“Il corretto ambito territoriale da cui ripartire, se vogliamo lavorare con una prospettiva di medio lungo periodo, in sanità come in altri settori nevralgici, è quello dei distretti dell’attuale Asl: ossia 4 macro aree provinciali. Alessandria e Valenza, Casale e Monferrato, Ovada Acqui e Novi Tortona. E le figure capo-fila di qualsiasi riorganizzazione omogenea ci sono, eccome: sono i 7 sindaci dei nostri centri zona”. Con Mimmo Ravetti, consigliere regionale del PD (corrente ex Giovani Turchi, per chi ama o comunque segue la geografia politica del Partito Democratico), presidente dell’importante commissione Sanità (ma anche assistenza, servizi sociali, politiche degli anziani), ci si incontra per discutere di politiche regionali e territoriali per la disabilità ma, forse inevitabilmente, la riflessione si estende non solo alla sanità nel suo complesso, ma al tema assolutamente centrale del declino dell’alessandrino, e della sua reale o percepita marginalità rispetto al resto del Piemonte.
E qui Ravetti prova a fare un passo in avanti rispetto alla descrizione del solito quadro ‘d’insieme’, indicando non una ricetta salvifica, ma un metodo, e identificando appunto nella figura dei sindaci (Ravetti è stato fino a due anni fa, e per un decennio, primo cittadino di Castellazzo Bormida) il vero ‘perno’ cui spetta organizzare il rilancio del territorio: “è la figura centrale nel rapporto tra i cittadini e le istituzioni, e a casa nostra i 7 sindaci di Alessandria, Casale Monferrato, Valenza, Ovada, Acqui Terme, Novi Ligure e Tortona devono partire subito, senza indugi e assolutamente ‘alla pari’, per confrontarsi e mettere in campo proposte e soluzioni anche radicalmente innovative, a partire dalle mutate esigenze della popolazione, e ovviamente anche dal contesto di risorse scarse. Noi tutti che facciamo politica oggi abbiamo questa responsabilità: il nostro compito non è cercare di essere rieletti, ma portare avanti un progetto di trasformazione vera, in positivo. Perché è chiaro che per tanti ragioni questo sistema sul fronte sociale, sanitario, economico, non regge più. Nostra la responsabilità di creare le condizioni per modificarlo, in meglio: anche a rischio di subire critiche forti, e di mettere in gioco il consenso immediato”.
Consigliere Ravetti, ci chiarisca prima di tutto un elemento ‘di scenario’: la sanità pubblica piemontese è a rischio, o no? Ossia: nei prossimi anni faremo i conti con ulteriori tagli di risorse, e quindi di servizi ai cittadini?
Assolutamente no: quest’anno i fondi per la sanità piemontese sono 9 miliardi e 300 milioni di euro, e tali resteranno anche nei prossimi anni. Dovremo, semmai, utilizzarli meglio, e fare in modo che la qualità del servizio aumenti.
Come? Nella nostra provincia si arriverà ad avere solo due ospedali, ma di maggior qualità?
La questione sta in questi termini: la riforma Saitta ha dato determinate indicazioni ai direttori generali di Aso e Asl, a cui spetta ora il compito di confrontarsi con le diverse situazioni e necessità dei territori, e operare le scelte più razionali, e funzionali. Però, ripeto: non si tratta di ridurre servizi, ma di migliorarli in qualità e penetrazione. Sempre tenendo presente che la sanità è ospedaliera, ma anche territoriale, e che occorre lavorare su una forte integrazione tra i due livelli.
A Novara si sta realizzando un’avveniristica città della salute e della scienza, per Torino i soldi ci sono sempre. Alessandria invece avrà mai un nuovo ospedale?
Sappiamo in passato come è andata, ma il tema lo abbiamo riproposto di recente. Credo che un ruolo fondamentale lo debbano svolgere i sindaci dei 7 centri principali, trovando su questo come su altri temi essenziali una linea comune, e portandola avanti con determinazione. Non esistono preclusioni su Alessandria insomma, a nessun livello. Ma tocca gli alessandrini farsi sentire.
Parliamo di disabilità, universo variegato che interessa in provincia decine di migliaia di persone. Anche qui le risorse non sono in discussione?
Dipende. La riorganizzazione dell’erogazione dei servizi per le non autosufficienze è argomento delicato: fondamentale è che le autosufficienze siano considerate diritti, e che quindi ricadano nel campo della sanità. In quel caso le risorse devono essere garantite per legge. Più complicato lo scenario se le autosufficienze dovessero ricadere nell’ambito delle politiche sociali dei singoli comuni. Importante quindi che rimanga una competenza sanitaria.
Quanto ‘pesa’ in questo ambito l’innovazione tecnologica, e quanto si è pronti a incentivarla?
Tantissimo, la tecnologia è una leva che consente di accorciare sempre più la distanza tra abilità e disabilità, fino a tendere ad annullarla, questa distanza. Però il vero snodo credo sia porsi in maniera innovativa a livello di organizzazione, di sistema…
Ossia?
Abbiamo in Europa quattro modelli di welfare state, tutti sostanzialmente in crisi: quello socialdemocratico scandinavo, quello corporativo britannico, quello selettivo tedesco, quello ‘paternalistico’ dell’area del Mediterraneo, di cui facciamo parte. Come muoversi, in che direzione andare per cercare non solo di mantenere, ma di migliorare la qualità delle prestazioni per i cittadini? Credo che la strada non possa che essere una nuova dimensione, tutta da costruire, di welfare society, in cui lo Stato c’è sempre, ma si salda con le risorse che possono arrivare dal volontariato, e dalle Fondazioni, pubbliche e private. Pensando a casa nostra: abbiamo le strutture sanitarie pubbliche (Aso e Asl), c’è il polo universitario, ci sono le istituzioni (regione, comuni ecc), ma ci sono appunto anche le Fondazioni, e il mondo dell’associazionismo. Occorre trovare un nuovo paradigma, che metta queste forze a fattor comune, e consenta di realizzare un nuovo modello socio-assistenziale, ma anche di valorizzazione territoriale.
Tutto questo dovrebbero farlo i nostri sindaci, consigliere Ravetti? Siamo realisti…
I sindaci devono essere il fulcro, l’anima e il coordinamento di quella famosa cabina di regia di cui in tanti parliamo da anni. Non vedo altri soggetti altrettanto adeguati: e sì, credo che tutti i sette sindaci dei nostri centri zona (tutti del Partito Democratico, tranne Acqui Terme, ndr) siano potenzialmente adeguati, e debbano mettersi attorno ad un tavolo, senza perdere altro tempo, e provarci.
Se ci riuscissero, sarebbero sette giganti Ravetti…
(sorride, ndr) O sette giganti, o sette nani. Il tempo dell’ordinaria amministrazione è davvero finito, e noi tutti che facciamo politica dobbiamo metterci in gioco: prendendoci le nostre responsabilità fino in fondo, e facendo ciò che è necessario: a costo di non essere rieletti.
Ettore Grassano