Con i decreti attuativi del cosiddetto Jobs Act, il governo Renzi generalizza la precarietà e riporta il lavoro alla condizione servile. Renzi attua pienamente i diktat della Troika e riesce a fare oggi quello che neppure il governo Berlusconi era riuscito a fare. Non è altro che questa la sostanza dell’operazione fatta, che coerentemente riceve l’incondizionato plauso di Confindustria.
I decreti confermano la cancellazione dell’articolo 18 per i nuovi assunti, con la fine del diritto alla reintegra. Da oggi come è noto basterà che le imprese etichettino il licenziamento con la motivazione “economica” per aver via libera e dover corrispondere solo una mancia al lavoratore, anche nel caso in cui quella motivazione sia falsa e venga riconosciuta l’illegittimità del licenziamento. Il testo conferma anche la manomissione delle norme sui licenziamenti collettivi accogliendo in pieno la posizione di Alfano e negando ogni ascolto alle richieste avanzate unanimente dai sindacati. Il risultato è la ricattabilità totale di ogni lavoratrice e di ogni lavoratore anche assunto a tempo indeterminato, la restaurazione del dominio pieno dell’impresa nei rapporti di lavoro.
Per altro verso la precarietà nei rapporti di lavoro fa un salto di qualità anche “in ingresso”: alla generalizzazione dell’uso dei contratti a termine per le assunzioni – conseguenza del primo decreto Poletti che ha eliminato la necessità di indicare “la causale” cioè il motivo che giustificasse il ricorso al lavoro temporaneo – si aggiunge oggi l’estensione dell’utilizzo dei voucher, forma massima di lavoro “usa e getta”.
Quanto alla vantata eliminazione delle collaborazioni, non solo queste restanto in piedi nei settori pubblici, ma il criterio indicato per l’individuazione delle false collaborazioni – cioè il contenuto ripetitivo della prestazione ed il suo essere eterodeterminata nelle modalità di esecuzione- non risolve tutti i casi in cui il lavoratore ha qualche margine di autonomia nella concreta esecuzione del lavoro ma è dipendente di fatto, perché la propria sopravvivenza materiale è legata a quel rapporto di lavoro.
I decreti infine danno il via libera anche alle norme gravissime sul demansionamento dei lavoratori, riscrivendo codice civile e Statuto dei diritti dei Lavoratori.
Il Jobs Act non porterà un solo posto di lavoro in più, come non ha portato posti di lavoro in più in tutti questi anni il lungo processo di erosione dei diritti del lavoro, secondo un modello che ha fatto del lavoro precario la cifra del sistema di impresa nel nostro paese, non più chiamata a investire su innovazione e qualità del prodotto, perché certa di poter competere sulla compressione di salari e diritti.
Il Jobs Act è invece un salto di qualità senza precedenti nella riduzione a merce delle persone che lavorano.
Lo contrasteremo in ogni modo, con le mobilitazioni e dichiarando fin d’ora la nostra volontà di arrivare ad un vasto schieramento referendario, perché possa essere cancellata la regressione sociale e democratica che si vorrebbe imporre.
L’ALTRA EUROPA CON TSIPRAS