di Enrico Sozzetti
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“Sia nell’ambito politico che economico, la selezione della classe dirigente appare operare principalmente attraverso meccanismi di cooptazione e/o relazionali piuttosto che tramite meccanismi di mercato basati sul merito. Appare allora coerente che la raccomandazione ricopra un ruolo precipuo tra le modalità d’ingresso nell’occupazione. Mentre in sistemi diversi dal nostro essa svolge un utile ruolo di segnalazione in quanto coinvolge la reputazione del segnalatore, nel nostro sistema diventa un meccanismo di rafforzamento di una rete relazionale autoreferenziale, cui appartiene sia il raccomandante, che il raccomandato”. Parole tratte da ‘Chi è classe dirigente in Italia’ di Daniele Checchi, professore in Economia politica all’Università statale di Milano.
Chi è e cosa deve fare davvero la classe dirigente di un Paese? Gestire l’ordinaria amministrazione come se fosse l’ennesima rivoluzione copernicana? Oppure programmare, progettare, pensare al futuro di una intera comunità (sia un Comune, sia una nazione)? Ad Alessandria riesce difficile ragionare anche in questi termini. Ogni analisi si scontra subito con i personalismi, le visioni di parte, i limiti culturali e di una politica che ha una visione che difficilmente supera il confine municipale. Le recenti discussioni su possibili fronti di sviluppo lo stanno dimostrando ancora una volta. Per la logistica, per esempio, Alessandria aspetta che siano gli altri (Regione, Ferrovie dello Stato, Governo) a dire quello che vogliono fare, manifestando un egocentrismo e una autoreferenzialità imponente invece di prendere armi e bagagli e andare a proporre idee, progetti, proposte operative come avvenuto in passato.
La gestione comunale è un altro esempio. Si parla con orgoglio di risanamento dei conti. E’ vero. Ma è anche vero che dopo avere dichiarato il dissesto non c’era che questo unicamente da fare. Alessandria è stata così gestita per quattro anni in modo blindato, peraltro per legge, con l’amministrazione impegnata in molti annunci e poca sostanza. Il ponte Meier? O si costruiva o si perdevano i fondi. L’intervento di risanamento con il Pisu? O si faceva o si perdevano i finanziamenti. La bonifica del teatro? O si faceva con le risorse (anche esterne) che c’erano oppure si poteva mettere una definitiva pietra tombale sull’intero edificio. La gestione delle società partecipate? Decisioni in larga misura obbligate perché l’Amiu (rifiuti) era in fallimento, l’Atm (trasporti) è tecnicamente fallita – entrami sono servizi pubblici essenziali – e le alternative non erano molte, salvo drastici interventi prefettizi.
Quello che può fare la differenza è il ‘come’ si fanno le cose. E qui si entra sul terreno dell’analisi, ma quando si comincia a percorrerlo ci si scontra con il muro di chi non vuole nemmeno mettersi a discutere perché si ritiene unico depositario della verità assoluta. Poteva essere gestito in modo diverso (anche solo sul piano della comunicazione) l’imponente cantiere del ponte Meier? Forse sì. Si potevano prevedere per tempo intoppi tecnici che hanno allungato di mesi il lavoro? Forse sì. Si potevano compiere scelte diverse per l’urbanizzazione di via Dossena? Forse sì. Si poteva evitare di dire più volte (salvo poi correggersi all’ultimo minuto) che ‘sarebbe stato riaperto il teatro’, mentre sta avvenendo, pur importante, solo per un paio di sale e il foyer, mentre per la quella grande ci vorranno milioni di euro, piani finanziari e gestionali, tempi lunghi e alleanze con privati che per ora non sono nemmeno all’orizzonte?
Se si pubblica quello che si vuole vedere, va tutto bene. Se la cronaca c’è, va tutto bene. Ma se i giornalisti iniziano a esercitare il diritto di critica (non strumentale e fine a se stessa), allora apriti cielo. La Treccani spiega che criticare significa “sottoporre a esame critico, esprimere un giudizio (e s’intende per lo più sfavorevole)”. Vero. Ma quel ‘sfavorevole’ lo deve essere in modo costruttivo. Altro è ricerca la censura, il ridire su, ma senza argomentazioni. Se un atto della pubblica amministrazione viene esaminato, controllato, analizzato, lo si fa nell’interesse del cittadino, della trasparenza, della democrazia. Non per simpatie o antipatie.
Essere classe dirigente significa condividere un patrimonio di idee, di progetti, di visioni che si muovono nell’ambito del più generale interesse pubblico. Significa operare, pubblico e privato, in un contesto di sistema finalizzato alla crescita e allo sviluppo. Se questo è il quadro generale, stimolano delle riflessioni le parole che Giorgio Abonante, assessore alla Programmazione a al Bilancio del Comune di Alessandria, ha affidato a una pagina web e che è stata rilanciata da quelle dell’onnipresente Facebook. “Vogliamo davvero interrogarci sulla classe dirigente del territorio? Vogliamo davvero capire come si forma e quali sono i meccanismi di selezione? Facciamolo pure, tenendo presente che il punto di partenza – scrive Abonante – non può che essere quello che c’è e non quello che vorremmo che ci fosse. Si lavora con chi c’è. Se davvero si vuole far crescere un sistema occorre valorizzarne gli aspetti positivi e criticare quelli negativi. Con equilibrio e onestà intellettuale”. E già verrebbe da osservare subito che nessuno vieta, se quello che c’è non è il massimo, di cercare qualcosa di meglio altrove.
Ma non è tutto. Abonante appare stufo di chi guarda alla ‘fatal Novara’, come scrive lui stesso, “dimenticandosi tutte le analisi di sistema che vedono la città piemontese beneficiare da decenni di economie specifiche sull’asse Torino – Milano, inaccessibili per un capoluogo come il nostro, al netto di tutti gli errori fatti nell’alessandrino”. Ma allora, viene da chiedersi, chi per decenni ha parlato del famoso triangolo industriale Torino – Milano – Genova ha sbagliato? Se per avere fortuna bastava un lato solo del triangolo, allora era sufficiente scegliere quello giusto. A Novara non è tutto rose e fiori, non ci sono fenomeni, solo una società che cerca, in mezzo a mille problemi, di alzare il profilo dell’orizzonte.
E a proposito di sistema, ancora Abonante: “Parlare di sistema, termine che presuppone una certa complessità, un qualcosa di costruito nello spazio e nel tempo, senza spendere una parola su quel pericolosissimo ‘Sistema Alessandria’ costruito in troppi anni di silenzi anche da chi oggi sembri rimpiangere (il riferimento è a chi scrive, dr), lascia (di nuovo) perplessi. Un sistema che il centrosinistra, nessun altro, ha avuto il coraggio di chiudere tirando una riga e proponendo a tutta la città un percorso diverso, che ha bisogno ancora di impegno e idee ma che non si poteva portare a regime nel breve termine. Ed è proprio dallo smantellamento di quel sistema che stanno prendendo vita tutta una serie di azioni strutturali, in particolare sulla filiera rifiuti, che iniziano a produrre risultati. E che dire di Atm? Siamo noi che abbiamo scelto già nel 2012 di riportare nei limiti della sostenibilità le risorse destinate dal Comune ai trasporti e parcheggi quando tutti in precedenza non avevano fatto altro che mettere la testa sotto la sabbia. Lo abbiamo fatto in ritardo? Forse sì, ma lo abbiamo fatto, e ora si deve gestire una fase difficilissima, ma dalla quale non si uscirà come si faceva in passato con costi assurdi caricati sempre sulla fiscalità generale”.
Nel ripensare alle parole iniziali di Daniele Checchi sulla formazione della classe dirigente italiana, viene giusto da aggiungere che uno statista è “uomo, donna di Stato, persona che ha una profonda esperienza, teorica e pratica, dell’arte di governare uno Stato”. Fonte: Treccani.