«Questa è la prima volta in cui veniamo attaccati fisicamente, ma non lasceremo che questo ci intimidisca»
Stephane “Charb” Charbonnier, direttore di Charlie Hebdo, 2 novembre 2011
Una bella lezione, di quelle che non si dimenticano. Un avvertimento, tanto per far capire chi ce l’ha più lungo. Una strage, orrenda e premeditata, contro una espressione, irriverente quanto si vuole, della libertà di stampa.
Tignous, Charb, Cabu, Wolinski e altri ancora, anime (e vittime) del Charlie Hebdo, avevano l’abitudine di prendersela con tutti: cattolici, ebrei, musulmani; uomini (e donne) di destra, sinistra e centro. A volte con riuscita ironia, a volte con gratuita cattiveria; ma senza fare sconti a nessuno. Ed è finita come è finita, cioè nel sangue. Al confronto, i nostri intrepidi fustigatori Crozza, Littizzetto, Vauro, Guzzanti, Luttazzi & co. fanno la figura di quello che sono: meschine figure. In Italia il coraggio se uno non ce l’ha non se lo può dare, lo sappiamo bene.
Non credo che quello di Parigi sia un attentato da “strategia della tensione” (più o meno globalizzata), teleguidato da qualcuno con secondi o terzi fini. E’ invece la naturale evoluzione di un disegno in cui certamente si sono saldati interessi diversi, ma che vive di vita propria, approfittando della nostra evidente debolezza politica, religiosa e culturale. Lo scopo è dichiarato: piantare la bandiera a Roma, cuore della cristianità (e quindi della nostra assai vituperata civiltà). In una parola: assoggettare l’Occidente.
Fino a quando queste cose succedevano in Iraq o in Nigeria, ce ne siamo sbattuti allegramente i cabbasisi. Cose loro, pensavamo. Ma adesso che i signori dell’Isis sono arrivati anche da noi, in Europa, dovremmo forse cominciare a preoccuparci. Se la situazione precipitasse, saremmo in grado di proteggere casa nostra? Ma soprattutto: avremmo qualcosa da difendere?