di Enrico Sozzetti
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Alessandria, Basso Piemonte. Il profondo nord è sempre qui. Con il capoluogo che si sta preparando al funerale dell’Atm, azienda di trasporto pubblico controllata al 94 per cento del Comune e per la quota restante dalle amministrazioni comunali di Torino e Valenza. Esequie che saranno declinate con una liquidazione della società al termine dell’assemblea straordinaria dei soci convocata per giovedì 17 marzo, alle 18, nello studio del notaio Ettore Morone di Torino.
La liquidazione è stata scelta perché almeno la politica tenterà di gestire il processo di transizione verso un nuovo soggetto che dovrà avere unicamente come scopo il trasporto pubblico locale. Trasporto che deve essere “modernizzato, razionalizzato e aperto a gare e a investitori privati” precisa Giorgio Abonante, assessore comunale alla Programmazione finanziaria. Degli atri servizi come il trasporto scolastico o dei disabili si vedrà. “Hanno caratteristiche e costi di gestione diversi” aggiunge. In fondo, lo stesso presidente dell’Atm, Giancarlo Quagliotti (veterano della politica, una vita nel Pci e poi nel Pd, consigliere di Piero Fassino, sindaco di Torino, con il quale da tempo Rita Rossa, primo cittadino di Alessandria, ha stretto un profondo legame politico) ha detto ai consiglieri della Commissione comunale Bilancio, riuniti per ascoltarlo con attenzione, che “il fallimento spoglia la politica dalle responsabilità, invece la gestione della liquidazione lascia nelle mani del Consiglio comunale e dell’amministrazione la responsabilità dell’indirizzo e delle scelte gestionali”.
Però c’è da fidarsi della politica? La domanda non appare né faziosa, né di parte se si analizza la storia dell’azienda alessandrina. Perché passano le amministrazioni, di ogni colore, ma nulla cambia. Anzi. La gestione è sempre la stessa, fatta di approssimazione, scarsa lungimiranza, decisioni prese per sistemare amici e consolidare temporanee alleanze politiche. “Quando sono iniziati a diminuire i trasferimenti regionali e altri contributi, qui non c’è stata alcuna riorganizzazione del servizio alla luce dei tagli. Tutto è continuato come prima. A Torino, invece, sono stati fatti interventi su alcune linee e rivisti dei servizi”. Le parole non sono né dell’opposizione, né di analisti o di manager. Parla sempre Quagliotti, voluto ad Alessandria da Rita Rossa per traghettare l’Atm verso un partner industriale come Gtt, ma che in tre mesi ha fatto i compiti, tirato le somme e deciso di abbandonare il tavolo. C’è da fidarsi di una politica che ha progressivamente ingigantito l’azienda (oggi ha 213 dipendenti) assegnando compiti che nulla hanno a che fare con il trasporto pubblico? Dagli ausiliari del traffico ai parcheggi: eccole le attività collaterali che hanno contribuito a peggiorare la qualità del debito e aumentare il disavanzo strutturale. Il Bilancio 2015 ha chiuso con otto milioni di deficit, frutto di cinque milioni riferiti a operazioni straordinarie e a tre milioni di squilibrio strutturale. “Atm produce debiti” sentenzia ancora Quagliotti, mentre snocciola altri numeri: 21 milioni di perdite in cinque anni, dieci milioni di debiti fiscali, 4.200.000 di debiti verso Amag. E quindi puntualizza che l’Atm “non ha linee di credito, nessuna banca la sostiene”. E c’è da credergli. Poi, il capitolo dell’occupazione. Come verranno garantiti i lavoratori durante il processo di liquidazione? “Gli esuberi non riguardano il trasporto pubblico locale” dice ancora Quagliotti, Quindi? “Il problema vero sono i parcheggi”. Che impiegano trentacinque persone e devono fare i conti con una perdita annua di gestione di oltre un milione, sui tre strutturali.
C’è allora da fidarsi di una politica che quando ascolta il presidente Atm raccontare che “solo a gennaio di quest’anno è arrivata la comunicazione del collaudo del parcheggio di via Parma a distanza di sei anni dalla conclusione dei lavori” non muove un muscolo e non reagisce? C’è da fidarsi di chi sente parlare di un mutuo annuo, sempre per via Parma, di novecentomila euro e di oltre sessantamila euro di costi fissi all’anno per il parcheggio di piazza Ambrosoli, senza un incasso anche solo minimamente coerente, e che ancora non muove un dito (parliamo della maggioranza, ma anche l’opposizione non va oltre a interpellanze e dichiarazionio molto roboanti però poco sostanziali)? C’è da fidarsi di una politica che non ha saputo (voluto?) cercare alleanze con altri consorzi di trasporto pubblico per ridurre sovrapposizione di corse sul territorio, ottimizzare i percorsi e trovare soluzioni come i biglietti integrati? Questa è la politica che vorrebbe magari portare un pezzo di Atm dentro al Gruppo Amag di Alessandria. Come, a quali condizioni, con quale occupazione, con quale gestione delle risorse, con quali accordi territoriali? Chissà…
Eppure non è difficile intervenire in un settore delicato come questo. A novembre,sempre in Piemonte, è andata in porto la fusione tra l’Ati di Saluzzo e la Seag di Villafranca, con una quota di minoranza assegnata a Gtt. La nuova realtà si chiama Bus Company, ha trecento dipendenti, duecento autobus di linea e trenta da autonoleggio, dieci milioni di chilometri di percorrenza e 7,5 milioni di utenti l’anno. “Nessun esubero, nessun trasferimento salvo qualche fisiologico adattamento alla nuova realtà. Il sindacato ha condiviso con noi questo passaggio e ha accolto questa sfida necessaria per rimanere competitivi in un settore ove è sempre più difficile la sopravvivenza”. Sono state le prime parole di Clemente Galleano, presidente e amministratore di Bus Company, dimostrando che si possono fare integrazione, aggregazione e positiva gestione pubblico – privata. Già. Basta volerlo.