Noi siamo il PD

Patrucco Giancarlodi Giancarlo Patrucco
www.cittafutura.al.it

 
Quando ho sentito Bersani dire, qualche giorno fa: “Noi restiamo nel PD…Noi siamo il PD. E’ una cosa diversa”, mi è subito venuto in mente quel western “Io sono Valdez”, in cui Burt Lancaster combatte a suon di fucilate le prevaricazioni di un gruppo di bianchi nei confronti degli ispanici in un angolo sperduto del West americano.

Finisce come nei films di quel genere: i cattivi sono più numerosi e meglio armati ma Valdez riesce a batterli e ad uccidere il loro capo, nonostante qualche dolorosa perdita fra i campesinos amici e dello stesso sangue suo.

Un’affermazione come quella di Bersani, infatti – Noi siamo il PD – di per sé traccia un solco, costruisce un recinto destinato a separare la sinistra del PD, quella cui appartiene Bersani, da tutti gli altri aderenti, nella fattispecie i renziani, che sono con ciò relegati al ruolo di intrusi, estranei, occupanti temporanei di un partito che non gli appartiene. Possono occuparne i vertici, possono avere la maggioranza in Direzione, ma i militanti, gli iscritti e i simpatizzanti non li riconoscono e non ne condividono le politiche.

Come ha detto D’Alema, prima di Bersani e dando fuoco alle polveri: c’èBersani un enorme assenteismo di sinistra. Gente che si allontana perché del gruppo dirigente non condivide gli ideali.
Insomma, Renzi e i suoi hanno una gestione oligarchica del partito, inciuciano con la destra, sbagliano la politica estera e nella politica interna tendono a spostare il PD su posizioni che gli sono storicamente estranee.

Più dichiarazioni di guerra di così, è difficile immaginare. Eppure, non mancherebbero argomenti meno ideologici e più concreti. D’Alema, Bersani, Speranza, Gotor esprimono infatti, tra un anatema e l’altro, anche preoccupazioni valide. Le loro perplessità sulla gestione di Governo, come la scarsa attenzione al Sud e ai ceti più deboli in generale, la tensione permanente con i Sindacati, l’annullamento della TASI e i 500 euro per i fabbisogni culturali dei giovani, senza tener conto di un principio cardine della sinistra come quello della giustizia distributiva, sono o dovrebbero essere al centro del dibattito. Un dibattito post-ideologico, magari, nel quale tutte le componenti possano confrontarsi e ricomporsi in una linea chiara, condivisibile e sperabilmente condivisa.

LancasterUna simile discussione comporterebbe necessariamente un bagno di umiltà, da parte dei Renziani ma anche da parte dei loro oppositori. Invece, dall’opposizione interna giungono – con l’eccezione di Cuperlo – solo e soltanto strali, accompagnati da reinterpretazioni della storia recente del PD francamente risibili. Lasciamo pure perdere l’accusa di arroganza portata da uno come D’Alema. Lasciamo perdere anche l’accusa di inettitudine in politica estera, su cui ci sarebbe comunque da dire perché il mondo nel frattempo è cambiato e dovrebbe accorgersene anche D’Alema. Non registriamo la battuta di Bersani, che accusa Renzi di governare con il “suo” centrosinistra, dimenticandosi i disastri che ha combinato nella gestione delle “presidenziali”. E attribuiamo alla vis polemica l’accusa di inciuciare con Verdini, dimenticando chi fu a fare il governo di unità nazionale con l’allora capo di Verdini: Berlusconi.

Ma, sul “Noi siamo il PD” è impossibile sorvolare. Quella frasetta da Giudizio Universale si erge come uno steccato tra chi è degno e chi non lo è, tra chi è riconosciuto parte degli eletti e chi prima o poi dovrà far fagotto e andarsene. Una specie di trasmigrazione alla rovescia: da Verdini a … Verdini o chi per lui.

Certo. A chi non piacerebbe trovarsi sempre tra amici, dove le idee sono in sintonia, ci si riconosce a prima vista e i cuori palpitano di un unico afflato. Dove non c’è bisogno di esami del sangue, che scorre rosso nelle vene con un po’ di falce e martello a nostalgico ricordo del vecchio Pci.

Ma la sinistra dovrebbe saperlo. Dovrebbe ormai aver imparato che i suoi steccati si trasformano ben presto in recinti, dove i primi ad essere rinchiusi sono proprio loro, mentre il mondo passa, guarda e se ne va. E’ capitato ormai troppe volte, nella storia del partito, per far finta che non succederà più.

Valdez combatteva i soprusi nell’unico modo possibile in quel mondo senza legge dove nessuno gli riconosceva neanche la dignità di un nome. Bersani vive in un mondo dove esiste la democrazia, esistono i diritti, le elezioni primarie e non primarie, il dialogo, il contradditorio, la possibilità di farsi conoscere e riconoscere. Basta che dica “Io sono Bersani”. Il resto è di più.