Quando se ne va un artista come Pino Daniele, ognuno inevitabilmente fa i conti con la propria vita per scoprire quanta strada abbia fatto con quelle canzoni e quelle parole e quei riff di blues e quei soli di batteria e di percussioni…e quelle atmosfere. Nelle ore che seguono un fatto così doloroso e carico di malinconia, quando la retorica e la melassa di certi coccodrilli ti spingono a spegnere la Tv, è giusto isolarsi un po’ e tornare indietro nel tempo, anche per capire l’originalità e la grandezza del Pino Daniele artista e compositore, il suo essere un “genere” musicale come qualcuno ha detto in queste ore, la sua continua crescita come musicista e come autore, sempre proiettato verso il nuovo, lontano dalla cartolina che in molti oggi molti vorrebbero vendere, cioè quella che lo vuole rappresentare esclusivamente come prodotto della napoletanità.
E invece no – come diceva una sua canzone – Daniele è stato qualcosa di ben diverso, più ricco e innovativo, dalle prime graffianti composizioni con chitarra acustica e bonghi, all’approdo a un sound più maturo e sofisticato, arricchito dalla vicinanza dei grandi del napolitan power come James Senese, Toni Esposito, Ernesto Vitolo, Francesco Bruno, Gegé di Rienzo, Joe Amoruso, Rino Zurzolo e Tullio De Piscopo. Un artista che, senza dimenticarne le contraddizioni e sfidando certi stereotipi, partì proprio da Napoli per esplorare in senso reale e metaforico la musica migliore, quella che poteva dargli sempre qualcosa di più, lui autodidatta della chitarra, lui sempre desideroso d’imparare e di suonare con quelli che riteneva più bravi, come diceva, pochi giorni fa, in una bella intervista televisiva, quasi un testamento spirituale.
Andate a cercarvi certi video e certi dischi e scoprirete la bellezza di certe melodie coi ricami di Gato Barbieri, Wayne Shorter e Pat Metheny, gli accenti e i colori di Steve Gadd, Peter Erskine e Mike Mainieri, La musica di Pino Daniele ha accompagnato la mia vita come quella di tanti. Musica solare, viva, vitale, da batterci le mani, da voler suonare, se solo se ne fosse stati capaci.
Lo ricordo in mille situazioni, in giro per l’Italia, con gruppi e repertori diversi. Anche qui ad Alessandria, quando in questa città passavano ancora le carovane del rock e del pop e le piazze e il Mocca si riempivano di un’umanità festaiola che alla fine sciamava in giro ancora cantando. con la t-shirt o il portachiavi comprato ai banchi vicino al concerto.
Lui, Battisti, de Andrè, Dalla: generi musicali più che musicisti, appunto, che vivono nei ricordi di ognuno di noi come momento di emozione, sentimento, festa, qualità del vivere. Qualcosa che oggi non può non mancarci e farci sentire un po’ più soli.