Il libro che non può assolutamente mancare sul comodino di un cultore di storia locale (e non solo) ha un titolo molto evocativo: “Il regalo del mandrongo” dei fratelli Pierluigi ed Ettore Erizzo[1]. L’opera, pubblicata per la prima volta nel 1948, è stata scritta a quattro mani fra il giugno del 1940 e l’aprile del 1944, quando gli Erizzo, a causa della guerra, erano sfollati nella casa di campagna di Montespineto a Serravalle Scrivia.
“Il regalo del mandrogno” rientra a pieno titolo nella categoria del romanzo storico, in quanto abbraccia un periodo di tempo molto ampio: dalla battaglia di Marengo, passando attraverso le guerre d’Indipendenza, sino a lambire la Seconda guerra mondiale. Nondimeno, è un’appassionante saga che coinvolge ben quattro generazioni delle famiglie Montecucco, Raimondi, Bailo, Baventore e Cadeo. Gli avvenimenti, che si svolgono principalmente tra Alessandria, Casale Monferrato, Genova e la Fraschetta, sono narrati per mezzo delle vicende dei diversi protagonisti, molti dei quali destinati a rimanere per sempre nei cuori dei lettori: la sfortunata Rosina, la bella e coraggiosa Paoletta, il combattivo legale Cesare Cadeo, senza dimenticare la figura epica dello “zio Canonico”.
Il volume è suddiviso in tre romanzi ognuno dedicato a un personaggio di una diversa epoca, alternati a intermezzi, preceduti da un prologo e seguiti da un epilogo. Il racconto prende inizio dalla nomina di due avvocati (alter ego degli autori) quali esecutori di un bizzarro testamento redatto da un anziano zio misantropo ed egocentrico, Policleto Montecucco[2], che decide di lasciare ai figli soltanto la legittima, dividendo tutto il resto del patrimonio fra quattro persone apparentemente prive di rapporti tra loro: “è, più che lecito, giusto che il Testatore del suo peculio disponga a favore di quanti conservino in sé, sia pure per vie ascose, la miglior linfa della imporrita pianta”.
Tale incombenza li porterà, attraverso il successivo esame di vecchie carte scovate in un armadio collocato presso la tenuta familiare, a dipanare un vero e proprio “giallo” fatto di intrecci familiari, segreti e sensi di colpa. Ma l’evento che si rivelerà il nocciolo dell’intera storia riguarda l’ufficiale napoleonico Isidoro Chènousset, gravemente ferito durante la battaglia di Marengo del 14 giugno 1800[3], che viene trasportato su una carretta condotta da un mandrogno nella casa del Cucco per essere curato. Il soldato francese costituirà appunto il “regalo” ricordato nel titolo del libro.[4]
Dall’amore tra Isidoro e la padrona di casa Rosina Bosio, moglie di Giovacchino Montecucco, nascerà un bimbo con i capelli rossi, e il colore dei capelli sarà il filo rosso (è proprio il caso di dirlo) dell’intero romanzo. Le varie figure che si incontrano via via nelle intense pagine vengono illustrate mediante una meticolosa analisi psicologica dei loro caratteri. Sono, altresì, molto curate le descrizioni dei luoghi, così come quelle degli oggetti: la pendola del Cucco, la moneta d’oro regalata da Mayno della Spinetta[5] a un fanciullo, il gioco dei tarocchi, e tanti altri ancora.
La trama del libro – purtroppo ancora non sufficientemente conosciuto a livello nazionale[6] malgrado il costante passaparola tra i lettori – richiama un altro capolavoro della letteratura italiana, vale a dire “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. “Il regalo del mandrogno” è dunque un romanzo di cui si consiglia vivamente sia la lettura che la rilettura[7] – senza peraltro farsi scoraggiare dal notevole numero di pagine e da una parte iniziale forse po’ lenta[8] – in quanto ha il dono prezioso di far sorridere e sognare al tempo stesso. E chissà se un domani qualcuno non pensi anche a una trasposizione televisiva di questa bella storia ambientata nel nostro territorio.
_____________________________________________________
[1] Pierluigi (1884-1962) ed Ettore (1895-1979) Erizzo, discendenti di una illustre famiglia veneziana trapiantata nel Basso Piemonte, hanno svolto con successo la professione legale a Genova. Oltre a “Il regalo del mandrogno”, hanno scritto altri libri, tra cui “ La vita dell’avvocato”.
[2] Diversi scrittori hanno utilizzato un atto di ultima volontà quale escamotage letterario. Tra questi, John Grisham che ha pubblicato nel 1998 “Il testamento”, che narra appunto di una contesa giuridica tra gli eredi di un grosso lascito testamentario.
[3] Quando ormai il generale von Melas si era convinto di aver vinto a Marengo (aveva infatti inviato a Vienna un dispaccio comunicando la bella notizia), il generale francese Louis Charles Antoine Desaix piombò di sorpresa sulle ormai stanche truppe austriache e nel giro di breve tempo le sorti della battaglia furono completamente rovesciate e Marengo si trasformò in una formidabile vittoria di Napoleone. Ma come fece Desaix, che si trovava con le sue truppe a Novi, ad arrivare in tempo? A tale proposito sono state formulate diverse ipotesi (ad es. quella secondo cui il generale si mosse nella direzione laddove provenivano i colpi di cannone). Nella ricostruzione letteraria dei fratelli Erizzo, il merito, inconsapevole, va Isidoro Chènousset, il quale, inviato a cavallo a cercare l’aiuto del generale Lapoype, sbaglia clamorosamente strada e incontra invece Desaix, che in tal modo riesce a intervenire con successo.
[4]“Mandrogni” sono chiamati da sempre gli abitanti della Fraschetta. Una popolazione di spiriti liberi, spesso insofferenti alle leggi, caratterizzati da un talento per il commercio che praticavano spostandosi da un luogo all’altro grazie alle loro carrette.
[5] Tra i briganti piemontesi che “infestarono” la regione nord-occidentale italiana tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo, quello più ricordato dalla tradizione popolare è senz’altro Giuseppe Antonio Mayno detto Mayno della Spinetta, noto anche come “l’Imperatore della Frascheta”. Nel 1803, diciannovenne, sposò la nipote del parroco di Spinetta, tale Cristina Ferraris. Secondo alcune fonti, la sua attività di fuorilegge ebbe inizio proprio il giorno del suo sposalizio, quando, al termine del banchetto, avrebbe ucciso un soldato francese. Forse, più prosaicamente, divenne fuorilegge per renitenza alla leva obbligatoria. Come Robin Hood, Mayno, insieme alla sua banda (composta da oltre duecento uomini), trovò rifugio nei boschi della Fraschetta e poté contare sull’appoggio incondizionato della popolazione locale. In quel periodo, il brigante compì diverse spettacolari rapine, tra cui spicca quella ai danni della comitiva di carrozze al seguito di papa Pio VII, transitato ad Alessandria mentre si recava in Francia per l’incoronazione di Napoleone. Il 12 aprile 1806, informati da un traditore, i soldati francesi circondarono “l’Imperatore della Fraschetta” mentre si recava a far visita alla casa della moglie. Per non cadere prigioniero, come ogni eroe che si rispetti, Mayno si tolse la vita.
[6] Nel dicembre 2012, l’Associazione culturale “La Frascheta” di Pozzolo Formigaro ha organizzato un incontro dal titolo: “Futilità e memorie attorno al romanzo. Il regalo del Mandrogno”; nell’occasione è stata proposta una rilettura del romanzo.
[7] Secondo Joan Fuster (scrittore spagnolo, 1922-1992): “il solo modo serio di leggere è rileggere” .
[8] Umberto Eco poneva l’accento sul fatto che per poter apprezzare in pieno “Il Nome della rosa “ occorresse superare lo scoglio delle prime cento pagine.