“A. S. Aurora Campo Sportivo Luigi Pisci” è la scritta che appare sul tabellone all’ingresso dello stadio di calcio al numero 20 di via San Giovanni Bosco nel quartiere Pista di Alessandria. La società Aurora vi organizza tornei di calcio per giovani. Forse qualcuno di loro si sarà chiesto un giorno chi fosse Luigi Pisci e perché il campo sportivo ed anche il torneo portino il suo nome. Oggi vorrei rispondere a queste domande poiché Luigi Pisci (Gigi) è stato il mio miglior amico d’infanzia e di adolescenza.
QUARTIERE PISTA ANNI ‘50
Erano i primi anni cinquanta ed i nuovi edifici costruiti nel quartiere Pista si erano riempiti di famiglie originarie da ogni parte d’Italia in cerca di lavoro e di una sistemazione stabile dopo gli sconvolgimenti della seconda guerra mondiale. Il lavoro non mancava in provincia di Alessandria grazie a ditte come la Borsalino, l’ILVA e la Paglieri, per non citare che quelle.
La famiglia di Gigi si stabilì in via Rivolta mentre i miei trovarono un appartamento in via Cornaglia, ad appena un centinaio di metri. I cortili e le strade erano chiassose ed i compagni di giochi numerosi poichè molte erano le famiglie di giovani genitori con tre o più figli. A quel tempo la Pista finiva con la via Rivolta e poi c’erano le cascine, i campi con i filari di gelsi e le stradine polverose che portavano al Bormida, un fiume pulito a quel tempo, dove si andava a fare il bagno nelle calde giornate estive. Ricordo bene le tettoie in lamiera del posteggio con le biciclette appese ai ganci dove erano in custodia per dieci lire al giorno. Sento ancora la grande frescura che ci colpiva quando, percorso il sentiero in discesa tra i cespugli di salici e allori, si arrivava al fiume e si correva a tuffarsi in acqua.
D’estate noi ragazzi giocavamo al pallone nel campetto vicino alla cascina Maldini dove andavamo a bere ed a rinfrescarci mettendo la testa sotto il getto d’acqua della pompa nel cortile. Il terreno era accidentato e sassoso e le porte erano segnate da due grossi sassi distanti qualche metro. “Tu dove giochi” mi chiese Gigi la prima volta che ci incontrammo. “ In porta” risposi, “No, il portiere sono io, tu starai in difesa” mi disse. E così fu per quella partita e per tutte quelle che seguirono.
Eravamo entrambi del ’41, Gigi aveva qualche mese più di me essendo nato il primo marzo. Di aspetto eravamo assai diversi, lui nero di capelli con folte sopracciglie scure, molto robusto, io biondo e longilineo, eppure diventammo subito amici. La nostra vita si svolgeva tra la scuola, la parrocchia della Pista dove andavamo a giocare al calcetto o alle bocce ed alla Messa la domenica. C’era il cinema Aurora all’aperto dove nelle sere di estate andavamo a vedere i film western con Gary Cooper e John Wayne ed il baretto di piazza Mentana dove ci trovavamo per gustare lo stick al limone o la granita alla menta.
UN INCONTRO DECISIVO
Fu allora che incontrammo il giovane dottor Aristide Nossardi (Duccio) ex giocatore dilettante ed appassionato di calcio, che aveva aperto il suo studio medico in via Rivolta. Questo incontro fu determinante soprattutto per Gigi. Il Duccio ci mise subito nella squadra dell’Aurora di cui era allenatore e ci diede le prime scarpe con i tacchetti e le prime maglie con i numeri. Fu lui ad insegnarci i primi rudimenti di calcio con frasi semplici ma efficaci: “ti arriva il pallone, lo controlli con un piede e con l’altro lo passi raso terra al compagno smarcato più vicino, il calcio è tutto qui !”
Facevamo gli allenamenti sul campo dei Ferrovieri oppure in piazza d’Armi. Non ricordo dove si svolse il primo torneo importante, mi sembra fosse dai Salesiani, so che c’era un campo da calcio in terra battuta con vere porte di pali in legno e tutte le righe bianche disegnate con la polvere di gesso. C’era persino un arbitro con tanto di fischietto.
Durante quel torneo vidi arrivare un ragazzino portato da suo padre sulla canna della bicicletta con le scarpe di calcio che pendevano dal manubrio. Il Duccio mi disse “quello è Gianni Rivera, che sarà tuo avversario diretto. Tu devi fare una sola cosa, sta sempre tra lui e la porta del Gigi e se ti scappa via, saccagnalo!” Si, era più facile dirlo che farlo. Il Gianni, sebbene fosse un paio di anni più giovane di noi, con una finta ed un passaggio spiazzava l’intera difesa avversaria. Per fortuna il Gigi, che aveva la stoffa del portiere organizzatore, continuava a gridare ed a darmi istruzioni: “Passa indietro! Lascia venire! Attento che arrivo!” ed allora faceva una delle sue spettacolari uscite di pugno per respingere il pallone.
Non so come accadde ma il fatto è che vincemmo noi quel torneo e Gigi da buon capitano portò trionfalmente la coppa fino alla parrocchia attraversando la città in bicicletta con tutta la nostra squadra al seguito.
Con Gigi giocai in vari tornei giovanili ma ben presto mi accorsi che quello che per me era una semplice attività sportiva, per lui era una vera passione ed una ragione di vita. Lui aveva grinta, voglia di vincere, grandi doti fisiche e lo spirito di sacrificio necessario per arrivare a grandi risultati sportivi. In breve, Gigi aveva la stoffa del campione ma purtroppo non ebbe fortuna.
NON SOLO CALCIO
Oltre al calcio avevamo altri interessi in comune, come il culturismo che aveva fatto la sua apparizione in Italia grazie al libro di John Vigna ed ai film con Steve Reeves, lo Schwarzenegger dell’epoca. Avevamo entrambi in casa manubri e sbarre con i pesi di fabbricazione assai artigianale per allenarci, con grande disperazione delle rispettive madri che temevano per l’integrità di mobili e pavimenti.
Ci piaceva la musica rock quale antidoto alle lagne dei vari Claudio Villa e Corrado Lojacono. Aspettavamo con trepidazione l’una del pomeriggio quando la trasmissione RAI “Il Discobolo” mandava in onda gli ultimi successi di Elvis Presley, di Little Richard nonchè dei Platters.
La sera uscivamo per andare al cinema a vedere i primi film con musica rock. Ci mettevamo d’accordo per telefono : ”Tapati come?” “Tapati da rock” ossia con i blue-jeans (i primi Levi’s arrivati dall’America a Genova e comperati al mercatino del porto) con grandi risvolti alle caviglie e maglietta a strisce, in completa opposizione ai ragazzi eleganti dell’Alessandria “bene”.
In quel periodo eravamo spesso insieme, tanto che il Duccio Nossardi ci chiamava “i due fratelli” e, come spesso accade in tali situazioni, ci innamorammo della stessa ragazza. Si chiamava Biancamaria, era bionda con gli occhi color nocciola ed abitava lei pure in via Rivolta. Io fui il primo a darle appuntamento alla Villa delle Rose dove, nella stradina deserta, le diedi il primo bacio mentre le ginocchia mi tremavano per l’emozione. Gigi si prese la cotta per Biancamaria qualche mese dopo, ma si sarebbe lasciato scorticare vivo piuttosto che ammettere di essersi innamorato della mia ragazza.
AI BARACCONI
In quegli anni la piazza Garibaldi non era ancora invasa dalle automobili ma, a parte il mercato del sabato, era quasi sempre deserta. Si riempiva solo verso Pasqua con l’arrivo dei “baracconi” ossia delle giostre, degli autoscontri e dei tiri a segno. Ci andavo con Gigi per ascoltare Paul Anka che cantava “Oh, please stay by me, Diana” messo a tutto volume dal gestore dell’autoscontro. Ci sfidavamo nel tiro a segno, in particolare quello che faceva scattare la foto flash se si colpiva il centro del bersaglio con il fucile a pallini. Pensavo che la foto che feci scattare io fosse andata perduta, invece Giuseppe Pisci, il fratello maggiore di Gigi l’ha ritrovata insieme a quelle fatte scattare da Gigi. La inserisco volentieri in queste pagine.
Fu ai baracconi che un pomeriggio vidi un uomo piuttosto giovane e molto elegante, con gli occhiali da sole ed il viso sottile molto abbronzato. Teneva per mano un bambino e si dirigeva verso la giostra con cavalli e carrozze. Lo riconobbi subito e dissi a Gigi: “Guarda, c’è Fausto Coppi!” Rimanemmo a guardare il campione senza osare muoverci, quasi fosse un extraterrestre. Davanti a noi c’era la leggenda del ciclismo mondiale, il Campionissimo, ma soprattutto l’uomo che era riuscito nello sport come nessun altro fino ad allora. Per noi era l’esempio da seguire.
AVVERSARI PER UN GIORNO
Frequentavo il terzo anno del Liceo Scientifico G. Galilei quando il professor Ricci, che oltre ad essere professore di educazione fisica era anche allenatore nazionale di atletica leggera, mi mise la palla di ferro da 5 chili in mano e mi disse “Dimentica il calcio e incomincia gli allenamenti al campo scuola poiché dovrai gareggiare alle provinciali. E datti da fare, guadrappa!”. Non so dove avesse scovato quel “gualdrappa” ma è così che mi aveva battezzato.
Alle gare provinciali del ’58 ritrovai Gigi. Entrambi eravamo inscritti per il getto del peso, io nella squadra del Liceo e lui in quella dell’Istituto. Dopo i primi due lanci Gigi era davanti ed io avevo due nulli al mio attivo (o meglio passivo). Fu allora che sentii il suo allenatore dirgli in dialetto alessandrino: “Tas, ca u l’eliminu”. Fui punto sul vivo e con il terzo lancio feci la miglior misura e vinsi il concorso. Gigi non mi serbò rancore, anzi se la prese con il suo allenatore per aver pronunciato quella frase.
IL FUTURO PALLONE D’ORO
Quanto a Gianni Rivera, dopo il torneo ai Salesiani diventammo amici. Ricorderò sempre quel giorno di primavera del ’59 quando lo vidi seduto su di una panchina ai giardini della stazione. Gli dissi “Ciao Gianni, ho sentito che presto esordirai in serie A, complimenti. Io non potrò venire a vederti poichè ho vinto una borsa di studio e parto per un anno negli Stati Uniti.” Fu lui a congratularsi con me ed a farmi gli auguri. Non lo rividi più tranne che alla televisione con la maglia numero dieci della nazionale. Di lui conservo sempre un caro ricordo.
Al mio ritorno dagli USA nell’estate del 1960 avevo portato in regalo a Gigi una camicia hawaiana con grossi fiori rossi e blu, una cosa che nessuno avrebbe osato indossare in Alessandria. Gigi ne fu molto contento ed ebbe il coraggio di portarla subito. Suo fratello Beppe la conserva preziosamente ancora oggi.
ARRIVATI AL BIVIO
Terminato il liceo andai a studiare ingegneria a Genova mentre Gigi iniziava la sua carriera di calciatore con la US Alessandria. Le nostre strade si separarono ma ci si trovava in occasione delle feste di Natale e Pasqua. In seguito, ottenuta la laurea, io partii per il servizio militare in Marina e quindi nel 1968 all’estero per lavoro. Non ebbi più notizie di Gigi fino a quel giorno d’estate del 1970 quando mia madre mi dette per telefono la terribile notizia del tragico incidente stradale che costò la vita al mio caro amico.
Oggi Gigi riposa nella cappella di famiglia fatta edificare dal fratello Giuseppe nel cimitero di Carentino, comune in provincia di Alessandria, dove si trova la cascina San Rocco suo luogo di nascita.
Ecco dunque la risposta alla domanda di chi fosse Luigi Pisci cui è dedicato il campo sportivo della società Aurora: Gigi era uno di noi ragazzi del quartiere Pista che visse pienamente la sua grande passione per il calcio.
Riporto qui di seguito le date principali della carriera di Gigi, che suo fratello Beppe mi ha gentilmente inviato insieme a varie fotografie di Gigi che sono state pubblicate a corredo di questo articolo. La fotografia in formato medaglione è tratta da un libro sulla Sanremese e mi è stata gentilmente fornita dal Sig. Gerson Maceri, che ringrazio. Un ringraziamento pure a mio cognato Giorgio ed a mia nipote Nina Lentoni per aver ritrovato la fotografia di Gigi con la macchina Fiat 1800, e a CorriereAl per aver ospitato questo mio commosso ricordo di un caro amico.
1959 Gigi gioca una partita di lega giovanile al campo dei Ferrovieri in presenza della squadra del Padova che nel pomeriggio doveva affrontare l’Alessandria allo stadio Moccagatta. Gigi effettua grandi e spettacolari parate e viene notato da Nereo Rocco allora allenatore della squadra veneta. Rocco dice ai suoi “questo portiere lo dobbiamo portare a Padova!”
1960-1962 viene ingaggiato dall’Alessandria US e disputa la coppa De Martino sotto la guida dell’ex juventino Coscia ed in seguito dell’ex interista Franzosi. La Direzione della società non lo mette in prima squadra malgrado l’avviso positivo dell’allenatore.
1961 entra in servizio militare a Bologna e dopo sei mesi viene richiamato ad Alessandria per una partita di prova. Privo di allenamento non passa l’esame. Inoltre si ammala di polmonite virale con febbre altissima durante gli ultimi mesi del servizio militare.
1963 viene ceduto alla Sanremese che milita in serie D. Gigi vede l’opportunità di riscattarsi e si impegna con la nuova squadra. Grazie anche ai consigli del portiere ex juventino Von Mayer, che era stato riserva di Sentimenti IV, Gigi effettua un campionato superbo meritandosi il premio del Corriere Mercantile di Genova come miglior portiere della serie D.
1964 riconfermato portiere titolare della Sanremese, viene chiamato a difendere la rete della rappresentativa Ligure-Piemontese contro quella Lombardo-Veneta in una partita a Treviglio. La sua ottima prestazione attirò l’attenzione dei tecnici dell’Inter di Helenio Herrera, tuttavia il provino non ebbe seguito poichè l’Inter cercava portieri di statura molto alta. Viene pure notato dal Dr. Carabelli allora presidente della Solbiatese, che lo invitò a Solbiate.
1965-1966 dalla Sanremese passa alla Solbiatese e disputa il campionato in serie C. Il Corriere dello Sport lo definisce il miglior portiere del girone.
1966 la Solbiatese lo presta alla Reggina (serie B) ma Gigi soffre di uno strappo all’inguine per cui viene restituito.
1967-68 e 1968-69 gioca due campionati con la Solbiatese, squadra che suscita ammirazione data la piccola dimensione di Solbiate Arno (meno di 4000 abitanti) rispetto alle altre città della serie C.
1969-70 in prestito al Verbania. Di ritorno da una partita disputata a scopo di benficenza, Gigi è vittima di un incidente stradale causato da un pirata della strada il 14 Luglio 1970.