Federico Fornaro, da due anni senatore della Repubblica dopo un lungo percorso di impegno politico sul nostro territorio (capogruppo Pd in Provincia, sindaco di Castelletto d’Orba, segretario provinciale e vice segretario regionale del Partito Democratico, e molto altro), ha incarichi di grande rilievo, dalla commissione Finanze a quella di Vigilanza dei servizi radiotelevisivi, e vanta un numero di presenze alle votazioni parlamentari che sfiora il 100%, e che fa una sorta di Stakanov di questa legislatura. Lo abbiamo incontrato, come facciamo di tanto in tanto, per chiedergli di aiutarci a capire e interpretare gli ultimi importanti capitoli della vita politica italiana (elezione del presidente della repubblica, legge elettorale, jobs act), e le loro possibili ricadute sullo scenario futuro. Lo stesso Fornaro, negli ultimi mesi, è salito più volte alla ribalta delle cronache nazionali come autorevole esponente della ‘sinistra Dem’, ossia quella parte del Partito Democratico che con il premier Renzi è apparsa più spesso in disaccordo che non in sintonia, senza peraltro arrivare mai a ‘strappi’ definitivi, e anzi mostrando sul fronte dell’elezione del presidente Sergio Mattarella un ampio apprezzamento per metodo e merito della scelta, tanto da far pensare ad una nuova fase unitaria del Pd, e anche ad un sostanziale ‘semaforo verde’ per il premier, che pareva veleggiare in acque sempre più tranquille, almeno all’interno del Palazzo.Questo però solo fino ai giorni scorsi, perché certo non si può ignorare che quanto avvenuto alla Camera, con le minoranze ‘sull’Aventino’ e la maggioranza ad approvarsi in solitudine il ‘pacchetto’ riforme. Si è aperta insomma una nuova fase di turbolenze: tanto che i rappresentanti di Forza Italia, Fratelli d’Italia, Lega, Movimento 5 Stelle e Sel saranno ricevuti martedì dal presidente Mattarella. Ma con Fornaro proviamo anche a parlare di vicende di casa nostra: dall’elezione del nuovo segretario provinciale del Pd Claudio Scaglia (“se avessi fatto parte dell’assemblea elettiva avrei votato per lui”) al dissesto idrogeologico che continua a rendere precario l’orizzonte di buona parte del nostro territorio.
Senatore Fornaro, partiamo dall’attualità: cosa succederà nei prossimi giorni? Il Pd proseguirà ad approvare le riforme in assoluta solitudine?
Lo spettacolo dell’aula semivuota di Montecitorio non e’ stata certamente una bella pagina. Vi sono colpe anche delle minoranze, ma la maggioranza dovrebbe avere ancor più senso di responsabilità. Abbiamo sempre detto che volevano fare le riforme non da soli, e invece così non è stato. Spero che la nuova lettura al Senato possa consentire di aprire un dialogo con tutte le opposizioni, non dimenticando che la riforma costituzionale dovrà essere “letta” insieme all’Italicum con la criticità di una maggioranza nell’unica Camera che dà la fiducia composta da eletti-nominati.
Ma lei Matteo Renzi lo conosce personalmente? Ci parla insomma, oppure i rapporti si limitano a relazioni impersonali e a distanza?
(sorride, ndr) Lo conosco, e ci siamo parlati e confrontati direttamente più volte: l’ultima, sulla proposta della sinistra Dem, che ho elaborato personalmente, relativamente alla nuova legge elettorale.
Ma a quanto pare non l’avete convinto: la legge sembra in dirittura d’arrivo, nella forma e nella sostanza voluta da Renzi e Berlusconi…
Ci andrei cauto, nel senso che abbiamo passato il testimone ai nostri colleghi della Camera, cui spetta l’approvazione definitiva: ma hanno anche la possibilità di apportare ancora modifiche e correttivi. Ed in ogni caso il confronto sul tema con Renzi c’è stato, ed era giusto che ci fosse: noi della sinistra Dem non siamo sabotatori, ma quando crediamo in determinati principi riteniamo giusto difenderli fino in fondo: in questa capacità di essere plurale sta la ricchezza del Partito Democratico. Nel merito, rimango convinto che ci siano nel cosiddetto Italicum alcuni elementi assolutamente migliorabili, in primis la necessità di aumentare il numero di parlamentari effettivamente eletti dal popolo, e non ‘nominati’. Anche perché, attenzione, se la legge elettorale fosse approvata così com’è, significherebbe che ad essere eletta tramite preferenze popolari sarebbe solo una parte dei parlamentari del partito di maggioranza. Mentre tutti quelli degli altri partiti sarebbero ‘designati’ ed eletti all’interno di liste bloccate: e questo, oltre ad essere una limitazione di democrazia, potrebbe anche aprire ad uno scenario di incostituzionalità. Poi c’è la seconda questione, che è quella dei collegi elettorali: più sono grandi, più aumentano i rischi di ‘inquinamento’ della campagna elettorale, da diversi punti di vista. La nostra proposta prevede collegi da 150 mila persone: certamente 600 mila sono troppe. E poi ci sarebbero anche altri rilievi, più tecnici, ma andremmo per le lunghe. In ogni caso, noi abbiamo fatto una seria controproposta, alla luce del sole: e ci siamo comportati credo correttamente, non partecipando al voto.
Una legge, l’Italicum frutto diretto del famoso Patto del Nazareno….
Così si dice in giro: e in effetti, così com’è, consentirebbe a Berlusconi di scegliere a tavolino il cento per cento dei suoi parlamentari. Ma una legge elettorale va elaborata non guardando al presente, bensì con una proiezione ‘in campo lungo’. E poi, se il famoso patto ora non c’è più, dopo le vicende legate all’elezione del presidente Mattarella e quanto successo nei giorni scorsi, mi pare evidente che basterebbe che ci fosse la volontà politica per effettuare le modifiche che consentirebbero un netto miglioramento della legge elettorale. In ogni caso, l’Italicum non andrà in vigore prima del luglio 2016, perché con atti successivi dovranno tra l’altro essere definiti i collegi.
Del resto, proprio a seguito degli ultimi passaggi politici, tutto lascia intendere che Renzi sia più saldo che mai, e che non si voterà prima del 2018: nel frattempo il Pd ha fatto ‘campagna acquisti’ in area centrista ex montiana: un altro passo verso il Partito della Nazione più volte evocato dal premier?
Mi auguro proprio di no: il Partito della Nazione sarebbe semplicemente un tradimento del Pd, così come è nato e come lo vogliamo. Un partito plurale e dialettico, ma saldamente dentro la tradizione del socialismo europeo, e del centro sinistra. Il Partito della Nazione con noi non c’entra nulla: anche se concordo sul fatto (e parlo da analista politico, non da senatore Pd) che oggi in pochi in realtà sembrano avere interesse a correre verso elezioni anticipate. Forse solo la Lega, che pure non mi pare abbia minimamente programma e visione di governo, ma punti solo a far lievitare il consenso cavalcando la crisi.
Torniamo dunque all’elezione del presidente della Repubblica senatore: Mattarella ha avuto il gradimento della sinistra Dem, senza se e senza ma….
Lo abbiamo votato convintamente. Avevamo chiesto a Renzi un nome che avesse caratteristiche di autorevolezza, autonomia, che conoscesse la macchina parlamentare e che fosse di levatura internazionale. Mattarella è sicuramente al top sui primi tre fronti, e anche se non è una figura nota a livello internazionale, è stato comunque in passato ministro della Difesa, e ha comunque tutte le doti per essere un presidente con un profilo di garante, nel pieno rispetto della Costituzione.
Buttiamo uno sguardo a sinistra, sempre con l’analista politico più che con il senatore. Dopo la vittoria di Tsipras e Syriza, e con l’avanzare di Podemos in Spagna, cresce lo spazio per una forza politica di sinistra, e a sinistra del Pd?
Ogni Paese fa storia a sé, e se Tsipras rappresenta senz’altro un segnale positivo, e un messaggio forte all’Europa, è altrettanto vero che nelle prossime settimane dovrà fare i conti con enormi difficoltà oggettive. Dalla Grecia (che però è grande come la nostra Lombardia) e dalla Spagna arriva un tentativo della politica di rifiutare la subalternità all’economia, alla finanza, a poteri forti e non sempre trasparenti. Tuttavia Tsipras credo che comincerà presto a sperimentare quella che Federico Caffè chiamava “la solitudine del riformista”: ossia, una volta che sei arrivato al Governo, gli slogan e i buoni propositi non bastano più, e devi fare per forza delle scelte, anche gravi e gravose. In Italia francamente, finché il Partito Democratico saprà essere forza plurale, e ascoltare (come non sempre è stato fatto nell’ultimo anno, è chiaro) le istanze e le forze sociali, confrontandosi e dialogando, non credo ci sarà spazio per un altro partito, con ambizioni significative.
Renzi però, oltre a dover completare una serie di riforme per lo più solo abbozzate, dovrà soprattutto fare i conti con lo scenario economico, e con il mondo del lavoro. Anche se alcuni macro elementi internazionali sembrano giocare a suo favore….
In effetti la diminuzione del prezzo del petrolio, di fatto la svalutazione dell’euro e una certa nuova attenzione dei capitali stranieri per il nostro paese fanno sperare che la ripresa non sia effimera. Ad oggi le previsioni parlano di una crescita del Pil dello 0,5-0,6% nel 2015, e dell’1,5% nel 2016. Ma anche qualche provvedimento anticiclico, come gli 80 euro in più in tasca (ormai stabilmente) alla parte più debole della popolazione, ha portato ad una frenata nel drastico calo dei consumi: ora speriamo nell’inversione di tendenza. Quel che però Renzi dovrebbe tenere ben presente è la necessità di una maggior condivisione nei processi che riguardano la revisione dei diritti dei lavoratori. Penso a strappi inutili e dannosi, come sull’articolo 18, o a certi toni che tendono alla delegittimazione delle forze sociali e sindacali. In realtà con i sindacati si dialoga, sempre: anche quando non si è d’accordo. E soprattutto è sbagliato pensare di creare occupazione e crescita diminuendo i diritti e le tutele di chi lavora.
I cosiddetti decreti attuativi potranno cambiare in maniera determinante lo scenario creato dal jobs act?
Precisiamo prima di tutto che i decreti attuativi non torneranno in aula, ma saranno oggetto del lavoro delle Commissioni competenti. Credo che lo spazio per migliorare la normativa, e soprattutto per renderla meno vaga e interpretabile in chiave anti lavoratori, ci sia eccome. Esiste ad esempio un problema di proporzionalità rispetto alle eventuali mancanze del lavoratore: mezz’ora di ritardo e un pugno in faccia, per capirci, non possono mica essere sanzionati nello stesso modo. C’è da lavorare insomma: l’importante è farlo in maniera forte, ma anche dialogica e trasparente. Ritirarsi sull’Aventino non serve a nulla: e vale per i sindacati, come per noi della sinistra Dem che siamo più vicini alle loro istanze.
Però, senatore Fornaro, da politologo che non fu mai comunista ma di tradizione social democratica, lei non ha a volte l’impressione di essere finito nella nuova Democrazia Cristiana? A ben guardare, non solo Renzi ma anche gran parte del suo cerchio magico sono l’evoluzione genetica di quella storia lì, anche se naturalmente parliamo di ragazzi e ragazze del ventunesimo secolo..
Ecco, appunto. Io direi che bisogna guardare avanti, a quel che ci aspetta, e a come costruire un paese moderno. No, il Pd finora avrà anche commesso degli errori, ma il suo posizionamento rimane saldamente quello del socialismo europeo. Non siamo la nuova Dc, anche perché nel frattempo è cambiato il mondo.
A proposito di guardare avanti però: lei è anche Segretario della Commissione parlamentare di inchiesta sul rapimento e sulla morte di Aldo Moro. Che senso ha una commissione su un evento del 1978? Cosa ancora c’è da sapere, che non sia già emerso, o che sia stato consapevolmente occultato?
Le uniche certezze su questa triste e angosciante vicenda sono due: il rapimento e l’uccisione della scorta in via Fani e il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via Caetani. Su tutto il resto (prima, durante e dopo) si inseguono misteri, coincidenze, depistaggi, ruoli non perfettamente chiari dei servizi segreti italiani e stranieri. L’obiettivo della commissione e’ quello di provare a fare chiarezza su alcuni di questi aspetti sia sfruttando tecnologie non esistenti nel 1978 (ad esempio per la Renault rossa e le scene del crimine) sia sfruttando l’apertura per “decorrenza dei tempi”degli archivi segreti dei servizi italiani e soprattutto stranieri). Oggi, infatti, si può avere accesso a documenti secretati, prima assolutamente non consultabili.
Diamo uno sguardo allo scenario provinciale, a partire proprio dal Pd: avete un nuovo segretario, Claudio Scaglia, frutto di una elezione con sfumature ‘thriller’, o comunque da congiurati. Insomma, ci riuscirete a superare la fase dei due partiti contrapposti o no?
Dobbiamo, assolutamente. Io non faccio parte dell’Assemblea, e non ho votato: ma se avessi potuto, avrei sostenuto Scaglia, nonostante certamente altri esponenti della sinistra del partito (ma non tutti: anche lì una parte la pensa come me, da Muzio a Negri) abbiano tentato una strada diversa, fallendo. Ora spero che si guardi davvero avanti, oltre qualsiasi guerra per gruppi ideologici, o territoriali. Oltretutto Scaglia, da tortonese, potrà offrire maggiore rappresentanza anche ad un’area qualche volta marginale all’interno del partito: e lo sostenevo, badi bene, ben prima della questione ospedali. Claudio poi è persona autonoma e di equilibrio, non credo che si lascerà strumentalizzare o ‘tirare per la giacchetta’ da nessuno.
Lei a Roma sta seguendo da vicino anche la questione legata al dissesto idrogeologico del nostro territorio, che non è vicenda da poco. Basta spostarsi sulle strade di colline, dal tortonese al gaviese, dall’acquese al casalese, per rendersene ben conto….
A Roma abbiamo ottenuto uno stanziamento di 32 milioni di euro, a livello Piemonte, per far fronte agli interventi di somma urgenza, e in qualche modo offrire garanzie e certezze ai sindaci. Ma non bastano, ci vuole una pianificazione di ampio spettro, e interventi puntuali su tutto il sistema dei piccoli rii e torrenti, da decenni abbandonati per tante ragioni, e che però improvvisamente possono ‘esplodere’. Ce ne siamo accorti anche a Castelletto, il mio paese, con l’Albara. Ovviamente la tutela idrogeologica si interseca con l’altra grande questione di queste settimane, che è l’Imu agricola. Sono stati salvati, accogliendo le nostre istanze, i comuni di montagna, ma occorre anche eliminare ogni forma di penalizzazione per quelli della collina cosiddetta svantaggiata, o povera, oggi follemente equiparati ai comuni di pianura. Penalizzare quelle aree sul piano finanziario significa stimolarne il progressivo abbandono: e le conseguenze le abbiamo già sperimentate lo scorso autunno.
Ettore Grassano