Antonio Marangolo, artista dai mille volti: “Ma più di tutto mi piace scrivere”

Marangolo 1di Debora Pessot

 

E’, semplicemente, un pezzo di storia della musica. Il suo sax si può ascoltare nei dischi dei Goblin, Paolo Conte, Vinicio Capossela, Ornella Vanoni, Sergio Endrigo, Miriam Makeba, Antonello Venditti, Ivano Fossati, Stefania Rotolo, Sergio Caputo, Armando Corsi, Francesco Guccini e altri.

Il maestro Antonio Marangolo è un artista a tutto tondo: saxofonista, compositore, arrangiatore, pianista, percussionista, scrittore, pittore.

Da circa sette anni vive a Ovada, all’ultimo piano di uno stabile in centro.
Entrando in casa sua si resta letteralmente a bocca aperta: su tutte le pareti spiccano gli affreschi che ha realizzato personalmente. ‘Ci ho messo quattro mesi a farli’ – racconta ‘perché in ogni posto dove mi trovo, voglio sentirmi a casa’. Tinte calde e oro che evocano paesi lontani, con influenze indiane e arabeggianti e che parlano delle sue origini.

Antonio nasce ad Acireale nel 1949 e a vent’anni con il suo quartetto rock si trasferisce a Roma e lascia la Sicilia che ormai gli sta troppo stretta, fatta di contraddizioni e di chiusure che per un giovane, in quegli anni, rappresentano un freno all’entusiasmo e all’arte.

“In realtà, i miei genitori erano molto liberali. Noi potevamo fare tutto, sia mio fratello che io. Mia madre veniva da una famiglia gattopardesca, mio nonno era un barone, mentre mio padre era un borghese, un avvocato. Tutto sommato, per quei tempi, mio padre ci aveva ha dato un tipo di educazione ‘avanzata’, per cui noi potevamo fare tutto ciò che volevamo. Potevamo suonare, uscire la sera, ecc. Ma c’era il risvolto della medaglia … andavo a scuola dai gesuiti e siccome mio padre si ammalava spesso (soffriva di una grave depressione), partiva per viaggi lunghi, a volte stava via nove mesi con mia madre. Mio fratello ed io stavamo da degli zii ‘ottocenteschi ’e io pativo da morire, soffrivo. Erano molto rigidi. Quando mio padre tornava si stava bene. A casa mia transitavano professori che parlavano di Roma e io mi sentivo attratto da quei racconti. Vivevo queste due realtà, quando mio padre stava bene era una favola, poi tornavo da zio Carmelo e i dai gesuiti … Mi consideravano un ribelle”.

 

Come diventi musicista e perché?Marangolo 2
È una storia lunga. Ho iniziato a suonare quando lo hanno fatto tutti, per la moda dei Beatles a metà degli anni ’60. In quel periodo tutti suonavano: dai direttori di banca ai muratori. Mano a mano sentivo che grazie alla musica, quella musica che andava di moda in quel periodo, avrei potuto andarmene dalla Sicilia. Io stavo malissimo là, pativo una situazione borbonica, clericale, bacchettona, arretrata. Quindi ho fondato un gruppo rock (io allora cantavo e basta) con mio fratello Agostino (oggi batterista di Pino Daniele) che aveva tredici anni e due miei cugini. Suonavamo Hendrix, Led Zeppelin, roba dura insomma. Li costringevo a provare tutti i giorni, compreso Natale e Capodanno, ascoltavamo i dischi e li copiavamo, eravamo autodidatti, ma dopo circa tre anni suonavamo bene. Abbiamo lasciato la Sicilia e ci siamo trasferiti a Roma. Con i ‘Grog’ (questo era il nome del gruppo), abbiamo subito ottenuto un ingaggio discografico. Facevamo il progressivo italiano, non abbiamo avuto il successo della Premiata Forneria Marconi o degli Area, ma il genere era quello. Abbiamo partecipato a grandi eventi nella Capitale e abbiamo suonato al “Piper”, al “Titan” e in tutti i clubs più frequentati e famosi. Tutti pensavano che saremmo tornati e così non è stato. Mio fratello, tra l’altro, andava a scuola, ma convinsi mio padre a fargliela lasciare….’lo fece con una semplice telefonata’ – dice sogghignando.

Senti la nostalgia di casa?
Della Sicilia? No, affatto. Per adesso casa è questa. Ho circa trentatré traslochi sul groppone.

Conte PaoloCome sei approdato a Ovada?
Mirco Marchelli mi ha convinto a venire qui. È un grande amico, pittore e trombettista nell’orchestra di Paolo Conte, conosciuto in quell’occasione, e che mi ha sempre detto, ‘vieni qui che c’è da fare’ … e sì, un po’ abbiamo fatto.

Com’è cambiata la musica?
Tutto cambia sempre. Alla mia età si rischia di fare il vecchio trombone a dire era meglio prima e non voglio cadere in quella trappola. Anche se in questo momento è difficile non farlo. Lasciamo stare il jazz, i cantautori e quello che faccio ora, ma prendi il rock .. io conosco bene il rock di quel periodo, e in quello che fanno oggi – compresi i favolosi ‘U2’ – non c’è nulla che possa essere portato all’altezza delle vette raggiunte negli anni ‘60/’70. Soprattutto se parliamo del pop inglese, perché è dall’Inghilterra che arrivavano tutte le novità, e non dall’America che commercializzava. Dall’Inghilterra arrivavano i dischi di Hendrix, dei Cream, di Emerson … ed erano tutti uno diverso dall’altro, ma non poco … erano completamente diversi!

Quindi Beatles? E non Rolling Stones …
Io sono un beatlesiano, ma ho molta simpatia per i Rolling, soprattutto per Keith Richards … mi fa impazzire. Però musicalmente direi assolutamente che sono per i Beatles, non tanto per i quattro ragazzi che sono stati ben guidati, ma dallo staff che comprendeva il manager Brian Epstein e, soprattutto, George Martin che arrangiava i dischi perché loro erano decisamente troppo giovani per riuscire in quell’impresa.

Ricordi e aneddoti con i grandissimi? Quelli che hai più nel cuore …Guccini
Nessuno (e scoppia in una sonora risata, ndr). Nessuno ho nel cuore. Da un punto di vista artistico, i ricordi più belli sono legati a Paolo Conte. Perché con lui e la sua orchestra abbiamo conquistato l’Europa a partire dall’85. Quelli sono stati gli anni in cui abbiamo suonato dappertutto, il gruppo era fortissimo e io ho avuto un sacco di soddisfazioni. Conte mi ha messo davanti a lui con carta bianca, mi ha detto ‘tu fai quello che vuoi’ … quindi gli devo moltissimo in questo senso. Adesso che c’è meno lavoro rifarei tutti i pasticci che ho fatto nella mia vita, compresi quelli sentimentali (ci vorrebbero almeno due settimane per raccontarteli!). Ma se c’è una cosa che non rifarei è suonare per altri. Ma sai perché? Avendo i numeri e scrivendo una sacco di musica, avrei dovuto fare per me e non essere ‘il saxofonista di …’, avrei dovuto insistere e cercare di essere io il leader di un quartetto. Oggi lavorerei di più, invece una volta che entri in quel giro finisci con la Vanoni e passi a Conte, poi suoni per Guccini, poi fai il disco di Capossela e così via. Siccome i guadagni sono ben più alti di quelli che potresti fare in proprio, è difficile dire no. Io sono fortunato, intendiamoci. Non ho fatto canzonette. Sono tutti dei grandi, compreso Ornella che stimo moltissimo. Ho suonato con dei grandi: Fossati, Vanoni, Conte, Capossela e Guccini. Ho suonato nei dischi di altri ancora, tra cui Miriam Makeba.

MakebaCome è stato suonare con Miriam Makeba?
Difficile. Era già abbastanza stanca. Pativa lo studio del pezzo in italiano. Perché si è fatto solo il pezzo che ha cantato a San Remo insieme alla Caselli, che tra parentesi non mi piaceva.

Sei stato a Sanremo, quindi?
No, Ho solo suonato nel disco con i miei musicisti di allora, quelli del giro di Conte. La Caselli voleva che andassimo assolutamente a suonare a Sanremo con la Makeba, ma noi, saremo anche un po’ snob, abbiamo una regola: non andare mai a Sanremo! E infatti, non ci siamo mai andati. In quel caso insistevano, per cui abbiamo trovato un escamotage: abbiamo chiesto una cifra altissima a testa. Certo è che se ce li avessero dati sarebbe stato un disastro…

Perché Sanremo no? Troppo commerciale?
È una scelta politica. Noi siamo una piccola schiera di musicisti (del giro di Conte e di Guccini) che abbiamo voluto di mantenerci entro un certo confine. Oggi questo confine non c’è più. Una volta c’era la musica buona e la musica di … diciamo non buona. Oggi è tutto un miscuglio, adesso è solo denaro. La differenza col passato che vedo io, è che una volta si facevano le cose belle, sperando di farci i soldi perché erano belle. Adesso si parte con l’idea che si devono fare i soldi, che le canzoni devono piacere per guadagnare. In realtà il commerciale c’è sempre stato, ma almeno c’era la fetta dei non commerciali che dignitosamente lavoravano rompendo questi spazi. Tolto questo confine, lo spazio è diventato minuscolo perché tutti fanno tutto. Tutti vanno in televisione. Sarò antico, ma questo ha comportato un abbassamento del gusto del pubblico a livelli minimi, di cui Ligabue è la cartina di tornasole, ossia del bassissimo livello critico del pubblico italiano. Pochi sanno resistere ad andare a Sanremo. Ti faccio l’esempio più eclatante: gli Avion Travel. LoroAvion Travel erano un gruppo serio. E non solo sono andati a Sanremo, ma hanno avuto anche la disgrazia di vincere: sono spariti. Perché se tu fai un certo tipo di musica e segui un certo tipo di politica artistica ti crei uno zoccolo duro di seguaci che vengono ai tuoi concerti, magari non sono tantissimi, ma verranno sempre tutta la vita e non vogliono essere delusi. Se ci pensi, alla fine è quello che succede oggi con la politica, hai visto quanta gente non va a votare … in Emilia Romagna poi. Tu mi deludi e io non ci vengo più!

Quando è nata la tua passione per la pittura?
Una mattina a Roma. Mentre aspettavo che uscisse il caffè giocavo con le scatole del thè Twinings, che hanno dei colori bellissimi, e ogni mattina le spostavo a seconda dei colori. Poi mi sono comprato tutto il necessario e ho cominciato. Io non so disegnare benissimo, però ho una predisposizione al colore di istinto notevole. Ritengo sia una propagazione della musica, è come accostare gli strumenti. Quando abbino i colori mi sento come un bambino, mentre spargo il bordeaux magari penso già al beige da metterci vicino. I mei quadri spesso li faccio in dieci, quindici minuti.

La passione per la scrittura?
Risale alla mia infanzia. Ho sempre scritto. Anziché fare i compiti scrivevo storie. Di tutte le cose che faccio devo dire che è quella che mi va meno, perché lo faccio con una facilità estrema. Mi faccio i complimenti da solo, ma la stesura è quasi sempre buona la prima. Magari in tre giorni scrivo due trecento pagine e al massimo ci puoi trovare due o tre errori.

Perché è la cosa che fai con meno passione?
Proprio per quello che ti dicevo prima. Lo faccio senza fatica e se non c’è la sfida io mi annoio. Ad esempio, il saxofono è lo strumento che mi dà da vivere e devo studiarlo almeno due o tre ore al giorno. Mentre posso stare anche vent’anni senza scrivere e quando ricomincio mi viene facile.

Che tipo di storie racconti nei tuoi libri?
Sono tutti romanzi con una componente surreale, ma non esagerata. Mi piace ispirarmi allo stile delle opere cinematografiche di Luis Bunuel, regista che adoro. Nei suoi film c’è sempre una componente di surrealismo. Anche se non è la cosa più importante, perché ciò che mi interessa di più sono i rapporti umani. Trovo che la cosa meno noiosa sia la vita stessa. Quando gli amici si incontrano se uno inizia a parlare degli affari propri (cosa assai difficile in Piemonte), oppure uno sconosciuto che nell’autobus ti racconta la sua vita, allora l’argomento diventa interessantissimo. Io sono più un narratore che uno scrittore. Ciò che mi interessa di più è vedere come reagisce l’essere umano di fronte agli eventi. Se vengo tradito come reagisco? Uccido? Me ne frego? Parto? Oppure se sono io a tradire, come reagisco? Che poi, se ci pensi, è quello che succede nella vita.

C’è qualcosa di te nei tuoi libri?
Tutto. Sono sempre io. Soprattutto nelle donne. Nei personaggi femminili sono io in pieno. Perché ho una parte femminile molto forte, dal punto di vista psicologico. Dal punto di vista fisico no. Se esco con la mia fidanzata e tre amiche sue, non mi annoio mai perché sento pulsare la vita, anche se parlano di sciocchezze. Se esco con tre uomini mi rompo dopo cinque minuti. Molti pensano, leggendo i miei libri, che io sia misogino, in realtà è tutto il contrario. Avrei tanto voluto avere una sorella. Scrivere è bello, perché, al contrario della pittura e della musica, sei completamente libero.
Nessuno copia un personaggio reale, al massimo ti ispiri ad un personaggio reale e poi dentro ci metti quello che vuoi. Nei personaggi femminili e anche nel protagonista di solito ci metto tutto ciò che mi è successo. Non ho fatto la guerra civile in Spagna, ma la mia vita è abbastanza piena di avvenimenti, avventurosa, soprattutto nel campo della passione amorosa.

Cosa fai oggi? Quali sono i tuoi progetti?
Al momento sono saxofonista al 100%. Non dipingo da quando ho fatto la mostra quest’estate. Non sto scrivendo, perché ho cinque o sei romanzi nel cassetto ultimati. Diciamo che sto entrando in quella fase di maturità per cui sento che devo qualcosa a questo strumento che alla fine mi ha dato da mangiare. Pensa che l’ho scelto a caso. Io volevo una tromba. Avevo già ventisette anni. Ero fallito come cantante, fallito come pianista e senza lavoro. Entrai in un negozio di strumenti a Roma e quello del negozio mi ha detto ‘no, la tromba no! Prenditi un saxofono.’ Io ho detto ‘va bene dammi il saxofono’. Ma mi avesse proposto qualsiasi altro strumento lo avrei preso. Volevo restare nel mondo della musica, per cui ho preso questo strumento. Non sapevo suonarlo, ma avendo suonato il piano un po’ la musica la conoscevo. Sempre a memoria. Così sono andato in Sicilia ad esercitarmi. Là un’ora dura un’ora e mezza … quindi se studi due ore è come se ne avessi fatte tre’. Dice ridendo. ‘Sono stato un anno intero a provinarmi, per acquisire la manualità: dalle otto del mattino alle otto di sera non facevo altro. Poi sono tornato a Roma e mi sono fatto ben quattro anni di night club a Via Veneto tutte le sere, dalle nove alle cinque del mattino. Però ho imparato a suonare.

Quindi hai vissuto la ‘bella vita’?
Beh, io la vedevo da ‘sfigato’.

Tieri LojodiceChi hai visto di famoso?
Qualche attore. Ho un ricordo bellissimo di una notte. Saranno state le due e mezza. C’era la sala vuota e il proprietario ci obbligava a suonare lo stesso. Ti parlo del 1978, ad un certo punto entrano Aroldo Tieri e Giuliana Lojodice. Allora erano quarantenni, bellissimi e abbronzati … Aroldo viene sotto il palco e mi chiede ‘sapete suonare Disco Inferno?’ e io ‘come no?’ Hanno ballato solo per noi. Benissimo. Lei era bona da morire, gambe mai viste così, un gonnellino corto corto. Hanno danzato e poi ci hanno salutato con la mano e se ne son andati.
Poi nel 1980 tutto è cambiato. La vita è legata al caso, come ha sottolineato Woody Allen in Match Point. Io ho uno strano rapporto con la spazzatura, me la scordo sempre. Allora, ricorro ad uno stratagemma, la metto davanti alla porta, ma spesso quando esco scavalco il sacchetto e così resta dove l’ho lasciata, oppure me la dimentico in auto e ti lascio immaginare che puzza. Per cui poi lo scarico in una delle città dove sono diretto. Quella mattina sono uscito e, come al solito, ho dimenticato la spazzatura. Per cui sono andato a recuperarla in casa e sento suonare il telefono. Era la mattina di Capodanno. Per giunta alle nove quando è tutto morto, fermo. Era l’RCA che mi diceva che il saxofonista di Fossati si era ammalato e mi chiedevano di sostituirlo. La sera prima al night c’era uno dell’RCA che mi aveva sentito. Tu pensa come va la vita … oggi sarei ancora al night club. Così da Fossati sono partito. A Milano ci ha sentito la Vanoni e ha preso tutto il gruppo di Fossati. Poi con la Vanoni sono entrati quelli che suonavano con Guccini e io ho conosciuto loro. Poi Conte, e così via, ma tutto per pura coincidenza. Perché se io fossi uscito con il sacchetto dell’immondizia e non fossi rientrato in casa, avrebbero chiamato un altro. Allora non c’erano i cellulari. Mi hanno fatto andare subito a fare le prove, perché erano in ritardo.

Quando hai pubblicato il primo libro? Chi ti ha spinto?
Il computer. Non lo volevo. Ho un’avversione per la tecnologia. L’ho preso nel 2001/2002 ed era un giocattolo. Scrivere al computer vuol dire cancellare, spostare, stampare. Ho cominciato a divertirmi e a giocare. Del primo libro avevo già gli appunti e l’ho scritto.
Quando scrivo esco dalla vita reale, divento quello lì .. mentre scrivo mangio pane e formaggio, dormo poco … lo devo finire perché ce l’ho in testa.

 

Hai pubblicato un romanzo con Mondadori?Complice-lo-specchio
Si, e pare che in primavera pubblicheranno il secondo. Mi hanno mandato una mail l’altro giorno. Mi hanno fatto il contratto per tre libri: ‘Complice lo specchio’, pubblicato quest’anno, e gli altri due che sono ‘La ninfa la mia’ e ‘Il Cavaliere Politi’.
Mondadori ha trovato i miei libri da Guccini. L’editor di Guccini è amica di sua moglie Raffaella, ha visto i miei libri in casa loro, perché Francesco ce li ha tutti. È stata Raffaella che li ha segnalati. Questa li ha presi, li ha letti tutti e cinque e hanno deciso di pubblicare ‘Complice lo specchio’, ritenendo che fosse il più interessante.

Delle tre passioni, qual è quella che ti fa sentire più in equilibrio con te stesso?
Secondo me, io faccio sempre la stessa cosa in tre forme diverse. Sia che si parli di letteratura, di pittura, di stesura di pezzi, ossia del lato creativo. Poi c’è il lato manuale, quello che mi ha dato da vivere che riguarda lo studio e la fatica di soffiare dentro un saxofono e di guadagnare dei soldi. Il mio sogno sarebbe quello di sapere fare una cosa sola, ma benissimo e invece questa sensazione non ce l’ho. Penso di farne troppe.

Quella dove ti senti più bravo?
Scrivere, mi viene naturale. È come se non fossi io. Come se ci fosse qualcuno dentro di me che sa cosa fare. Anche mio papà scriveva. Ha pubblicato un libro con Bompiani. Una volta, quando era già vecchio, gli hanno chiesto ‘avvocato, ma chi è più bravo a scrivere? Lei o Antonio?’ e lui rispose ‘Antonio mi polverizza’.

 

I suoi libri:

Complice lo specchio 2014
E’ uscito “Complice lo specchio” primo romanzo di Antonio Marangolo con Mondadori

Il saxofono ben temperato 2011
Quest’opera raccoglie un racconto breve, acquerelli e un cd che contiene 24 pezzi transtonali per saxofono tenore e pizzicordo baritono. Come ha scritto Giovanni Choukhadarian: “Questo è non soltanto un libro intelligente e quindi buffo, ma anche e strepitosamente cromatico. Avèrcene, così.”
“Ai grandi geni del passato che si trovano in Paradiso il Padreterno concede la facoltà di tornare sulla terra per qualche giorno e Bach se ne va negli Stati Uniti a sentire jazz. Lì incontra Ornette Coleman al Central Park, intento a studiare su una panchina le partiture de “Il clavicembalo ben temperato”. Dal dialogo dei due che affrontano argomenti musicali e filosofici nasce il progetto di far eseguire nuove invenzioni a tre voci in stile jazzistico che Bach consegna a Ornette perché amerebbe sentirle eseguite da un sax. Coleman le accetta ma decide di affidarne l’esecuzione a un misterioso suonatore di pizzicordo baritono, Nino Manolo Tragao che, a sua volta, le eseguirà in compagnia di un oscuro saxofonista emigrato al nord dalla Sicilia.”
Da questo lavoro è tratto uno spettacolo teatrale con Antonio Marangolo al sax, un attore che legge il racconto, le basi registrate del pizzicordo baritono e la proiezione delle partiture che scorrono in tempo reale mentre vengono eseguite.

Il Circo Moreno 2010 (in copertina un dipinto di Antonio Marangolo)
Un musicista di strada si intruppa in uno strano circo triangolare e non convenzionale in cui gli artisti si esibiscono presentando numeri surreali. Verrà così a contatto con un piccolo mondo perfetto regolato da convenzioni anticonformiste fino al giorno in cui problemi d’amore (che qualcuno ha definito ‘la festa del diavolo’) incrineranno il magico equilibrio.

Il barone du Vallon 2006
Al protagonista di questo breve romanzo, un ingegnere grande come un gigante che sembra vivere nell’epoca sbagliata, e al suo migliore amico, orafo, avvenente e grande conquistatore, accadranno fatti inconsueti incontrando la misteriosa Elena a Galatea Marina, provincia di Saragosa, piccolo paese sul mar Ionio abitato da contadini e non da pescatori. Siamo agli inizi degli anni Settanta e l’assenza di telefoni cellulari rende possibile agli amanti una vita ardimentosa.

 

Il Cavaliere Politi 2003
Un viaggio nei ricordi di una Sicilia non del tutto tramontata, un concentrato di “insularità” permeata da quel desiderio di fuga tipico della letteratura siciliana, da quale deriva un tipo di umorismo sornione frutto forse di un carattere schivo, in parte ombroso, che confina con un’antica saggezza, quella di un’umanità che ha troppo visto per lasciarsi abbindolare dalle apparenze più sfacciate