Siamo nel 1968, ano prima dell’ano zero, ano della contestazione, ano in cui ci siamo iscritti all’università, ano in cui il filosofo tedesco Herbert Marcuse va per la maggiore: è tanta la fama che acquista presso i giovani, che col suo nome viene definito il ciclo mestruale delle donne (sè dicenti) di una certa levatura intellettuale ed impegno politico sociale: “Caro, oggi non si scopa… mi è venuto il Marcuse!”…
… ano in cui, come si è gia detto, viene eletto Pontifex Maximus Gengis Khan, vulgo Ettore Pianese. (vedi foto n. “1“)
Fin da quando era mATRICOLA Gengis si era fatto conoscere come personaggio più matto della pazzia media che caratterizzava i Goliardi: racconta Attila il Cruento, allora Pontifex Maximus quando Ettore mATRICOLA fu processato, che costui, unico tra tutti si presentasse ai giudici col culo rivolto verso di loro, dando come giustificazione che sarebbe uscito più in fretta. Fu immediatamente coperto di timbri da capo a piedi!
Da fagiolo Gengis divenne pallafreniere (abbiamo già descritto questo difficile ruolo) di Attila e ne approfittava, sapendo di avere le terga ben coperte, per rompere le palle ad oves et boves et universa pecora (proprio come fa Renzi in tutte le televisioni! … ma chissà chi avrà ancora voglia di coprirgli le terga?).
Il pontificato di Gengis Khan fu, nonostante la situazione politica altamente filistea nei confronti della Goliardia, ricco di casino, di feste, di baccanali, di conviti sia in Alessandria che presso le sedi degli Ordini vicini.
Anche con lui fu mantenuta la totale autonomia nei confronti di Torino.
Nella foto n. “2“ vediamo una scena del ballo della matricola del 1869 + 99 e, precisamente, Miss Goliardia con le damigelle d’onore. Spiccano nella foto (in cui manca Gengis Khan) Johannes VI Anagnostata (“a“), Pontifex Maximus del Supremus Ordo Taurini Cornus atque Pedemontanus di Torino, Attila il Cruento (“b“) e Durazzo LXIX (“c“), Doge del Dogatum Genuense (di Genova per i minus habens che non l’hanno capito). Dal sorriso stereotipato della Miss e delle damigelle e dai ghigni guduti dei Goliardi appena nominati si può capire dove operassero le loro mani…
Come abbiamo già avuto modo di vedere in un’altra foto (dato che non ci gira di indicarvela, cercatevela voi), non è escluso che il bel fighettone contassegnato dalla lettera (“d“), con quall’antipaticissima espressione alla unto dal Signore, alla prescelto, alla ce l’ho solo io, so tutto io, faccio tutto io, tipica di John Elkann, sia il fidanzato della fanciulla a cui poggia amorevolmente la mano sulla spalla… lui glie la poggia sulla spalla, il Doge glie la poggia…
L’altra foto di quella manifestazione è la n. (“3“), in cui si vede la Miss che riceve i premi… c’erano ancora le vacche grasse (che poi sono passate al Parlamembro) e l’Ordine Goliardico poteva permettersi certi omaggi (o gli sponsor potevano darli).
N.P. Abbiamo scritto parlamembro, ma non è un errore di battitura… una delle poesie più note dell’immortale Giusuè Carducci è “Il parlamembro“. Vi ricordate quei versi struggenti: “Vi sovvien, dice Alberto da Giussano, prendendoselo in mano…“?
La foto n. (“3“) è anche bella per la presenza, oltre ad un Attila con l’onor del mento ed alla Miss, di tre facce patibolari, sicuramente giunte al Circolo Alessandria scappate da un barcone approdato in riva a Tanaro…
Purtroppo non ci sono più foto del nostro fratello in Goliardia ed amico carissimo Gengis Khan, a parte quelle che abbiamo già avuto modo di vedere nelle pagine di questa dissenteria letteraria.
Abbiamo detto che nell’ano 1968 ci siamo iscritti all’università in quel di Pavia ove fummo testimoni di un fatto che dobbiamo per forza raccontarvi.
Uno dei docenti più temuti di tutta l’Università di Pavia era Gennaro Palumbi, Direttore dell’Istituto di Anatomia Umana (è passato talmente tanto tempo che possiamo anche fare i nomi).
Quanti studenti, dovettero ripetere l’esame anche dieci e più volte: la pignoleria, spesso unita alla stronzeria del barone, colpiva inesorabilmente. Anatomia era un esame blocco, per cui chi non lo superava non poteva andare avanti nel corso di studi… quanti finirono fuori corso per colpa sua.
La mattina del 17 giugno 1968 la signora Palumbi si svegliò e si accorse, per la prima volta dal matrimonio, della rigidità del marito… in altre parole il docente poco decente era schiattato.
Il giorno successivo decine di farisaici manifesti da morto pieni di luoghi comuni del cazzo tappezzarono le pareti di Pavia: “prematura scomparsa…”, “esimio docente e collega”…, “insigne esempio di valori umani ed accademici…”, “adorato da colleghi e studenti…“ (doppia palla colossale!).
Dopo due giorni anche la Goliardia Pavese si svegliò ed uscì con un manifesto (affisso clandestinamente in qualche istituto universitario ed in qualche bar per studenti) in cui invitava Goliardi e filistei ad un veglione per festeggiare la morte del cattedratico.
La foto n. “4“ mostra la ricostruzione del manifesto, così come noi ce lo ricordiamo.
Nel 1968, dunque, mentre la vita nell’Ordo Goliardicus Agae Khanis scorreva, come sempre, incasinata ecco spuntare (vedi foto n. “5“) la nostra merdosissima persona (eravamo mATRICOLA, come potevamo definirci?)…
In alto nella foto troneggiano Attila (“a“) e Gengis Khan (“b“), il sottoscritto (ritorno, per ovvie ragioni, a parlare in prima persona) è quello in basso con occhiali scuri ed il braccio teso (“c“). Ignoriamo chi sia la quarta persona (“d“), di sicuro un Goliarda di Torino.
E così, come in un gigantesco 69 senza fine, siamo arrivati all’inizio della nostra chiacchierata, quando siamo entrati in Goliardia… ma non ci fermiamo, inizia il futuro…
… non sappiamo ancora se quasi immediato, prossimo, o al di là da venire.
Con un’allegra canzonetta prepuziatoria e di benedizione ci congediamo da tutti voi dilette sorelle ed amati fratelli.
Se questa accozzaglia di parole, foto, aneddoti, puttanate, canzoni, citazioni, leggi, osterie vi è piaciutà, proviamo per la gioia una possente erezione senile, se, per contro ha schifato qualcuno, gli interessati sono pregati, con tutto il cuore, di andarsela a prendere in quell’antro sfondato che si ritrovano sotto il coccige!
“Prendi il chiodino”
Brevissima canzonetta sull’aria di “Bibbidi bobbidi boo“, indubbiamente un poco blasfema, ma talmente veloce, simpatica, spumeggiante, per certi versi quasi ingenua, da farsi perdonare: anche il moralista più convinto, il codino più radicato, il baciapile più beghino, magari si incazzano, udendo “Prendi il chiodino”, però, prima di incazzarsi, faticano a trattenere una risatina.
Prendi il chiodino,
dammi il chiodino,
vieni al Calvario anche tu:
inchioderemo il Bambino Gesù,
prendi il chiodino anche tu!