Loro colpa, loro grandissima colpa [Il Superstite 249]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 
Lo scorso mese di agosto, al grande Festival della Paura di Porto Potenza Picena (loro dicono “Piccolo”…), io e l’amico Edoardo Rosati siamo stati vittime e complici di quello straordinario miracolo di materializzazione scenica che qualche volta capita a scrittori fortunati, ovvero la visione in diretta di concrete sembianze dei parti delle reciproche fantasie.

A 29,50′ del filmato che trovate qui

(non siete certo costretti ad ascoltare tutto l’apocalittico dibattito, ma garantisco che è interessante…) inizia una delle scene più intense del nostro lavoro KM 98, quando il fantasma di Melissa si manifesta nel confessionale a una stupefatta e tormentata Suor Rachele.

Devo ammettere che nella costruzione del romanzo detto passaggio faceva parte di quella classica dialettica, tipica dei meccanismi del genere thriller, tra climax e anticlimax, figure retoriche in apparente contrasto il cui lavoro dinamico, in una struttura chiamata “a imbuto”, presuppone una “esplosione” emotiva in grado di coinvolgere al meglio possibile il lettore e/o lo spettatore: in parole più semplici, era un capitolo di “preparazione” allo scatenarsi della furia vendicativa del fantasma. Invece ci siamo ricreduti: la bravissima direttrice artistica Elena Galassi con due trovate sceniche genialmente minimaliste e le giuste luci ci ha fatto “vedere” un confessionale dove Benedetta Morichetti (Melissa) e Sofia Boschi (suor Rachele) hanno strappato brividi e applausi in un crescendo fenomenale che si conclude con la problematica frase “Loro colpa, loro colpa, loro grandissima colpa”.

Perché scrivo “problematica”? Ovvio, si tratta di una lucida e intenzionale citazioneFestival-della-paura 1 stravolta del Confiteor, la preghiera penitenziale della celebrazione eucaristica di rito romano (… mia colpa, mia colpa. Mia grandissima colpa). E so bene che quando ci sono di mezzo argomentazioni del genere, bisogna avere la mano un po’ delicata e procedere, come si dice in gergo, con i piedi di piombo anche se esiste da anni un “horror teologico” che all’apparenza non si cura affatto dei sentimenti dei cristiani devoti, ma va da sé che “milita” nelle file del cosiddetto Bene.
Così è nella struggente confessione della sfortunata Melissa, che non si prende affatto gioco del rituale cristiano, ma pretende l’attenzione di chi per mestiere o per missione dispensa il dono della misericordia: «… gli altri hanno commesso peccato, suora, gli altri, non io, ma gli uomini che rapiscono, che picchiano, che stuprano, che uccidono».

Melissa è stata una vittima degli “altri” e lo urla nel confessionale prima di ridurre suor Rachele a una sorta di fantoccio.
«… un fantoccio che sfidava le leggi anatomiche. Il gomito destro descriveva un angolo diametralmente opposto alla posizione naturale. Il torso era riverso sul muro, con le gambe coricate da un lato e la testa ad angolo acuto sul collo. Un mucchio umano su una pozza d’urina.» (KM 98, pag. 87)

Festival della paura 2Ci è stato chiesto da più lettori perché Melissa, una volta trasformatasi in SuperSpettro, non si vendichi soltanto sui suoi reali aguzzini e se la prenda invece, attraverso quella curiosa e implacabile maledizione a scadenza annuale, con della gente innocente – come, appunto, suor Rachele – che nessuna colpa ha avuto per la sua tragica morte. Potremmo rispondere, magari un po’ prosaicamente, che la vendetta è cieca come la natura quando s’incazza. In verità, al di là dell’utilità dei pretesti narrativi che alla fine devono “quagliare” e stare in questo caso dentro una logica geografica in grado di “contenere” l’estensione della maledizione che si irradia dal Km 98, forse esistono, neppure a livello consapevole, delle motivazioni più profonde e sottili.

Forse Melissa – che è un fantasma irrazionale, un agente di Morte, una sorta di kamikaze energetico che non può morire essendo già morta – intende stigmatizzare in questa modalità la mostruosa indifferenza che ormai ha attecchito in troppe persone, in Italia come altrove, che di fronte agli “Altri” (quelli che rapiscono, che picchiano, che stuprano, che uccidono…) voltano la testa dall’altra parte perché la faccenda non le riguarda. Quell’indifferenza che fa sì che, nel drammatico contesto epocale che stiamo vivendo, nessuno alla fine sia completamente innocente. Perché in fondo – persino in parte gli autori se ne sono dimenticati presi dai loro meccanismi in salsa horror – anche Melissa è una Migrante. Rapita, picchiata, stuprata da belve dell’Est europeo e trasportata in Italia per essere avviata alla prostituzione, lei riesce a fuggire nottetempo, intorno alle 5 del mattino del 29 dicembre 1999, dal pulmino che se ne sta viaggiando in direzione Padova. Caracolla rovinosamente in mezzo all’autostrada per essere travolta poco dopo alle 5, 20 da un automobilista sonnolento.

Temiamo fortemente che questo preambolo di storia sia autentico e soprattutto non sia isolato. E confesso che, senza le struggenti interpretazioni di Benedetta Morichetti e Sofia Boschi, forse non avrei messo mano a queste considerazioni.