I Pierini [Il Superstite 222]

Arona Danilo nuova“E’ morto Pierino”. La notizia ci arriva così, senza fronzoli, aggettivi o cognomi. Non ce n’è bisogno, perchè Pierino ad Alessandria, e non solo nel mondo dei giornali, era lui. Punto. Venerdì mattina è mancato Pierino Barbarino, coeditore del bisettimanale Il Piccolo, ma anche tante altre cose.

Nessun modo migliore, per ricordarlo, che rilanciare lo splendido Superstite che ai ‘Pierini’ dedicò, un anno e mezzo fa, l’insuperabile Danilo Arona.

 

di Danilo Arona

Dopo averlo citato più volte, ecco giungere il momento di un pezzo dedicato. Mi riferisco a quel locale (bar, pasticceria, ritrovo di nottambuli) che negli anni Settanta divenne il punto di riferimento di una certa Alessandria non conforme e non conformista, personaggi di tutte le ideologie che amavano ritrovarsi per ingannare (nel senso più profondamente filosofico del verbo) il tempo e il suo cupo incedere e per condividere opinioni, affetti, visioni della vita. Da Pierino e Beppe, ubicato al rione Cristo, in corso Acqui, ma per tutti e da subito nella memoria “dai Pierini”, veri fratelli di sangue per quanto esteriormente diversi all’apparenza.

Oggi si potrebbe discutere all’infinito sul perché i Pierini, al di là della loro consueta attività diurna (appunto, il bar pasticceria con paste e salatini che garantisco di straordinaria bontà), dovessero essere tanto frequentati – più o meno dalle 22 in poi, sino a notte fondissima – da quella crème alessandrina dell’epoca, transgenerazionale e socialmente stratificata, che faceva così tendenza al punto che, se non ci andavi, contavi meno di una cacca di uccello scaricata sul tetto di un borgo abbandonato ai confini della Croazia. Il locale in sé era normalissimo: il bar con un paio di tavolini dinanzi al bancone, il laboratorio di fianco, la sala bigliardi di sotto e un ampio salone alle spalle del bar – quel salone dove il popolo si ritrovava. Per dire che (ma capita sempre così) che non era questione di contenitore, ma di contenuto. Chi? Che cosa? Beh, prima di tutto loro, i due impagabili fratelli Barbarino che debordavano in simpatia e professionalità. Ma poi quella roba tanto impalpabile quanto concreta, mancante a troppi finti locali contemporanei, che è l’atmosfera, ovvero il mix autogeneratosi di vibrazioni positive e di gente dalla faccia giusta e dall’amabile comportamento, che ti fa subito sentire a casa tua, facendoti pensare se non esclamare: «Fantastico, ho scoperto il mio locale!»

Così era. Ottimo il cibo, i vini pure e ogni serata si declinava come una jam session. In unRivera angolo, lindo e accordato, un pianoforte a coda aspettava soltanto dita capaci. Un paio di chitarre acustiche non mancavano mai. Trionfante il repertorio di panini al quale io, in prima persona con la collaborazione comprensiva di Pierino, aggiunsi il rinomato “Clinica” (sandwich per i cagionevoli di salute) che ben presto divenne un classico. Vino dell’epoca che andava alla grande, il Rivera fresco, un rosato in grado di abbassarti la febbre e contrastare la prostatite.

Serate clou tra novembre e dicembre, quelle che si trascorrevano come orge tra bucanieri a consumare scodelle di ceci, caldi, ben conditi, in minestra o asciutti, discutendo di politica, di film d’essai, di gnocca – nonostante le pupe circolassero in quantità e in liberissima uscita – e di radio private. Che epoca fosse l’ho scritto all’inizio, ma senza scendere nello specifico. Diciamo che il periodo caldo, con il suo picco di successo che vedeva folle di umani spintonarsi in ogni centimetro quadrato a disposizione, può situarsi dal ’76 sino ai primi anni Ottanta, grosso modo e potrei pure sbagliarmi.

Barbarino PierinoLo spettacolo, ovvio, era la gente. Quasi tutti, nel proprio dominio di competenza, erano artisti – perché già allora Alessandria, su questo terreno, si dimostrava città di meraviglie. Quando Bobo Vergagni s’impadroniva dello strumento, quando il maestro di giornalismo Paolo Zoccola ci regalava pillole di straordinaria competenza sulla complicata realtà sociale dell’epoca (e si faceva il silenzio attorno mentre Paolo parlava), quando le ragazze si presentavano, soprattutto nel week-end, nei loro abbigliamenti più chic perché entrare dai Pierini era “in”, o quando Giorgio “Simone” Simonetti superava sé stesso raccontando a gran voce le sue deliranti peregrinazioni in India. E quando Pino Mantelli lanciava nell’aria la sua inconfondibile risata e Giorgio Cellerino intonava, sempre accompagnato da Bobo, i classici di Cantuma Lisondria.

Purtroppo – sto avviandomi alla conclusione e mi rendo conto che dopo l’allegra rievocazione sta per arrivare la banalità del luogo comune (ma che si può fare?) – purtroppo, dicevo, tutte le storie belle viaggiano a tempo determinato. Noi, la nostra vita, gli amori e le amicizie, e un bel vaffanculo al Demiurgo che si è inventato il ciclo vitale, dimenticandosi della tessera di rinnovo, ci starebbe.

Così anche quegli anni Settanta (coi Pierini, Radio Alessandria International, gliBarbarino Beppe esordi col botto del Teatro Comunale, la nascita del mito del Maratoneta) si sono spenti, estinti, trasformati in altro e/o geneticamente mutati. Sarei un bugiardo se non ammettessi che negli anni Ottanta mi sono persino divertito di più – ho girato mezzo stivale con Quel Pazzo Mondo, ho conosciuto Fabiana, ho gestito per quattro anni una discoteca altrettanto “in” (applicando la famosa massima di Elwood Blues che vi rimando in nota (1) a fine articolo data la sua lunghezza) e ho cominciato a scrivere romanzi horror per i quali sono famoso a New York e sconosciuto ad Alluvioni Cambiò -, ma sarei altrettanto bugiardo se non riconoscessi che una storia come i Pierini non è mai più esistita.

E allora? Rubiamo la citazione finale: è Alessandria, baby, non tentare di capire.

 

(1) L’Elwood-pensiero: Elwood Blues, il magro dei Blues Brothers, intendo, quando sentenziava che non esiste droga al mondo in grado di farti provare la stessa scarica adrenalinica come quella che ti attraversa da capo a piedi, e ritorno, se la gente balla appagata a un metro dal tuo naso e la musica, sotto le tue dita, tira come non mai.

Grazie a Mario Coscarella, e al suo formidabile archivio, per le foto dei fratelli Pierino e Beppe Barbarino