I media da settimane riportano opinioni e riflessioni sui mercatini, pertanto vorremmo anche noi esprimere la nostra riflessione sull’argomento. Le bancarelle fanno male all’economia di una città perché sono operatori esterni che incassano e portano via i soldi? Questa la sintesi molto pragmatica dei detrattori di questa tipologia di vendita.
Ma ci chiediamo: come mai nessuno invece punta il dito su chi davvero fa sconquassi nell’economia locale, cioè la grande distribuzione? Il Trattato istitutivo della Comunità Europea, nell’ottica della realizzazione di un mercato interno, individuava nella libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali lo strumento idoneo ad eliminare gli ostacoli all’integrazione economica. La costruzione di uno “spazio senza frontiere”, libero in ogni senso da vincoli e restrizioni, nel quale fosse consentito muoversi agevolmente e legittimamente ha coinvolto a fondo i Paesi membri della Comunità e le Istituzioni comunitarie.
Pertanto: se gli operatori su suolo pubblico sono dannosi all’economia autoctona, in un’epoca storica in cui si il commercio è stato completamente liberalizzato, con l’Europa unita, che porta con sé la liberalizzazione di merci, persone e capitali, ci chiediamo se in Alessandria vogliamo mettere i dazi e chiuderci all’interno della cinta muraria?
Allora, paradossalmente, dovremmo contestare le sacrosante scelte, perfino della CCIAA, che investe denari per aiutare le imprese nell’internazionalizzazione e per consentire loro di partecipare a fiere internazionali. Oppure queste critiche sono pura demagogia per distogliere l’attenzione dai problemi seri di chi nuoce alle nostre imprese?
Chi vieta agli operatori alessandrini di partecipare alle manifestazioni che si svolgono in città? E soprattutto in quanti già vi partecipano da anni, anche se hanno attività fisse? Un ramo d’azienda non scalza l’altro e quindi un negozio tradizionale può attrezzarsi per partecipare a fiere, manifestazioni ed eventi sia nella sua città che in giro per l’Italia o almeno del Piemonte.
Ricordiamo che la stragrande maggioranza degli operatori su suolo pubblico che partecipano alle manifestazioni cittadine sono imprenditori di questa regione, a testimonianza che forse quello che non facciamo noi, altri lo fanno da anni. Compresi coloro che ululano alla luna i danni delle bancarelle, salvo poi in altre città, perfino di questa provincia, essere soggetti organizzatori proprio di bancarelle.
Allora forse il problema non sono le bancarelle, che stanno assumendo, anche lessicalmente, uno svilimento e una denigrazione di un lavoro, dell’ immagine di quella che è un’impresa a tutti gli effetti. Forse le critiche vanno mosse sulla qualità del layout. E qui possiamo trovare un punto di incontro. Perché il layout è la scenografia, l’ambientazione che è sempre stata lasciata al gusto, ma soprattutto al portafoglio del singolo operatore.
Cerchiamo pertanto soluzioni miste tra pubblico e privato per sostenere con appositi regolamenti, che devono valere almeno per i tutti i comuni della regione, la formulazione dei criteri-guida e possibilmente stanziando fondi per la riqualificazione delle tende, dei banchi e non solo.
Questo, secondo, noi è affrontare il problema seriamente e correttamente; ma se, invece, accusiamo le bancarelle di portare via denaro fresco degli alessandrini, ci domandiamo come mai questa provincia abbia l’Outlet più grande d’Italia, da qualcuno voluto nell’allora Commissione Regionale, con la legge 426? Ci chiediamo dove erano gli ambientalisti, quelli che nei centri storici vogliono la chiusura totale, quando hanno sbancato una collina? E cosa ne pensano delle code che si creano dall’uscita dell’autostrada fino al parcheggio? Forse lì non si formano i pm10? Bisogna essere onesti intellettualmente e non continuare a caricare di legna verde il mondo della piccola impresa.
La normativa regionale (l.r. 28/1999 all’art. 3bis) prevede “la corresponsione di oneri aggiuntivi per contribuire alla rivitalizzazione e riqualificazione delle zone di insediamento commerciale dei comuni interessati da ciascun intervento con particolare attenzione ai piccoli esercizi di vicinato.” Pertanto è lo stesso legislatore che, consapevole del danno che crea ai negozi con l’espansione della gdo, compensa con il versamento degli oneri per esternalità negative da destinare al territorio ed in particolare con azioni materiali ed immateriali a favore dei negozi del centro storico.
La città non deve barattare la riqualificazione del territorio con la costruzione o l’ampliamento di un altro centro commerciale. Questo è inaccettabile , perché i cittadini e i commercianti pagano le tasse affinchè si attuino le riqualificazioni dei territori.
Come sostiene Confesercenti Italia la grande distribuzione sta cannibalizzando i piccoli esercizi commerciali, con il risultato di una progressiva desertificazione delle città. E’ questo il quadro che, mese dopo mese, emerge in maniera preoccupante dai dati diffusi sulle vendite al dettaglio dall’Istat. La nostra provincia non ha certo la necessità di altri supermercati , è un territorio assolutamente saturo, che sta subendo gli effetti distruttivi su centinaia di migliaia di piccole imprese. In 5 anni sono andate in fumo 4000 attività economiche, quindi circa 10.000 persone sono disoccupate o in cerca di altro lavoro. Alle amministrazioni chiediamo che abbiano il coraggio di rifiutare oneri milionari, che pagano sempre ed esclusivamente i consumatori, cioè tutti noi , e di battersi perché lo strumento per riqualificare le nostre città siano le copiose tasse che paghiamo. Dobbiamo “solo” pretendere un’equa distribuzione, affinchè vengano destinate alla riqualificazione dei centri storici e degli imprenditori fissi o ambulanti che ci lavorano.
Alla luce di queste constatazioni sarebbero le bancarelle il problema dell’economia di questa città o di questa provincia? Ma facciamo il piacere, avrebbe detto Totò!
*Presidente provinciale Confesercenti