organizzano una manifestazione pubblica sabato, alle 9.30, in piazza Castello a Casale per “tenere alta l’attenzione sul sito produttivo della Bistefani ormai prossimo alla chiusura dopo la decisione della proprietà, il gruppo Bauli, di trasferire la produzione di merendine e biscotti a Verona”. A parte il fatto che le decisioni sono state prese alla luce di decisioni industriali che in larga misura erano previste e prevedibili il giorno dopo l’accordo del 2013 per la cessione dello storico marchio casalese, i sindacati, con una nota, chiosano ancora “le polemiche e strumentalizzazioni, alimentate nelle settimane scorse sui giornali, sui social e anche per bocca di esponenti politici, non servano e sono dannose. Deve prevalere da parte di tutti senso di responsabilità e concretezza, per non alimentare il già pesante clima di sfiducia presente nel nostro Paese verso la politica, le istituzioni e, in generale, alle forme di rappresentanza collettiva”. Singolare che Cgil, Cisl e Uil si mettano a difendere le istituzioni, ma lo devono fare proprio loro? Oppure i sindacati pesano sempre meno e i lavoratori vanno avanti per conto loro in modo autonomo e si tenta così l’ennesima manifestazione per dimostrare di esistere? In effetti, sui social non sono mancate parole particolarmente critiche rispetto alla gestione sindacale della vicenda Bauli/Bistefani e sono risultate evidenti le fratture tra le categorie cui fanno riferimento i lavoratori diretti e quelli degli appalti esterni di pulizie e servizi.
Imprese, sindacati e poi la pubblica amministrazione. Ad Alessandria uno degli sport più diffusi non è la bicicletta (peraltro difficile nella pratica quotidiana a causa di viabilità e buchi tali da mettere alcune strade al livello di quelle di Sarajevo al termine del conflitto), bensì quello della demolizione. Così come è successo alla Borsalino o al vecchio ponte Cittadella, prossimamente accadrà al manufatto ‘ex Zerbino’. Chiamato così dall’amministrazione comunale, è al centro della prossima discesa in campo delle ruspe. A nulla è valsa la proposta di un gruppo di imprenditori “pervenuta dopo la chiusura dei termini di un apposito bando pubblico” precisa Palazzo Rosso che comunque aveva “ritenuto opportuno sospendere temporaneamente la decisione dell’abbattimento dello stesso ex Zerbino e del Piccadilly, per verificarne la effettiva fattibilità”. Il sindaco, Rita Rossa, afferma di non avere ricevuto ulteriori riscontri dai proponenti e anzi “apprende da organi di informazione che anche le condizioni ribassate non sono considerate sostenibili dal gruppo”. Il fatto è che la stessa amministrazione diffonde il comunicato precisando di avere incontrato gli imprenditori. O c’è qualcuno che non racconta tutto, oppure le cose sono andate diversamente. Infatti, prima Rossa dice che “una buona e sostenibile proposta progettuale sarebbe stata esaminata con interesse”, quindi che “ora dobbiamo riprendere il percorso e non possiamo permettere più a lungo che i due maggiori e più fatiscenti manufatti restino ancora al loro posto senza una accertata e credibile possibilità di diverso uso. Porteremo al più presto in Consiglio comunale la proposta di abbattimento di ex Zerbino e Piccadilly e di indizione di una nuova gara per il Cangiassi”. Quindi i problemi sono scaricati sui dirigenti cui “la legge assegna responsabilità” nella gestione di “procedure regolate da specifiche norme”. Non viene invece fornita alcuna cifra. Dagli imprenditori sono stati, al contrario, snocciolati alcuni numeri: “Per tentare l’impresa di un recupero della struttura avremmo dovuto spendere quasi 1,8 milioni di euro solo di fideiussioni bancarie, alle quali aggiungere almeno sessantamila euro per le licenze, non incluse nel bando, più altre spese ingenti per gli oneri di urbanizzazione e altre tasse. A questi avremmo dovuto poi sommare i centotrentottomila euro chiesti dal Comune e altri ventottomila circa da versare a chi aveva redatto il bando. Sono cifre assolutamente insostenibili”.
Sullo sfondo resta il quesito circa chi realmente oggi può governare il Paese: i burocrati o la politica con gli amministratori che la dovrebbero tradurre in fatti? Non vorremmo sia solo un quesito alla Marzullo.