di Enrico Sozzetti
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Alessandria famosa nel mondo grazie al nome Borsalino. Alessandria che guarda al declino dell’azienda e ai tumultuosi cambi di proprietà senza fare una mossa. Alessandria che osserva con occhi distaccati, nel 1987, al crollo della ciminiera e all’abbattimento dell’intera area industriale del cappellificio, ma con molta più attenzione alla valorizzazione edilizia e commerciale dell’ampia area occupata dallo stabilimento, segno di interessi evidentemente più redditizi. Alessandria che celebra (mercoledì 13 aprile, alle 19, al Cinema Teatro Alessandrino), la Borsalino.
Oggi è sempre la stessa città che rimette sugli scudi un simbolo internazionale? Sì. Lo sta facendo con un documentario. Lo sta facendo con una discreta manifestazione di interesse da parte della pubblica amministrazione. Lo sta facendo grazie a Philippe Camperio, 44 anni, imprenditore italo-ginevrino (la famiglia è originaria milanese), attivo nel settore del lusso, che con la nuova proprietà “rappresentata da un collettivo di investitori” (come ricorda un comunicato dell’amministrazione comunale) ridarà vita allo storico marchio e allo stabilimento che ha sede nella zona industriale D5 a Spinetta Marengo.
“Dear vittorio, you may remember me…my name is Robert Redford. Così inizia la lettera che Robert Redford scrisse a uno degli eredi della famiglia Borsalino per richiedere il cappello che aveva visto indossato da Mastroianni in ‘8½’ di Fellini. In questa lettera è condensata la storia del cappello Borsalino: un oggetto fatto con amore e passione ad Alessandria, una piccola città di provincia del nord Italia, e sbarcato poi in tutto il mondo fino a diventare esso stesso sinonimo di cappello e salire nella sfera del mito”.
Così si legge sul sito dedicato al film documentario ‘Borsalino City’ della torinese Enrica Viola che in 75 minuti rende omaggio al cappello e racconta di come il sogno imprenditoriale di Giuseppe Borsalino abbia fatto innamorare “la fabbrica dei sogni”, il cinema, e reso il Borsalino il cappello più celebre nel mondo.
Ma Alessandria è anche la città che non è riuscita a rilevare, nemmeno costituendo una apposita compagnia finanziaria, la Borsalino finita nelle mani di imprenditori astigiani. Ed è sempre Alessandria che ha fatto vivere solo l’azienda del passato, celebrando se stessa in foto in bianco e nero, in eventi che hanno ripercorso il grande mecenatismo della Borsalino, nei ricordi ripetuti del ‘come eravamo’. Però di futuro, niente. Se “Torino non ha nulla che parli di vino del Piemonte”, come ha recentemente dichiarato in modo molto franco Sergio Chiamparino, presidente della giunta regionale, Alessandria certo non parla dello storico cappello. All’ignaro turista che sbarca per la prima volta in città si mostra solo una flebile traccia dello storico passato. Il Palazzo Borsalino oggi, per fortuna, è occupato dall’Ateneo del Piemonte Orientale che presidia l’ultima storica testimonianza. Il museo del cappello ha invece avuto vita difficile fra rarefatte aperture e un futuro molto proclamato e per ora solo sulla carta di una nuova sede, sempre all’interno del palazzo omonimo.
Questa è l’Alessandria che chiede per bocca degli amministratori di Palazzo Rosso agli imprenditori di essere più propositivi, ma sui fondamentali rischia sempre di scivolare. Oggi c’è Philippe Camperio con progetti di sviluppo industriale e rilancio dell’immagine. Lui vuole fare del capoluogo il palcoscenico di una rinnovata stagione internazionale del cappello più famoso al mondo. Ad Alessandria tocca, se ci riesce, fare la propria parte.