La bella iniziativa di Confindustria Alessandria, ossia il tentativo di analizzare quali saranno le sorti (economiche in prims, ma evidentemente non solo, poiché tutto ‘si tiene’) di questo territorio, cittadino e provinciale, nei prossimi trent’anni, merita un plauso, e stimola riflessioni.
Qui trovate il report completo, se vi va. Non è lettura inutile, e neppure noiosa, ed è probabilmente il massimo che si può fare, hic et nunc. Anche se probabilmente è un esercizio tanto importante (chi rinuncia a riflettere, analizzare, capire ha già alzato bandiera bianca) quanto insufficiente.
Soprattutto perchè troppe, davvero, sono le variabili (locali e non) che interverranno da qui a là. Pensiamo alla delicatissima situazione internazionale, ma anche e soprattutto allo stato di salute reale del nostro Paese, al di là dell’enfasi di questi mesi su una ripartenza che è solo propaganda, semplicemente perchè non tiene conto di una disastrosa situazione strutturale e infrastrutturale del sistema Italia, che è da imbecilli (o da furbetti da quattro baiocchi) pretendere di ribaltare con uno 0,8 o 1,1% in più di Pil, dopo 7-8 anni di decrescita, ma soprattutto dopo decenni di gestione fallimentare e scriteriata delle risorse pubbliche.
Detto ciò, non è che ragionando a trent’anni possiamo fare i renziani o anti renziani, o peggio anche i rossiani o anti rossiani, perchè qui di qualcosa di più ‘alto’ e importante si sta tentando di discutere. Quindi applausi sinceri a chi ha provato a buttare almeno un primo sasso nello stagno.
Ad oggi però, davvero, più che pensare ad Alessandria 2045 è il caso di preoccuparsi di Alessandria 2018, o 2020. Ossia, a fronte di un tessuto industriale in dismissione (al punto che i Giovani Industriali, argutamente, si fanno chiamare ora Giovani Imprenditori: le industrie vanno ad esaurimento…), e di un sistema di risorse pubbliche al collasso (sanità, edilizia scolastica e strade, trasporti, e aggiungete voi quel che vi pare). occorrerebbe davvero che i cervelli più vivaci di casa nostra (della politica, dell’imprenditoria, di una classe intellettuale sempre più latitante e deficitaria) si confrontassero per progettare il futuro prossimo a partire da condizioni date e senza voli pindarici.
Invece navighiamo nel deserto, e ognuno parla pro domo sua, senza nessuna voglia (e forse capacità) di svestirsi del suo ‘particulare’, per affrontare con onestà una realtà che non fa e non farà sconti, e che è illusorio pensare di poter modificare solo col piccolo cabotaggio quotidiano, o al contrario con analisi di (troppo) lungo periodo, che non dicano come uscire dalle ‘secche’ qui e ora, e attraverso quali percorsi e strategie.
Certo, criticare è assai più facile che proporre. Ma applaudire senza criticare sarebbe più facile ancora, ne converrete, e a questo giochino non si stiamo più.
Se volete avviare un confronto, qui sul magazine o anche altrove, noi ci siamo (attenzione: un confronto, non una serie di contumelie contro Tizio o Caio). Per sapere come andrà a finire, invece, ognuno abbia cura della propria salute, e risentiamoci fra trent’anni.
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