di Pier Luigi Cavalchini
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E siamo arrivati alla quinta puntata di ScalaMercalli (seconda edizione) con l’impressione ancor più marcata di essere – noi italiani – alla periferia del mondo. Pure i nicaraguegni rappresentati nella loro giusta opposizione al nuovo progetto definito “Secondo Canale Interamericano” ci mostrano una maggiore coscienza ecologica, una sensazione di appartenenza alla Terra che noi abbiamo dimenticato e che, tristemente, ci rende ancor più consapevoli della nostra incapacità di reazione.
La trasmissione è inclemente e non ce ne risparmia una: continuiamo nella grande opera ferroviaria “AltaVelocità-AltaCapacità Torino Lione” ben sapendo che le richieste attuali sono altre, che è il traffico pendolare quello si muove di gran lunga di più, che esiste già una linea ad Alta Velocità che collega, con pochi rallentamenti, Parigi a Milano in sette ore, ma “ormai è deciso” e si va avanti. Luca Mercalli non calca la mano su una questione, quella delle “grandi opere”, che ha dimostrato nel tempo tutte le sue contraddizioni. Si limita a dei suggerimenti: bene il trasporto su rotaia, bene l’utilizzo della ferrovia in alternativa al trasporto su gomma (che vede l’Italia al secondo posto in Europa per numero di mezzi e tonnellate circolanti su strada), benissimo il trasporto per nave attraverso quelle che sono definite “le autostrade del mare”.
I numeri ci vengono continuamente in aiuto e ci dicono che il tasso di inquinamento di una tonnellata di carico portata per mare è un cinquantesimo inferiore al trasporto su gomma, che ora è possibile avere ottime navi con sensibili risparmi di carburante a parità di prestazioni e, riprendendo esempi provenienti dalla Norvegia, è pronta una trazione efficiente e sicura sul mare totalmente elettrica. Meraviglie della tecnica e dell’innovazione che noi guardiamo da spettatori in terza serata, ben oltre la mezzanotte (data la concomitante posticipazione dovuta all’‘ora legale’). Un po’ come quei bambinoni un po’ cresciuti, sempre a corto di soldi, con il naso attaccato alla vetrina della pasticceria più bella della città. Il provincialismo è duro a morire…
Sempre sul tema della mobilità sostenibile il programma si lancia in una “promotion” della trazione elettrica, sia diretta con batterie ricaricabili, sia tramite l’”hybrid”, cioè il sistema che integra le batterie con il recupero di energia da frenata e decelerazione. La visita alla giapponese “Toyota” di Nagoya è illuminante, come pure il riferimento ad “una diversa concezione della mobilità” che trova nella città di Tokyo una delle sue massime espressioni: più di dieci milioni di abitanti che al 75% utilizzano mezzi pubblici efficienti, un’ottantina di linee della metropolitana e, soprattutto, attenzione ad integrare i servizi con ambiti lavorativi e abitativi adeguati, ad alta efficienza e a costi energetici minimi. Ahi, ahi. Questa volta i “giapponesi per anni in attesa della fine della guerra”, invecchiati e tagliati fuori dal mondo, siamo noi.
L’attenzione va, poi, ad un’altra fonte ormai ben collaudata, l’idrogeno. Viene presentato, fra altre realizzazioni, il sistema di bus all’idrogeno di Amburgo, nella Germania del nord; ne viene specificato il funzionamento rendendo più chiaro il rapporto con la fonte primaria di approvvigionamento elettrico (visto che è necessaria, a metà processo, l’elettrolisi). E qui, riprendendo un argomento delle precedenti puntate, il riferimento alle energie rinnovabili è d’obbligo. In pratica, prima si ottiene energia dal solare e dall’eolico (o dall’idroelettrico classico) poi si procede con la trasformazione in idrogeno per motori. Un mondo nuovo, fondato su differenti modalità di vita e di movimento. Una realtà già viva in nord Europa (la Norvegia è già oggi con il trenta per cento del parco macchine elettrico, seguita da Olanda, Giappone e Germania…) ma che stenta ad attecchire altrove, non solo in Italia. E i motivi non stanno nella “cabala” o nel destino.
Abitudini vecchie… dure a morire, costi consistenti dei nuovi sistemi aggravati da mancanza di programmazione, mancanza di domanda continua, ostacoli burocratici, legislativi e industriali di ogni genere.
Al riguardo, uscendo dallo stretto ambito della trasmissione, può essere utile considerare quello che è appena successo a Los Angeles (il giorno 23 marzo) davanti alla sede di uno dei giornali più diffusi. Nessuno ne ha parlato, non c’è stata una riga sui vari “televideo” che infestano le nostre reti né, tantomeno, un qualche accenno da parte delle autorità di governo. Quello che è accaduto ce lo racconta un giornalista irlandese, Neil Briscoe, del “The Irish Times”, di ritorno dagli States.
Un gruppo di manifestanti, circa un migliaio – ordinati e organizzati come solo gli americani sanno essere – ha invitato i proprietari del Los Angeles Times a non vendere il giornale – ora in difficoltà – ai fratelli Koch visto che sono fra i principali fautori del mantenimento dell’uso dei combustibili fossili e fra i più solleciti ad ostacolare l’incremento di auto elettriche. Una segnalazione di imbarazzo che ad altre latitudini avrebbe suscitato poco clamore e invece, nell’assolata California, trova qualcuno disposto a metterci la faccia.
L’impero dei Koch ammonta a 115 miliardi di dollari di entrate all’anno e proviene soprattutto dai pozzi petroliferi e dalla commercializzazione dei derivati del petrolio. Una “potenza” che si troverebbe in forte difficoltà se ci fosse un decisivo cambio di abitudini verso altri tipi di motorizzazione, ad esempio quella “elettrica” e la “hybrid”. Un processo, di fatto, già in atto da tempo con incentivi statali consistenti
Per alcuni modelli auto elettriche, come la Volt Chevrolet si è arrivati a sconti di ben 9.000 dollari. Dal momento in cui, però, i prezzi della benzina sono calati, si è avuta un’inversione di tendenza del pubblico americano, tornato ai grandi SUV, ai “crossovers” e ai “pick up”. Si è, comunque,’ in mezzo ad un ‘guado’ e gli stessi costruttori di automobili, data la prossima adozione di una normativa più restrittiva in termini di emissioni (95g/km) pensano che sia vicino un ‘ritorno alla grande’ dei prodotti “elettrici”. Interessante, a questo punto, il peso che vanno ad assumere le tax rules locali.
Alcuni Stati, tra cui la Georgia, hanno deciso di interrompere il sostegno ad ogni nuovo acquisto elettrico (pari a circa 5.000 dollari), in contrasto con quanto suggerito dallo stesso Congresso americano, orientato ad arrivare a 10.000 dollari di incentivi.
Un segnale di rallentamento che ci giunge anche dall’Inghilterra, dove gli incentivi – per legge – a partire dal 2017 andranno solo ai veicoli a ‘zero-emissioni totali’ e non a tutti gli EV (veicoli elettrici).
Questo con buona pace del 30% norvegese già acquisito dal mercato delle “elettriche” e degli sforzi di alcune fra le principali industrie automobilistiche mondiali, addirittura più all’avanti dei loro governi.
Inoltre, i fratelli Koch sono parecchio preoccupati dal momento che i veicoli elettrici non si limitano più alle precedenti performance con ‘pieno batteria’ utile solo per 150 km ma, ormai, hanno nuove batterie che possono raggiungere i 400 km di autonomia. Un dato che va ad integrare quanto comunicato proprio nella quinta puntata di ScalaMercalli dove le interviste e gli approfondimenti si fermavano al limite di autonomia di 150 km , senza andare oltre.
In questa situazione di passaggio ogni attore cerca di giocare al meglio le proprie carte. I consumatori cominciano a capire che i vari tipi di vetture elettriche hanno molti più pregi che difetti, i petrolieri (come i fratelli Koch) tentano in tutti i modi di frenare il cambiamento suggerendo agli Stati (ultimamente anche all’Irlanda) di mantenere tassazioni inferiori per i veicoli diesel (meno 10 cent per litro), anche se si tratta di una tendenza in via dì superamento visto che l’Inghilterra e molti altri Stati non fanno più distinzione fra auto a diversa alimentazione , favorendo –nei fatti – lo sviluppo del comparto elettrico.
Da ricordare che tutto il “baraccone” dei veicoli derivanti da combustibili fossili beneficia di un contributo consistente (fonte F.M.I.) di ben 10 milioni di dollari ogni minuti, a livello planetario. Non solo.. secondo l’Agenzia Internazionale dell’Energia ben il 23% delle emissioni di CO2 proviene dal settore dei trasporti. Con la globalizzazione inoltre lo scambio di merci sta crescendo vertiginosamente, richiedendo sempre nuove e più imponenti infrastrutture, con impatti sull’ambiente che non possono essere trascurati. Ecco perché un futuro dei trasporti basato sulla sostenibilità è un’assoluta priorità. Come si è visto, basta volerlo.
Non me ne voglia il dottor Roberto Cavallo autore di una bella “pillola” sui sistemi di raccolta RAEE specifici per scarti informatici e telefonici, molto pertinente se si pensa alle attuali/future modalità di telelavoro e di sostituzione del “cartaceo” tramite archiviazione elettronica, ma il “nucleo” della trasmissione sta tutto nell’acquisizione di scelte che sono frutto di volontà politiche e strategiche, prima che tecniche. Certo…gli interessi in gioco sono molti e condizionano la nostra qualità della vita, magari sorridendoci e “narcotizzandoci” con due tre notizie ripetute all’infinito. Sta a noi conoscere il più possibile e, per quanto nelle nostre forze, divulgare le opzioni migliori…Alla prossima (ultima) trasmissione.