«Non è possibile fare una fine del genere in punta di piedi. Senza un rumore, senza un grido, senza nulla. Si parla di un livido sul braccio e tracce di Dna sotto le unghie. Un contatto c’è stato»
Bruno Maurantonio, 10 giugno 2015
A un mese dalla morte, Bruno Maurantonio non riesce a sopire le domande sulla fine, tanto assurda quanto tragica, del figlio Domenico, precipitato dal quinto piano di un hotel di Bruzzano, hinterland milanese, durante una banalissima gita scolastica per visitare l’Expo.
All’inizio si è ipotizzato di tutto: alcol, droga, uno scherzo finito male, e tante altre versioni più o meno fantasiose. Oggi, a distanza di un mese, il lavoro degli investigatori non ha ancora portato a risultati di rilievo.
Gli “adulti” (genitori, insegnanti, poliziotti) hanno puntato il dito sull’omertà, vera o presunta, dei compagni di scuola, e soprattutto di stanza, di Domenico. Qualcosa, alla luce dei fatti, devono avere visto e sentito per forza, questi benedetti ragazzi. Eppure, il loro “muro” di silenzio (se di muro si tratta) non è stato ancora scalfito. Se si sono messi d’accordo per tacere, ci stanno riuscendo molto bene. Troppo bene, secondo me.
Di fronte alla pressione degli inquirenti, nessun amico di Domenico ha ceduto, a nessuno è scappata mezza parola. Le finte piste dei messaggini su Whatsapp, fatti circolare apposta da chi indaga (mia personalissima opinione) per smuovere le acque e mettere paura a chi sa e tace, non sono servite a nulla.
Per carità, domani magari tutto verrà alla luce per quello che logica e buon senso suggeriscono: uno scherzo cattivo, un incidente, una goliardata (Antonio Silvani mi perdonerà se uso questo termine impropriamente) tra ragazzi, finita tragicamente.
Ma se domani, svegliandoci, vedessimo che tutto è ancora avvolto dalla nebbia dei sospetti, a distanza di un mese, allora dovremmo cominciare a chiederci se per caso dietro a questa morte, dolorosissima (chi è padre può realmente immaginarlo), non si nasconda altro. Con un piccolo corollario che vale un po’ per tutti: da quando le indagini si affidano quasi esclusivamente al metodo “scientifico” si ha l’impressione che la verità si allontani, invece di avvicinarsi. Il caso Bossetti, per fare un altro esempio di attualità, malgrado prove scientifiche apparentemente schiaccianti è ben lontano dall’essere definitivamente risolto. Come questo caso, quello di un ragazzo di 19 anni in gita scolastica, che cade da un balcone senza che nessuno lo abbia apparentemente buttato giù. Possibile?