di Pier Luigi Cavalchini
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Siamo arrivati al termine delle trasmissioni di Scala Mercalli (seconda edizione) e ci pare doveroso un bilancio d’insieme.
Di fronte ad una tale messe di informazioni, video, interviste, schede ecc. non si può che chiedere di “fermarsi un momento a ragionare”. C’è infatti il pericolo di “veder sfrecciare” tanti contenuti senza avere il tempo di metabolizzarli e farli fruttare.
Sembra una banalità… ma tutta la difficoltà a cambiare (nel piccolo come nel grande) deriva soprattutto dallo scarso tempo – e impegno – che diamo al ragionamento, preferendo di gran lunga l’integrazione nel “pensiero comune” e rinunciando a priori ad ogni possibilità di cambiamento.
Un approfondimento, sugli stessi temi, con aggiornamenti e “riprese” in altre trasmissioni, potrebbe essere l’ideale. Ad esempio inserendo cinque minuti in ogni Telegiornale (di qualsiasi testata) dedicati ad approfondimenti sui progressi nelle energie rinnovabili, sulle possibilità di accesso a finanziamenti per iniziative virtuose (dall’installazione di pannelli solari, all’acquisto di auto ibride o elettriche…) fino alle indicazioni possibili per correggere le nostre abitudini alimentari. Lo stesso potrebbe succedere in programmi di “confronto politico-sociale” (da quelli di Vespa ai non-stop di Floris) oppure in “pubblicità progresso” esplicitamente puntate ad un maggior rispetto di se stessi, della propria e dell’altrui salute e, ovviamente, dell’ambiente.
Fantascienza? Non proprio. E la struttura dell’ultima puntata ne è un segnale.
Si parte da una analisi della crisi globale del pianeta che trova una delle sue maggiori motivazioni nella disorganica sovrappopolazione del pianeta, passato in poco più di cento anni da un miliardo complessivo di abitanti a più di sette. Concetto ben chiaro fin dai tempi del “Club di Roma” e dalle prime pubblicazioni di Aurelio Peccei che, non a caso, fu all’avanguardia nel segnalare i problemi insiti alla inurbazione forzata con annesse complicazioni (dal rifornimento/distribuzione di acqua e cibo, alla creazione di una efficiente rete di trasporti e di infrastrutture).
Nel caso specifico Luca Mercalli, come sempre sicuro e preciso, dopo essere partito dalle contraddizioni delle megalopoli asiatiche, è passato al drammatico abbandono di intere aree industriali (e a volte degli stessi centri urbani limitrofi) così come è avvenuto in Inghilterra e nella – una volta – industriosa Detroit. Sono riportate esperienze di recupero di aree inglesi – ex industriali , devastate da detriti e erbacce – riportate “a giardino” con l’obiettivo di farne orti per i cittadini o, almeno, aree destinate al passeggio e allo svago. Il termine tecnico è “Hants Farm” ma si capisce che si tratta di soluzioni di volta in volta diverse a seconda delle aree da rinnovare e bonificare.
Tutta questa attività di rivitalizzazione di aree dismesse porta dritto al recupero di “rifiuti inerti”, mattoni, parti di caseggiati o fabbriche, strutture in cemento, che – se correttamente trattate – possono ritrasformarsi in materie prime perfettamente riciclabili, come la sabbia e il ghiaietto, oltre a ferro e altri metalli.
Così, con ancora negli occhi le immagini dei nuovi slums postindustriali, con la velocità che caratterizza la trasmissione eccoci catapultati in Tirolo, nella ridente Austria. A Innsbruch e zone limitrofe è, infatti, in atto da una decina d’anni un’operazione finalizzata al risparmio energetico generalizzato, combinato con un complessivo miglioramento della qualità della vita. Abbiamo abbondanza di documenti, immagini e interviste che ci raccontano di impianti fotovoltaici ormai diventati d’auso comune, di procedimenti per raffreddare/riscaldare le case assolutamente non energivori, di edilizia naturalistica, di orientamento degli edifici e di costruzioni con materiali particolari. Soprattutto di realizzazioni che possono avere una percentuale di riciclo superiore al 95%, con parti in vetro, cemento, ferro, alluminio, legno ecc. studiate in modo da avere il minore impatto possibile.
Un passo importante verso una “impronta ecologia” minima, molto al di sotto di quelle di altre aree industrializzate.
A questo si collega Roberto Cavallo con una “pillola” tutta dedicata al recupero del vetro e all’importanza che questa attività ricopre. Non si devono, così, ricercare e scavare milioni di metri cubi di nuova sabbia, non si provocano alterazioni ai letti dei fiumi e non si aumenta l’erosione delle coste marine… tutte piccole cose, prese una per una, ma con un valore immenso nel loro insieme.
Si cerca di dare continuità e forza alla “comunicazione” con riferimenti a realizzazioni concrete riprendendo spesso ciò che hanno detto e scritto illustri ecologi, importanti economisti e scienziati. Dopo le citazioni di fondatori ed epigoni del Club di Roma si è deciso di chiudere il ciclo di sei puntate con un riferimento d’eccezione: la scrittrice Naomi Klein, più volte citata anche nelle precedenti puntate.
E’ Gianfranco Bologna, presidente del WWF Italia, a ricordarne alcuni passaggi, con cui terminiamo le nostre considerazioni.
Nel suo libro “Perché il capitalismo non è sostenibile. Una rivoluzione ci salverà” la Klein è perentoria: “il capitalismo non è più sostenibile. A meno di cambiamenti radicali nel modo in cui la popolazione mondiale vive, produce e gestisce le proprie attività economiche – con i consumi e le emissioni aumentati vertiginosamente – non c’è modo di evitare il peggio.”
Sa benissimo che tutta la particolare situazione che ci troviamo a vivere ha motivazioni che vengono da lontano, perciò, con decisione le ribadisce e le fa conoscere fino in fondo ben sapendo che “rappresentano una minaccia estrema per quell’élite che tiene le redini della nostra economia, del nostro sistema politico e di molti dei nostri media.”
La via d’uscita che intravvede Naomi Klein non è una Green Economy all’acqua di rose, ma una trasformazione radicale del nostro stile di vita.
“Nessuno di noi ha mai pensato seriamente di lasciare da parte la macchina, di mettere in stand-by gli apparecchi di casa, o di non prendere l’aereo e optare per il treno. Il massimo che facciamo è andare in bicicletta (ma solo se non fa freddo) e fare la raccolta differenziata. Come se fosse una scelta responsabile e personale, e non una necessità. “
Certo, già un inizio, ma rischia di essere un inganno se non riusciamo ad andare oltre.
“Ci sono solo fatti: è un fatto, ad esempio, che da quando è stato ratificato il protocollo di Kyoto le emissioni carboniche siano aumentate del 57%; è un fatto che i paesi ricchi delocalizzino le produzioni inquinanti nei paesi in via di sviluppo, emettendo sei volte di più; è un fatto che le emissioni della Cina siano 671 mg/die, quando il limite di pericolosità è fissato a 25; è un fatto che le compagnie petrolifere continuino a trivellare impunite progettando di farlo ancora per più di 40 anni; è un fatto che nel 2014 il 12% dell’energia globale derivi dal nucleare e solo il 4% da fonti verdi.
Ma è un fatto anche che la transizione globale verso il 100% di energia verde è «attuabile sia tecnicamente che economicamente entro il 2030». La dura verità è che, semplicemente, il sistema economico e il sistema planetario sono in conflitto: il capitalismo – sostiene la Klein – ci ha tagliato le radici, facendoci sprofondare in una ipnotica spirale dell’eterno presente, in cui si è stati abituati a sacrificare ciò che ora non è più sacrificabile. “
Un richiamo durissimo ad una maggiore consapevolezza, alla coscienza che il “treno che passa” con tante indicazioni e suggerimenti può essere l’ultimo e, proprio per questo, ne dobbiamo moltiplicare gli effetti.
Non si tratta di “catastrofismo”, solo della dura realtà (…dei fatti).