Questi i testi con le riflessioni svolte da tre studenti alessandrini durante le celebrazioni del “Giorno della Memoria” organizzate mercoledì 27 gennaio ad Alessandria.
Oggi 27 gennaio celebriamo la giornata della Memoria, spinti dal dovere di non dimenticare e il diritto di ricordare l’abominevole sterminio della popolazione Ebraica, evento drammatico che ha vergognosamente segnato e cambiato il corso della storia.
Attraverso questa commemorazione non dobbiamo solo ricordare ciò che ognuno di noi purtroppo già conosce, ma dobbiamo riuscire a comprendere cosa sia veramente accaduto e quali nefandezze abbiano spinto l’uomo a commettere tali atrocità, evitando così che possano ripetersi sia in un futuro prossimo che lontano.
La Shoah dev’essere per tutti un ricordo, cosicché nessuno possa affievolire o annacquare il senso di ciò che accade, ma anche un’occasione per trarre insegnamenti e rinvigorire i valori che dovranno guidare, in particolar modo i giovani, ad un futuro migliore; perché il Nazismo va considerato come una follia contagiosa, da non sotterrare e nascondere con il passare degli anni, bensì un fenomeno da raccontare e tramandare alle generazioni future come un ignobile esempio da non imitare.
A nome degli studenti della provincia di Alessandria desidero ringraziarvi per l’opportunità concessaci quest’oggi di celebrare la giornata della Memoria e desidero invitare ognuno di voi a riflettere profondamente sul significato che questa porta con sé, perché dove vien meno l’interesse, vien meno anche la memoria, e perdere quest’ultima significherebbe perdere anche il nostro futuro.
Mattia Annaratone – Presidente Consulta Studentesca Provinciale di Alessandria
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Era il 27 gennaio 1945. Sono trascorsi settantun’anni da quel giorno.
L’esercito russo fece il suo ingresso sotto la famigerata scritta “Arbeit macht frei” (Il lavoro rende liberi), in una giornata che cambiò la storia del Novecento.
La Shoah è il frutto di un progetto di eliminazione di massa che non ha precedenti, né paralleli. Lo sterminio degli ebrei è deciso sulla base del fatto che il popolo ebraico non merita di vivere. E’ una forma di razzismo radicale che vuole rendere il mondo “Judenfrei” (“ripulito” dagli ebrei).
Mai, nella storia, s’è visto progettare a tavolino, con totale freddezza e determinazione, lo sterminio di un popolo.
A distanza di tempo, ci chiediamo come possano essere accaduti fatti del genere senza che qualcuno intervenisse prima del genocidio. Purtroppo, però, ci rendiamo conto che sarebbe stato molto difficile riuscire a prevalere in mezzo a così tanta gente che aveva lo scopo di imporre la propria idea, sebbene questa completamente sbagliata, ingiusta e immorale.
Il Giorno della Memoria non vuole sminuire gli altri genocidi di cui l’umanità è stata capace, né sostenere una “superiorità” del dolore ebraico. Non è solo infatti, un omaggio alle vittime, ma una presa di coscienza del fatto che l’uomo è stato capace di questo. Tutti questi stermini dovrebbero rimanere impressi nelle nostre menti per ricordarci gli errori commessi in modo da non ripeterli nuovamente in futuro. Questi si ripropongono anche al giorno d’oggi: basta pensare alle violenze delle organizzazioni terroristiche contro gli uomini, le donne e i bambini innocenti.
Settantun’anni fa in questo periodo il mondo era in lacrime, finalmente di gioia dopo averne versate tante nel dolore. Lacrime provenienti da occhi che hanno visto, in prima persona o indirettamente la crudeltà umana. Occhi increduli, stupiti, terrorizzati, rassegnati, alcuni speranzosi. Gli stessi occhi li rivediamo sui volti della gente che anno dopo anno decide di ricordare: ricordare gli errori commessi nel passato per rendere migliore il presente e più sicuro il futuro, rendere omaggio a tutti quegli occhi che sono stati chiusi per sempre, che avrebbero voluto vedere ancora qualcosa di bello, ma che non hanno potuto; ricordare perché è proprio dalla distruzione che si può rinascere più forti, perché si può soltanto risalire dopo aver toccato il fondo; ricordare perché dimenticare vorrebbe dire abbassare gli occhi ancora una volta, ma questi occhi sono ben aperti e hanno tante cose da comunicare, tanta pace e tanto amore da diffondere; perché c’è chi oggi si rifiuta di ricordare e pretende che gli altri seguano le loro orme: noi, uniti contro questi siamo imbattibili, semplicemente perché ricordiamo.
Costanza Lapenta – Classe 2BL – IIS Saluzzo di Alessandria
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Supremazia. Crudeltà. Xenofobia. “Qualità” che possiede solamente l’uomo. La cattiveria umana è la malattia del mondo, gli uomini sono capaci di far del male gli uni agli altri per spontanea volontà, distruggono ciò che di bello li circonda e non apprezzano ciò che è diverso da loro.
La Storia sa bene di cosa sono capaci, un pezzo di essa è stato forgiato dal fuoco, dalle grida, dal sangue e dalla morte ingiusta di innocenti. Eppure le tocca crescere con noi, aspettando che arrivino tempi migliori, aspettando un cambiamento, sognando e sperando l’arrivo della Pace.
La Shoah fu evento unico al centro del Novecento. Senza Memoria non c’è civiltà democratica. L’Italia ha bisogno di ricordare la sua Storia. Non si dimentichi! Il fascismo fu odio razziale.
Il 27 gennaio, Giornata della Memoria, è dedicato al ricordo delle vittime dell’Olocausto e, per celebrarlo adeguatamente, quest’anno la Provincia di Alessandria in collaborazione con la città di Alessandria – Assessorati al Sistema Educativo Integrato e ai Beni e Politiche Culturali ha promosso il progetto“Antisemitismo e razzismo nella politica del Fascismo italiano” indirizzato agli studenti delle classi V degli istituti di istruzione secondaria di secondo grado. Noi vogliamo ringraziare i professori Giampiero Armano e Agostino Pietrasanta che hanno tenuto nelle nostre classi quinte due lezioni frontali sul tema, attraverso le quali abbiamo avuto modo di conoscere come razzismo e antisemitismo in Italia siano cresciuti parallelamente allo sviluppo del fascismo fino a trovare piena espressione nel 1938 con la promulgazione delle Leggi razziali e la conseguente persecuzione degli Ebrei fino alla loro eliminazione.
Ogni anno il progetto approfondisce un aspetto diverso, per evitare di generalizzare e di rendere il Giorno della memoria solo “formale”, ma quest’anno l’argomento affrontato, collocandosi dopo i tragici fatti di Parigi, ha toccato particolarmente le nostre coscienze. Abbiamo seguito con interesse lo sviluppo delle vicende italiane a partire dagli anni ’20 per verificare se razzismo e antisemitismo siano stati elementi costitutivi dello Stato fascista con il prof. Armano e abbiamo gradito l’analisi delle ragioni culturali/ideologiche della persecuzione ebraica in Italia, nonché del ruolo giocato in quel frangente dalla Chiesa cattolica di cui si è occupato il prof. Pietrasanta.
La Shoah è un evento che ha investito il destino di un popolo, gli Ebrei, ma che riguarda anche chi non vi appartiene. Questo fatto ha occupato, e occupa tuttora, una posizione centrale nella vicenda storica dell’umanità. Per comprendere il senso degli eventi che hanno segnato il secolo scorso è bene sapere che la Ragione è stata troppo spesso spenta a favore della Follia del non Sapere. Bisogna capire perché tutto ciò è potuto accadere.
Furono perseguitati uomini, donne e bambini, che non soddisfacevano i requisiti della “razza superiore”, stabilita sul modello della Teoria di Darwin; ciò voleva dire che chi era di “razza” pura doveva prevalere e gli altri dovevano soccombere.
Essendo il popolo degli Ebrei considerato “razza inferiore” venne perseguitato e privato di tutto ciò che aveva; beni, dignità, libertà e vita.
“Arbeit macht frei”. “Il lavoro rende liberi” scrivevano i nazisti all’entrata dei campi di concentramento.
Non era vero niente di quel che dicevano. Là dentro le persone erano solo numeri grigi, tutti quei lavori forzati a cui erano sottoposte servivano solo a farle morire stremate.
Sono agghiaccianti le parole di un ufficiale delle SS, citato da Primo Levi nel saggio “I sommersi e i salvati”:
«In qualunque modo questa guerra finisca, la guerra contro di voi l’abbiamo vinta noi; nessuno di voi rimarrà per portare testimonianza, ma se anche qualcuno scappasse, il mondo non gli crederà. Forse ci saranno sospetti, discussioni, ricerche storiche, ma non ci saranno certezze, perché noi distruggeremo le prove insieme a voi. E quando anche qualche prova dovesse rimanere, e qualcuno di voi sopravvivere, la gente dirà che i fatti che voi raccontate sono troppo mostruosi per essere creduti: dirà che sono esagerazioni della propaganda alleata, e crederà a noi, che negheremo tutto, e non a voi. La storia dei Lager, saremo noi a dettarla».
Il passato non passa. La Germania è sempre colpevole. Bisogna capire però che anche noi Italiani non siamo stati dei santi, la questione razziale in Italia non fu poi così blanda. Se quasi tutti i memorialisti della scelta di Salò hanno tenuto a precisare di aver saputo delle camere a gas dopo la fine del conflitto, ciò non è del tutto vero, perché tra fascisti italiani e tedeschi ci fu una divisione del lavoro, gli Italiani preparavano le liste degli ebrei per consegnarle ai tedeschi, e a metterli nei campi di deportazione di Fossoli, Bolzano, Gries e Risiera di San Sabba furono gli italiani, i tedeschi poi li deportavano nei lager nazisti per lo sfruttamento del lavoro e, in seguito, per l’eliminazione.
Sia quelli che hanno abiurato alle ragioni della loro scelta giovanile, sia quelli che invece ancora le difendono, non potevano non sapere come, con le leggi razziali del 1938, il Fascismo avesse imboccato ufficialmente la ripugnante via della discriminazione antisemita. Fu grazie a quelle leggi che in Italia, a differenza per esempio di quanto avvenne in Francia, i Tedeschi non ebbero bisogno di alcuna fase preparatoria per attuare le deportazioni del 1943 e 1944.
Perciò dobbiamo ammettere le nostre colpe, quelle di oggi come quelle del passato; non ci sentivamo implicati in quel grande genocidio perché avevamo l’antifascismo, la Resistenza e la Guerra di Liberazione, ma tutto questo era un palliativo per dimenticare che in mezzo a quell’orrore c’era anche l’Italia.
E adesso? Noi uomini non siamo migliorati poi tanto, non ci sono più i campi di concentramento o di sterminio, ma la gente muore lo stesso. Stavolta radunata in un luogo per puro piacere, inconsapevole di quello che di lì a poco potrebbe succedere. Solo pochi secondi e le vite di decine di persone innocenti si spengono a causa di un assalto terroristico. Così è successo a Parigi, e così continuerà a succedere in altri posti e ad altre vite se la “malattia” del mondo non verrà curata.
Il premio Nobel polacco Isaac Bashevis Singer, forse il più grande scrittore yiddish del ‘Novecento, scrisse: «Quando tutte le nazioni si renderanno conto che sono in esilio, l’esilio cesserà di essere; quando le maggioranze scopriranno che anch’esse sono minoranze, la minoranza sarà la regola e non l’eccezione».
A scuola abbiamo a lungo riflettuto sull’attualità di questo tema in un anno, quello appena terminato, vissuto tra crisi e speranze. L’esodo dei migranti, la guerra all’Isis e il terrorismo sono state emergenze che ci hanno colto all’improvviso; abbiamo visto innalzare muri e reticolati di filo spinato, lunghe file di disperati alla ricerca di accoglienza ci hanno riportato alla memoria eventi terrificanti che credevamo fossero confinati sui libri di storia. Hanno scosso le nostre coscienze le foto di bambini morti nel tentativo di fuggire con i loro genitori, foto che, come ha detto qualche bravo giornalista, faranno la storia come è accaduto per la bambina vietnamita con la pelle bruciata dal napalm o per il bambino ebreo con le braccia alzate nel ghetto di Varsavia.
Il 2015 è stato un anno aperto e chiuso dalle due stragi di Parigi: la carneficina di gennaio al settimanale Charlie Hebdo e le stragi del 13 novembre; un anno in cui i sentimenti prevalenti sono stati la paura e il disorientamento, veicolo di chiusure egoistiche e particolaristiche, nonché di pericolose derive razziste.
Su questo vogliamo continuare a riflettere per celebrare degnamente il “Giorno della memoria”: oggi e sempre perché siamo convinti che solo un’educazione rispettosa dell’altro può generare in noi comportamenti democratici che siano garanti di un futuro libero e civile.
Gaia Paternò – Classe V ind. Odontotecnico – IIS Nervi-Fermi di Alessandria