L’autismo in Alessandria: riflessioni conclusive

Patrucco Giancarlodi Giancarlo Patrucco

Dunque, siamo arrivati alla fine di questo lungo reportage sull’autismo in Alessandria. Dopo aver toccato tutti i punti sensibili della situazione locale, e aver preso nota dei riflessi nazionali del problema, ora ci sembra arrivato il momento di mettere insieme le conclusioni di chiusura.

Cominceremo subito dagli omissis, che sono stati essenzialmente due:
1. le cause. E’ vero, abbiamo trascurato gli elementi – genetici e ambientali – che sono all’origine dei disturbi dello spettro autistico, partendo subito dalla fase di accertamento e diagnosi. Quindi, dai 2-3 anni di età, quando ormai i sintomi sono presenti, evidenti e leggibili secondo le metodiche correnti più aggiornate.
Ma in questa scelta un motivo c’è: nonostante qualche progresso nella ricerca scientifica, le cause non sono ancora del tutto chiare. Sono stati individuati alcuni elementi distonici rispetto a un quadro di sviluppo “normale”, però sembra che gli elementi di “disturbo” a un corretto sviluppo evolutivo siano molteplici e di difficile definizione.
Invece, proliferano le attribuzioni di responsabilità a questo o quell’agente che viene individuato come causa unica o scatenante del disturbo. C’è chi lo ritiene il prodotto di un accumulo ambientale di sostanze chimiche nocive (mercurio, piombo) nella zona gastro-intestinale; c’è chi punta il dito sulla carenza di vitamina D nella gravidanza; c’è chi mette sotto accusa i vaccini – in particolare la vaccinazione trivalente. Qualcuno ha intentato causa e qualcuno l’ha pure vinta, ma la situazione è intricata e difficilmente decifrabile in modo corretto da semplici osservatori quali noi siamo.
2. le terapie. Le stesse considerazioni valgono per le terapie. Le Linee Guida emanate dalAutismo nostro Ministero della Sanità le passano in rassegna tutte, riportando le valutazioni tratte dalla letteratura scientifica mondiale.
Anche qui, però, quei risultati sono ampiamente e variamente discussi. Il che è facilmente comprensibile. Ogni famiglia, quando deve fare i conti con una diagnosi di autismo, è disponibile a “provarle tutte”, come si dice. In questo modo, finisce per imbattersi in faccendieri e imbonitori che spacciano questo o quel rimedio come risolutivo. Chi ha le conoscenze scientifiche per distinguere fra l’uso di una camera iperbarica e quello del metodo ABA? Chi non rimane irretito dall’ultimo ritrovato della genetica moderna: le favolose staminali?

Ora, probabilmente, avrete capito perché ci siamo tenuti lontani da questi due controversi aspetti. Per fare informazione in modo corretto occorre riferirsi a personalità eminenti, che abbiano approfondito la materia e ne conoscano ogni risvolto. Da ascoltare dal vivo, in una conferenza o, meglio, in un convegno ad hoc.
A questo, stiamo lavorando.

Già accertare lo stato di gestione del problema autismo in Alessandria non ci è sembrato facile. I numeri, ad esempio. Il dottor Cremonte, primario di neuropsichiatria infantile all’ospedale Cesare Arrigo, ci dice che a livello regionale la percentuale attuale di minori “è intorno al 4 su 1.000. Cioè, 1 bambino ogni 250 soffre di una sindrome dello spettro autistico.” E aggiunge: “Un bacino come quello alessandrino-astigiano conta circa 100.000 minori. Al 4 per 1.000, fate voi”.
Abbiamo fatto, dottore: sono 400 c.a. Non poca cosa, se si tiene presente che altre patologie di carattere neurologico, con numeri inferiori, sono comunque molto più conosciute e note.

Dalla dottoressa Cordella, direttrice della Struttura territoriale di Neuropsichiatria Infantile dell’Azienda Sanitaria Alessandrina, apprendiamo poi che il nostro territorio si attesta al 5 per 1.000. Quindi, a un livello superiore a quello della media regionale: “su una popolazione 0/18 di 65284 soggetti abbiamo oltre 300 diagnosi di disturbo dello spettro autistico su pazienti in età evolutiva, effettuate dalla Neuropsichiatria infantile nell’ultimo decennio. Oltre 1/3 sono minori di anni 8.” Il che sembra voler dire, tra l’altro, che i nuovi casi accertati sono in ulteriore aumento. Un disturbo in crescita, dunque, come d’altronde apprendiamo da stime condotte in molti altri Paesi, anche se alcuni sostengono che sono le nuove metodiche diagnostiche a permettere di individuarne di più.

AutismoComunque sia, la fascia che presenta potenzialità maggiori di miglioramento è quella che va dai 3 anni (e qui si comprende bene quanto sia importante una diagnosi sempre più precoce) ai 10-11 anni d’età. Non è un caso, dunque, che su questa fascia si concentrino gli sforzi prevalenti delle organizzazioni e degli operatori. Dopo, l’impegno scema, fino a sfociare nel socio-assistenziale quando il soggetto ha raggiunto la maggiore età. Però, ricorda il già assessore regionale alla sanità Cavallera: “I disturbi dello spettro autistico insorgono in età evolutiva, ma hanno nella quasi totalità dei casi un andamento che prosegue in età adulta. Finora i percorsi di cura regionali specifici si sono limitati alla sola età evolutiva.” E, in precedenza: “la scelta di interventi dettati non dalla situazione concreta, ma dalle risorse che si hanno a disposizione, la mancanza, quindi, di un percorso di vita che si articoli in tappe interconnesse ed evolutive, sono elementi che rischiano di inficiare una prospettiva di autonomia che, non solo renderà inutile ogni precedente intervento, ma comporterà nell’età adulta una dipendenza completa e pesante da forme assistenziali che a quel punto nulla avranno di inclusivo”.

Già, le risorse. Il nostro viaggio nell’autismo alessandrino ci ha permesso di conoscere risorse umane di grande valore, dietro le quali si muovono e interagiscono decine e decine di operatori qualificati, capaci di grande abnegazione e di grande sacrificio. Abbiamo visto, a Le Mete, che in questo settore non esiste concorrenzialità fra pubblico e privato, così come non prevale la ricerca del business. L’autismo è un disturbo complesso e l’interazione fra coloro che agiscono sul soggetto è sentita come impegno cogente per aumentare le possibilità di conseguire progressi nelle cure.

Caso mai, ci è sembrato di intravedere qualche impaccio burocratico-istituzionale, qualche ritardo di funzionalità nell’organizzazione di una macchina così delicata e complessa. Prima di tutto, c’è bisogno di più informazione e di più formazione. A tutti i livelli. Poi, ci pare della massima importanza che i punti di contatto fra aventi causa: famiglia, strutture sanitarie, servizi socio-assistenziali, scuola, non siano segnati da paletti di confine, bensì da aperture e fecondi scambi. Il Nucleo dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS), previsto dall’accordo Stato-Regioni dell’anno scorso, potrebbe essere l’ingranaggio su cui far leva per spazzar via incrostazioni e ritardi. Noi ci permettiamo di suggerire che ogni nucleo appresti un tavolo, aperto anche agli altri soggetti-attori, dove sia più facile individuare i problemi e cercare le soluzioni più efficaci.

Ma saremmo degli illusi se non prestassimo attenzione a una richiesta che ci arriva da ogni parte. Per sviluppare un programma consono all’entità del problema in campo, servono (anche) soldi. Sempre l’assessore Cavallera ci ricorda che “possiamo stimare in Regione Piemonte oltre 12.000 soggetti di tutte le età con queste patologie. Quelli di età 0-18 seguiti dai servizi nel 2012 sono stati circa 1700.” E gli altri? Quelli non seguiti in età 0-18? Quelli a cui il passaggio alla maggiore età lascia aperta soltanto la porta dei centri diurni? Quelli provenienti da famiglie che non hanno la possibilità materiale di far fronte alle costose, sistematiche, lunghe terapie che l’autismo comporta?

Così, chiudiamo con una riflessione che sa di accorato appello. L’autismo è un disturbo invasivo che colpisce migliaia di nostri concittadini. Se non contrastato adeguatamente, provoca gravi danni, fino ad arrivare all’incapacità di assolvere alle più basilari attività della vita: lavarsi, vestirsi, alimentarsi, comunicare, stare con e in mezzo agli altri. Riconoscere se stessi, persino, e chi ti sta intorno.
Ci pensi la Regione Piemonte, quando fa il piano di ripartizione delle risorse da assegnare ai singoli comparti. Ma pensiamoci anche noi, individualmente o in virtù della nostra appartenenza ad associazioni, comitati, gruppi, fondazioni no profit. Difficilmente gli autistici vi diranno mai grazie. Lo facciamo noi per loro.

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Chi vorrà seguirci ancora in questo reportage, la prossima settimana troverà un’appendice fatta di due contributi – un testo e un video d’animazione – sempre connessi al tema, ma giocati in chiave poetico-letteraria.
E’ la settimana di Natale. Auguri.