Il glottologo Pelopida Calamandrelli, vissuto a cavallo tra il 15° ed il 16° secolo e ricordato per l’alato pensiero “os fellatio implet…“, scrisse nel suo capolavoro “Citi actus laus” che le cose belle hanno sempre breve durata.
Per alcuni ani infatti, pochi purtroppo, la Goliardia Alessandrina organizzò nell’ambito delle manifestazioni di carnevale, un evento sicuramente unico al mondo e purtroppo caduto presto nel dimenticatoio: la battaglia del borotalco.
Non possiamo però dissertare di questo evento se prima non lo inquadriamo nella storia e nella leggenda.
Quasi tutti gli Alessandrini conoscono il già citato Gagliaudo, la maschera cittadina, l’eroe della furbizia contadina, simbolo della maniera di levarsi sempre dai pasticci tipicamente alessandrina! Chi invece non conosce Gagliaudo, e questo vale sia per gli Alessandrini (rei di una colpa sacrilega) che per i foresti (macchiati da un “semplice” peccato mortale), può prendere al volo il primo, sostanzioso uccello padulo che vede ed attaccarvisi…).
Ecco la storia.
Autunno 1174, Federico II di Svevia, il Barbarossa cinge d’assedio Alessandria, convinto di espugnarla in pochissimo tempo, ma i giorni passano e trascorrono così l’inverno e la primavera ed i circa ottomila Alessandrini non cedono, continuano a resistere pur essendo ridotti alla fame. Molti già pensano di arrendersi. A questo punto leggenda e realtà si mescolano. La tradizione vuole che un popolano di Borgoglio, frazione di Alessandria (rasa al suolo nel 1732 per far posto alla Cittadella), Gagliaudo Aulari, si presenti ai capi della città, suggerendo loro uno stratagemma per liberarsi dal Barbarossa.
Ottenuto il consenso, Gagliaudo preleva l’ultima mucca rimasta in Alessandria e le fa mangiare l’ultimo sacco di grano, poi esce fuori dalle mura con l’animale.
Subito i soldati tedeschi, con la pancia vuota come gli Alessandrini, ammazzano quella povera bestia per mangiarsela e aprendola trovano le budella piene di grano: Barbarossa, prontamente informato, interroga Gagliaudo, che gli dà la celeberrima risposta, per noi uno dei più importanti elogi per gli abitanti di Alessandria, contenuta in un’antica stampa (vedi foto n. “1“), che, al solo leggerla o udirla, ci viene la pelle d’oca:
“Per mancansa ‘d fen, per mancansa ‘d paia
A mantnuma er bestii con dra granaia;
Ma at dirò a nom di me fioi,
E a pos propi dili con orgoi,
Che sum mancheisa ancasei er gran,
In cederan mai i Lisandren, in cederan!”
(Per mancanza di fieno, per mancanza di paglia, / Manteniamo le bestie con della granaglia; / Ma ti dirò a nome dei miei figli, / E posso proprio dirlo con orgoglio, / Che se ci mancasse anche il grano, / Non cederanno mai gli Alessandrini, non cederanno!)
Il Barbarossa si convince che la città nuoti nell’abbondanza e che non sia possibile prenderla per fame, per cui, nella notte del giorno successivo, il Sabato Santo, toglie l’assedio.
La battaglia del borotalco.
Questa battaglia, chiamata così perchè i proiettili usati erano dei sacchetti pieni di borotalco (gentilmente offerti dalla Paglieri SpA, fin da allora uno dei vanti dell’imprenditoria alessandrina), era la rievocazione di carnevale dell’assedio di Alessandria da parte del Barbarossa (non ce ne voglia il nostro Fratello in Goliardia Barbarossa Magno…).
In piazza Garibaldi venivano preparati, grazie anche al lavoro degli operai del comune (rimpianto dei sindaci illuminati!), i baluardi (vedi foto “2“) che dovevano simboleggiare le mura di Alessandria, sui quali, il giorno della battaglia, si asserragliavano, vestiti di stracci, quelli che interpretavano i difensori, gli Alessandrini ed all’esterno delle mura erano posizionati gli assedianti, i tedeschi del Barbarossa.
Tra assediati ed assedianti (quasi tutti Goliardi) iniziava una tremenda battaglia a base di lanci di sacchetti pieni di borotalco: i sacchetti piccoli erano lanciati a mano, mentre per quelli più grossi, veri e propri sacchi, venivano usate addirittura delle catapulte costruite ad hoc; spesso e volentieri sia i “lanciatori manuali” che i serventi delle catapulte “sbagliavano” la mira e colpivano la folla filistea che, sempre numerosa, assisteva alla manifestazione!
Non ci voleva molto per vedere sia i combattenti che il pubblico diventare bianchi come dei mugnai, mentre una candida nuvola, una vera e propria nebbiaccia di borotalco aleggiava su tutta piazza Garibaldi, si insinuava attraverso le finestre, anche se ermeticamente chiuse, entrando nelle case, tanto che le madame del circondario si lamentavano in quanto per giorni e giorni dovevano fregare per levare la polvere di borotalco dai mobili, dai lampadari e persino dall’interno dei cassetti!
Sembra che, proprio a causa di queste lamentele, la battaglia del borotalco, siamo nella metà degli ani ’50, non sia più stata permessa né in piazza Garibaldi, né in altri siti, anche i più isolati, i più decentrati della città.
Poi si è scoperto che il borotalco, se respirato in abbondanza, può anche fare male ed allora i veti divennero definitivi, inappellabili!
Neppure quando qualcuno propose di sostituire il borotalco con l’innocua farina, in comune furono irremovibili: no assoluto!
E’ bello vedere che i nostri peneamati politici, di ogni colore e tonalità, che dagli ani ’50 ad oggi si sono succeduti alla guida della nostra città, abbiano così bene tutelato la salute dei loro concittadini, non importa se in piazza Garibaldi hanno sempre permesso ed ancora permettano che si continui a respirare la merda degli scappamenti di migliaia di automobili, non importa se hanno fatto finta di non vedere più o meno famose aziende, sia vicine che vicinissime alla città, inquinare gravemente aria ed acqua, non importa se, per causa loro (parliamo sempre dei politici), Alessandria detiene il triste primato di essere una delle città più impestate del nostro ancora più impestato Stivale! Non importa… proibendo la battaglia del borotalco, hanno salvaguardato la nostra salute!
Torniamo agli ani ’50 che è meglio!
Finita la battaglia, Alessandrini e Tedeschi sfilavano per le vie del centro fino al Municipio; guidava il corteo il leggendario simbolo della furbizia alessandrina, il contadino Gagliaudo Aulari (spesso impersonato dal Pontifex Maximus dell’Ordo Goliardicus Agae Khanis), che si tirava dietro la sua immancabile mucca.
Arrivati in Comune, i partecipanti alla battaglia (o una loro rappresentanza) salivano al primo piano e, solitamente in sala giunta, ricevuti dal Sindaco di Alessandria che offriva loro un gradito rinfresco…
Hodie mihi cras tibi… ieri erano gli amministratori ad offrire da mangiare, oggi, invece…
E la mucca?
L’animale restava parcheggiato al pian terreno, legato all’inizio dello scalone e se, durante l’attesa, sollevava la coda e faceva i suoi bisogni, venivano tratti buoni auspici per il resto dell’anno!
Perché da quei gloriosi tempi fino ad oggi tutte le mucche, ovviamente ipotetiche, ideali, immaginarie, legate alla base dello scalone del Municipio sono sempre state stitiche?
La battaglia del borotalco viene per lo più associata ad un altro grande Pontifex Maximus, Giancarlo Canegallo (vedi foto “3“), passato anche alla storia per la sua firma del tutto assonante al cognome Bau Bau Chicchirichì. Canegallo, futuro architetto, ricoprirà per tantissimi anni la carica di responsabile tecnico del Comune di Alessandria.
Nella foto (“4“) è immortalato Bau Bau Chicchirichì nelle vesti dell’imperatore Federico Barbarossa che, assieme all’imperatrice consorte, passa in rassegna la cavalleria “tognina” schierata (tugnén in dialetto alessandrino significa tedesco in senso dispregiativo!).
La coppia imperiale (vedi foto “5“) dopo aver galvanizzato le truppe con la sua presenza, si avvia verso le mura di Alessandria…
… la battaglia sta per iniziare!