Sessantenne, campano di nascita ma “cittadino del mondo”, con studi, docenze e, a volte, lunghi soggiorni all’estero per lavoro, il dottor Domenico Mercogliano non è una novità per i lettori di questa testata on line (dello scorso anno, per esempio, una dettagliata intervista su “forze” e “debolezze” della Sanità locale e nazionale, con un occhio particolare al suo particolare campo: la cardiochirurgia.
Il curriculum medico del dottor Mercogliano, nostro ospite per questo ragionamento su situazione attuale e prospettive della Sanità alessandrina, è di primissimo ordine.
Oltre che la sua apprezzata attività di chirurgo, attività legate all’informatizzazione della professione medica lo hanno, infatti, spinto a ricercare formulazioni di classificazioni clinico-patologiche originali e di facile comprensione per semplificare e velocizzare l’attività medica. Non solo, andando a riprendere una delle tante presentazioni a disposizione, si è interessato in prima persona al perfezionamento dei sistemi di “circolazione extra corporea”, (la CEC di cui sopra). Al suo attivo numerosi studi su miocardiopatie e trapianto cardiaco”, “trattamento delle complicazioni in cardiochirurgia “, “analisi e studi comparati sulle cardopatie congenite e acquisite”.
Una persona abituata a ragionare di cuore e, come spesso succede in questi casi, con un cuore “grande così..”. Ne è conferma la sua attività presso l’Ospedale “SS.Antonio e Biagio” che è continuativa e apprezzata, a coronamento di una carriera che lo ha visto impegnato sia nel settore privato che in quello pubblico.
Proprio questa “conoscenza ampia” della materia e delle varie situazioni in cui si trovano ad operare gli “operatori” del settore, rende il nostro interlocutore una fonte assolutamente autorevole…
Dottor Mercogliano, proprio grazie alla sua esperienza pluridecennale ci può aiutare a capire meglio quali sono i compiti della politica sanitaria nel suo insieme e come può essere possibile arrivare a miglioramenti e razionalizzazioni efficaci?
Prima di tutto tengo a sottolineare che è compito della politica avere la capacita’ di intercettare ed immaginare i bisogni di salute, per poter mettere in atto strategie di programmazione atte a rispondere alla domanda di salute.
E aggiungo, a scanso di equivoci, che è compito delle direzioni generali di Asl e Aso rispondere con cure appropriate ai bisogni di salute. I direttori generali, quindi, sapendo quali potrebbero essere le richieste di salute e le patologie acute emergenti facilitino quelle attività necessarie alla risposta più efficace ed efficiente.
Ci sta ricordando principi generali importanti ma che necessiterebbero di qualche dettaglio… Si viaggia “a vista” in questa fase di ristrutturazione oppure ci sono criteri e parametri precisi?
Gli indicatori Agenas misurano proprio l’insieme dei costi delle prestazioni, tenendo conto dei risultati (pure questi da verificare e certificare); in questo modo si conribuisce a spostare il problema di solo bilancio economico a quello più complessivo (e ben più rilevante) di bilancio di salute.
In estrema sintesi, giusto per far capire di cosa stiamo trattando, gli esiti misurano oltre alla bontà delle cure, l’appropriatezza delle stesse e la capacità della direzione di agevolare e – talvolta – aiutare gli operatori sanitari a raggiungere gli obiettivi.
Insomma… pare che, nell’insieme, le cose vadano abbastanza bene…(qui il dottor Mercogliano non perde un secondo nella risposta…)
….La riforma sanitaria piemontese è una buona riforma. Una serie di provvedimenti che hanno portato più benefici che danni; si può tranquillamente affermare che si tratta di una riforma fatta bene ma, come tante cose dell’amministrazione pubblica, comunicata molto molto male.
In che senso?
La riforma Balduzzi, a cui si ispira quella piemontese, sarebbe stata necessaria indipendentemente dalle necessità di bilancio. Si è trattato, infatti, di un complesso di provvedimenti presi solo al termine di una fitta serie di consultazioni con tutti gli organi competenti e, ovviamente, con il coinvolgimento degli operatori, di qualsiasi rango e specializzazione. Si tratterebbe, piuttosto, di potenziare quello che serve e depotenziare il rindondante e l’inutile.
Un’affermazione “facile” a cui dovrebbero seguire i famosi “fatti”.
Beh. E’ presto detto. La cura delle malattie acute, ad esempio, grazie al miglioramento culturale e tecnologico, è cambiata moltissimo nell’ultimo decennio. Potrà sembrare banale ma, vi assicuro, assolutamente calzante, visto la moltitudine di “vesti stracciate” davanti alle cardiologie chiuse o ridimensionate. Notizie di queste ultime settimane che andrebbero analizzate “caso per caso”.
Per esempio, l’infarto miocardico, o meglio la “sindrome coronarica acuta” (come si chiama oggi) non si cura più con l’attento monitoraggio in unità coronarica, ma viene trattato presso il centro hub mediante angioplastica primaria. Un sistema sicuramente più efficace e con percentuali di risoluzione ben maggiori dei procedimenti precedenti…
Nei fatti (visto che si faceva riferimento ai “fatti”) tutto ciò ha reso desuete le unita’ coronariche periferiche che, comunque, potrebbero trasformarsi in postacuzie e letti per il trattamento per lo scompenso cronico.
Quindi, si tratta di un cambiamento di prospettiva che permetterà un migliore servizio all’utenza? E’ così?
Anche qui bisogna intendersi. Un conto sono le indicazioni di principio e, come in questo caso, i buoni propositi, avvalorati da anni di studi e sperimentazioni positive, un altro le realtà che ci troviamo a fronteggiare giorno per giorno.
Anche qui Le chiediamo qualche esplicitazione in più…
Sarebbe necessario incrementare la capacità recettiva dell’ospedale hub, che ha caratteristiche differenti dai nosocomi a cui siamo abituati. In questo discorso può innestarsi il progetto nuovo ospedale in Alessandria. Un’occasione per un rilancio del servizio sanitario capillare, abbinando ad una possibile razionalizzazione una contemporanea revisione di protocolli e sistemi operativi. Un’eventualità che ci permetterebbe di fare un salto di qualità non indifferente.
D’altra parte ciò che vale per l’infarto miocardico vale anche per l’ictus cerebrale ischemico e il politrauma grave. Tutte patologie che vanno di norma inviate all’ospedale hub.
Perciò questa nuova fase che si sta – comunque – aprendo ci riserverà più vantaggi che penalizzazioni…
Spesso abbiamo visto peggiorare il servizio a fronte di operazioni di accorpamento o “abbinamento” discutibili… Oggi i tempi sono maturi per interventi ragionati e di qualità. “Razionalizzare” dovrebbe significare miglioramento ed efficientamento del sistema; e questo, a mio avviso, si otterrà solo quando la rete ospedaliera della provincia di Alessandria ed Asti avrà un’unica direzione generale e quando verranno scorporate dall’Asl le c.d. “alte specialità”. Mi riferisco a cardiochirurgia, neurochirurgia che rendono l’ospedale, per l’appunto, hub e che andrebbero potenziate e rese uniche nel quadrante, almeno come strutture pagate con soldi pubblici.
Se abbiamo capito bene… si tratterebbe di arrivare ad una rete di servizi con molte eccellenze in vari settori ben distribuite sul territorio, evitando di avere “tutto” (ma di poca qualità) in centri grandi e piccoli…
Proprio così. I doppioni non servono e possono essere spreco di risorse allorquando la mission guadagno sostituisce la mission cura, venendo meno l’appropriatezza dell’intervento in favore del guadagno.
Per questo motivo, e anche – per la verità – per molti altri, è decisivo il “Programma politico regionale” emanato di concerto con la direzione generale dell’assessorato alla Sanita, che parte da una situazione pregressa a macchia di leopardo e che cerca di far quadrare i conti mantenendo uno standard sanitario di qualità.
Ma siamo nelle condizioni reali (ecco qui ritornare i “fatti”) per intraprendere un percorso di questo tipo?
Mah… io sto ai fatti e agli “stanziamenti previsti”. Sulla base di questi impegni ci sarà una consistente distribuzione di risorse economiche e strutturali, con strumentazioni di alta tecnologia che – nei fatti – determinerà il futuro non solo di Alessandria ma di tutto il Piemonte. Un vecchio adagio ci ricorda che “bisogna immaginare il futuro per non essere impreparati domani” e a questo dovremmo attenerci. Anche – e soprattutto – in vista di una serie di strutture ospedaliere di grandissima rilevanza con eccellenze ben distribuite e con “aree vaste” che dovranno avere tutti i sistemi appropriati per continuare ad usufruire di un sistema sanitario tradizionalmente di buona qualità.
C’è qualche idea in tal senso? E, in modo particolare, potrebbero esserci risposte credibili ai sindaci e alle popolazioni che segnalano difficoltà e problemi di ogni genere?
Come tutti sanno, l’“area vasta” nel suo complesso e le valli lontane – in particolare – pongono problemi di trasporto e di “velocità” per raggiungere l’ospedale di pertinenza per patologia acuta. In quelle zone sarebbe bene prevedere “punti qualificati di pronto intervento” per smistare in modo appropriato i pazienti, una volta operata una prima diagnosi.
La riforma sanitaria in questo contesto può essere vista come investimento infrastrutturale e di occupazione. Una nuova funzionalità dei centri ospedalieri comporterà nuovi e più facili collegamenti tra provincia e capoluogo, con conseguenze positive che vanno ben oltre il comparto sanitario.
Un suggerimento che darei ai sindaci che hanno inscenato proteste ed hanno fatto ricorsi al T.A.R. potrebbe essere: “ci siamo chiesti cosa serve? o difendiamo quello che c’è ‘a qualsiasi costo?” . D’altra parte i provvedimenti già adottati ci confermano che non è aumentata la mortalità per persone non curate ma che – piuttosto – è migliorata la cura per le persone che hanno veramente bisogno.
E i “bisogni” nel comparto sanitario non sono solo emergenziali o per infarti o traumi, ma riguardano anche le condizioni di vita, l’ambiente …
Verissimo. Infatti il compito delle Asl è molto complesso per la moltitudine degli “attori” che le caratterizzano. Pensate solo a chi opera sul nostro territorio: C.i.s.s.a.c.a., Agenzia regionale per l’Ambiente (A.R.P.A.), Medici di famiglia, Farmacie, Laboratori di analisi, innumerevoli associazioni di volontariato, Onlus o società del cosiddetto “terzo settore” etc etc. Una comunità di idee, persone, esperienze che costituiscono l’ossatura di una società e che la caratterizzano nel bene e nel male.
Compito della politica, anche di quella locale, è cercare di capire i disagi e incanalare le risorse la dove questi disagi sono più emergenti. Senza favoritismi o ripicche, in modo equo e “ben studiato”.
Queste le considerazioni di Domenico Mercogliano, che ci confermano due o tre cose importanti: – non tutte le regioni sono uguali e dove si riesce ad avere tempo e spazio per rinnovare l’insieme della struttura, si ottengono risultati; – la naturale tendenza è alla specializzazione, alle eccellenze, non necessariamente concentrate tutte nella stessa città… anzi. Il sistema degli “hub” ci porta quasi naturalmente ad avere una visione di rete del servizio sanitario con la possibilità di avere diagnosi precise e conseguente avvio alla migliore destinazione operativa. Il tutto senza dimenticare che è da favorire (anche con incentivi appositamente messi a disposizione) l’integrazione a tutti i livelli, lavorando sulla prevenzione più che sulla cura a posteriori.
Il compito delle scuole diventa sempre più fondamentale nella prevenzione e la cura delle malattie sociali. Buone abitudini e atteggiamenti corretti nei luoghi di socialità possono aiutare (e molto) patologie come il diabete l’ipertensione, l’obesità o l’anoressia. Un numero considerevole di disabilità (circa il 10 per cento accertato) va tenuto nella dovuta considerazione per le implicazioni e i costi specifici. Non solo dal punto di vista del soccorso diretto, a seconda della disabilità, ma per la necessaria importante attività di reinserimento nel tessuto scolastico e sociale degli stessi “diversamente abili”. Una fascia di popolazione che viene spesso dimenticata , ma che è ben presente nei carnet di intervento degli operatori.
Queste, secondo il dott. Mercogliano, sono le vere sfide della politica sanitaria operante sul territorio e con un po’ di buona volontà, facendo – come si dice – “ sistema” come si è fatto per il mesotelioma, una soluzione si può trovare e nemmeno troppo in là nel tempo.
Parole che ci confortano e che ci portano a rilanciare a breve, con altri “testimoni”, la nostra indagine sulla Sanità alessandrina.
Pier Luigi Cavalchini