di Dario B. Caruso.
Ho un amico peruviano.
Qualche giorno fa, chiacchierando del più e del meno sulle diverse usanze dei nostri rispettivi paesi, egli mi raccontava delle prossime elezioni in Perù che si terranno ad aprile.
Ormai vive e lavora in Italia da diversi anni e a breve verranno anche la moglie e i figli.
Gongolando dalla gioia per l’imminente ricongiungimento familiare, esprimeva però preoccupazione su chi votare.
“Purtroppo – racconta – da me c’è una gran confusione tra destra e sinistra. E ad aggravare il tutto è che chiunque salga al potere non mantiene le belle promesse fatte in campagna elettorale.”
Siccome sono situazioni che non conosco e non volendo entrare nel merito di questioni a me completamente ignote, ho dirottato il discorso su un cane che stava orinando sulla ruota posteriore sinistra della mia macchina.
Abbiamo così cominciato a parlare di cani.
“I miei nonni – racconta – negli anni Sessanta avevano un allevamento di cani, una razza pregiata, il cane peruviano, completamente glabro se si eccettua un piccolo ciuffo di capelli sulla testa. Sembra una vera star, con quel look da cui hanno preso spunto i vari Balotelli & co. Poi alcuni anni fa la malavita ha cominciato a contrabbandare i cuccioli monopolizzando il mercato, così mio nonno ha lasciato l’attività proseguendo comunque nella coltivazione e nell’allevamento di bovini.”
Anche di ciò non riesco a capacitarmi. È mai possibile – penso senza proferire verbo per non offenderlo – che esista un posto nel mondo dove organizzazioni fuorilegge lucrino in siffatto modo? Buon per lui che si sia trasferito in Italia.
Due terre lontane, nello spazio e nelle abitudini.
Siamo troppo diversi.
PS: a proposito di cani, in serata un’amica in vacanza a Courmayeur mi invia un’immagine di un bulldog che passeggia al guinzaglio per le vie dello struscio vestito di piumino e cappellino Moncler mentre due bastardini lo deridono.
Solo per mettervi a parte sulle diversità.