La gioia di vivere [Il Citazionista]

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Michele Serra

di Andrea Antonuccio.

«Credo di avere firmato il primo appello antiproibizionista una trentina di anni fa, e ancora non ho cambiato idea»
Michele Serra, La Repubblica, 18 luglio 2015

Al netto delle interpretazioni, delle prese di posizione (proibizionismo vs liberalizzazione) e dei giudizi pelosi di psicologi, (dis)educatori, opinionisti tv e giornalisti, nella vicenda del sedicenne morto di ecstasy al Cocoricò di Riccione l’evidenza più lampante, quasi scontata (e per questo, per paura dell’evidenza, in pochissimi lo hanno sottolineato direttamente), è che la droga fa male.

La droga fa male, e può uccidere. La chiusura della discoteca, voluta dal ministro Angiolino Alfano (uno che ha il talento di arrivare a chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati), è solo fumo negli occhi. Chiuso il Cocoricò, si cambia posto e il giro ricomincia. Sulla riviera romagnola c’è solo l’imbarazzo della scelta, lo sanno tutti.

La droga fa male, e può uccidere. Sè stessi e gli altri. Ebbene, se si partisse da questa evidenza, anche lo scontro tra chi vuole proibire e chi vuole liberalizzare sarebbe più leale e potrebbe dare qualche frutto. Diventerebbe un dialogo. Ma perché un dialogo ci sia, e sia utile, ci vuole un punto di partenza comune. E il punto di partenza è che la droga, anche quella “leggera”, fa male. E può uccidere.

Non lo dico io, lo conferma la realtà delle cose. Basterebbe rileggere il Corriere della Sera di lunedì 20 luglio per avere qualche indicazione in più. Tre notizie, su tutte.

Ludovico Caiazza, 32 anni, il rapinatore e assassino del gioielliere di Prati a Roma. Tossicodipendente, ha ucciso probabilmente sotto effetto di droghe. Si suicida in carcere dopo la convalida del fermo.

Lamberto Lucaccioni, 16 anni. Arriva da Città di Castello, e prima di entrare in discoteca a Riccione assume una pastiglia di ecstasy. Muore di lì a qualche ora.

Gianluca Mereu, 22 anni, Milano. Alle 4 del mattino entra in casa della madre e la aggredisce con violenza, al punto che la Polizia deve intervenire. Si getta da una finestra della Questura e muore. Nella sua stanza vengono trovati 70 grammi di marijuana (aspetto solo che mi diciate che li ha messi lì la Polizia per incastrarlo).

cannabis_espressoSe non siete ancora soddisfatti, procuratevi l’Espresso del 14 marzo 2014. Così recita “l’altra copertina” del settimanale: “Quelli che la canna sì”. All’interno si possono recuperare i risultati di uno studio effettuato dall’Università di Montreal e pubblicato sulla rivista “Neuropharmacology“:

«L’uso di cannabis nei ragazzi ha profondi effetti sullo sviluppo del loro cervello, che è ancora in atto; la stimolazione dei recettori dei cannabinoidi infatti (…) coinvolge anche il sistema della dopamina, molto attivo quando si instaura una dipendenza da droga. E tuttavia solo un ragazzo su quattro sviluppa una chiara tendenza all’uso di droghe più pesanti, che può evolvere in dipendenza. In sostanza – dicono gli studi – i ragazzi più a rischio apprendono a ricorrere alle droghe leggere per automedicazione, per ritrovare un equilibrio che è stato compromesso, e da lì all’instaurarsi della dipendenza il passo è breve. Ma questo si verifica solo nel 25 per cento degli utilizzatori».

Chiaro, no? Solo il 25 per cento degli utilizzatori può cadere nella tossicodipendenza. “Solo il 25 per cento”… vi pare poco? Ma ad alcuni va bene così.

Tra questi, occorre annoverare quell’indiscutibile maestro di giornalismo e di vita che è Michele Serra, il quale su La Repubblica del 17 luglio 2015 equipara senza pudore alcuno la cannabis al vino: “[…] sostanze che, se usate con sobrietà, direi con gentilezza, fanno parte legittima dei nostri vizi più soavi e della gioia di vivere”.

Paragone con il vino a parte (evidentemente scorretto, ma utile ad alleggerire le argomentazioni contro le droghe cosiddette leggere), che la cannabis sia un “vizio soave”, addirittura una “joie de vivre”, lo può affermare solo qualcuno che dalla vita non si aspetta più nulla.