Ormai tre fa sul mio blog grandetaxigiallo (ve li ricordate, i blog? Una specie di versione anni duemila delle radio private) ho citato Nick Hornby, non per la prima volta. Me lo sono immaginato giocare una partita di scacchi letterari con Tracey Thorn. Ora provo a riportarlo su un terreno a lui più proprio, il campo di calcio.
Nick Hornby, che ho amato follemente per ‘Alta Fedeltà’, ha cambiato e molto il modo di scrivere di calcio con Febbre a 90′
…E dopo magari dieci anni così, il Campionato diventa qualcosa in cui credi o non credi, come Dio. Ammetti che sia possibile, naturalmente, e cerchi di rispettare le opinioni di coloro che non sono riusciti a rimanere fedeli. Io, tra il 1975 circa e il 1989, non credevo…
…E poi era lì che faceva capriole, e io ero lungo disteso per terra, e tutti in salotto saltavano sopra di me. Diciott’anni , tutti dimenticati in un secondo.
Il calcio, anzi una squadra, per Nick l’Arsenal (che nell’89 rivinse dopo diciott’anni il Campionato con un gol segnato all’ultimo minuto) vissuto e raccontato come grande amore, sentimento e pure ossessione, che si incrocia con la vita tutta, anzi la domina tutta. Con leggerezza e ironia tutte british.
Mentre l’immaginazione latina caratterizzava quasi sempre il modo di scrivere di futbòl del Gordo, un altro che ha cambiato e molto il modo di raccontare il calcio.
Osvaldo Soriano, che ho amato follemente per ‘Triste solitario y final’, giornalista oltre che scrittore, argentino costretto all’esilio negli anni della dittatura, di futbòl ha scritto romanticamente, tantissimo.
…Alle undici della notte francese ero già in preda all’angoscia e tre ore dopo, a cose fatte, non mi era ancora passata. Chiedo scusa ai lettori per la faziosità e le stupidaggini che posso scrivere. Fino a pochi momenti fa stavo ancora festeggiando il titolo con urla che hanno svegliato i vicini e con tuffi di testa sul letto. Magico San Lorenzo, cazzo! (…) Non poteva non essere così: se uno lavora come il tecnico Héctor Vieira e riesce ad avere una rosa come questa, e se lassù c’è un Dio, allora il campionato non poteva essere di nessun altro.
Così ho immaginato una Inghilterra-Argentina letteraria tra i due, un campionato mondiale, e ho pensato che gli episodi determinanti il calcio ce li ha regalati davvero, e che sono stati racconto fin dal momento in cui sono accaduti, sul campo.
Il primo, che ricordiamo tutti o quasi, credo, è della partita di trent’anni fa, quando a decidere l’incontro ci pensò una volta di più Dio, o almeno la sua mano, sostituitasi provvidenzialmente a quella di un calciatore a cui Lui deve volere parecchio bene. Il gol con la mano di Maradona all’incolpevole Peter Shilton, che solo l’arbitro non vide, è stato negli anni filmato, rivisto, scritto infinite volte.
Meno ci ricordiamo di quel che successe cinquant’anni fa, nell’estate di Bobby Charlton, quando l’Inghilterra ospitò un mondiale che doveva vincere.
A decidere di fatto la partita fu l’espulsione del capitano Rattín, così ingiusta che per parecchi minuti rifiutò di uscire dal campo, e dovette essere scortato fuori dalla polizia. Gli argentini infatti chiamano quella partita el robo del sieclo mentre i tabloid inglesi (dove mediamente non scrive un Nick Hornby) si scatenarono: “latino lunatics”, “animals” e così via (anche perché si raccontò che i giocatori della albiceleste lasciarono il campo pisciando sulle pareti del tunnel di Wembley).
Due partite in cui molto contò l’arbitro. Forse sarebbe stato meglio affidare la direzione a William Brett Cassidy, il figlio di Butch Cassidy, che arbitrò il mondiale del 1942, che “non figura in nessun libro di storia. Si giocò nella Patagonia argentina, senza sponsor né giornalisti”.
“William Brett Cassidy insistette perché gli arbitri fossero autorizzati a portare un revolver per far rispettare la loro autorità. Poiché molti giocatori entravano in campo ubriachi e a volte armati di coltello, l’idea venne approvata.”
Ma questa è ancora un’altra storia, che il Gordo narra da par suo (in Pensare con i piedi).