Bisogna valutare se è una buona oppure una cattiva notizia per lo stabilimento Solvay di Spinetta Marengo. Viene dall’Opec, l’organizzazione dei 12 maggiori produttori di petrolio greggio. Per comprendere la relazione, dobbiamo fare un passo indietro. L’anno scorso abbiamo segnalato un campanello di allarme: “Operazioni industriali e finanziarie vedono la multinazionale belga allontanarsi dall’industria delle materie chimiche. Il Gruppo Solvay, valutato 13 miliardi di dollari, infatti sta cercando di inserirsi nel business della fratturazione idraulica (hydrofracking). Ha annunciato di aver raggiunto un accordo del valore di 1,3 miliardi di dollari per l’acquisizione dell’americana Chemlogics specializzata nei comparti per l’estrazione di gas e petroli. Secondo gli analisti internazionali, ripresi dalle pagine economiche dei maggiori giornali, la scelta di Solvay sul mercato degli idrocarburi appare convincente dal punto di vista strategico, anche se il prezzo pagato per l’ingresso in questo nuovo settore è ritenuto troppo caro: l’enorme esposizione finanziaria dovrà così essere riequilibrata col disimpegno dall’industria chimica che è valutata da anni con ridotti margini di profitto. Dunque cessioni e chiusure di impianti”.
Suonavamo il campanello di allarme: “La strategia industriale del Gruppo Solvay è in rapida evoluzione. Sta già cercando gli acquirenti per Spinetta Marengo. Infatti Società di Business Development e Intelligence, specializzate in ricerca e consulenza nel settore di International Sales (compravendite internazionali), sono già (anche in zona) all’opera di Monitoring onde valutare e quantificare ai compratori (es. Dow Chemical) interessati gli aspetti economici, finanziari e ambientali per definire l’eventuale prezzo d’acquisto”.
Qual è ora la novità? L’Opec, in un summit definito “il più importante del secolo”, ha deciso di non tagliare la produzione di greggio premiando la strategia saudita di tenere bassi i prezzi (abbassarli fino a 60 dollari al barile) per mettere in difficoltà i produttori nordamericani di “Shale Oil”, contando sul sostegno della Russia di Putin (la “vendetta ucraina”). Secondo gli analisti internazionali, sauditi, emirati e russi infatti considerano il nuovo metodo americano il maggior avversario e vogliono metterlo fuori mercato, rallentare o addirittura far collassare la tecnologia del “fracking” di Usa e Canada che vogliono emanciparsi dagli sceicchi del Golfo.
Che riflessi ha questa strategia Opec sulla vendita dello stabilimento di Spinetta Marengo? Se il business della fratturazione idraulica diventa non più appetibile, Solvay sarebbe meno incentivata a cedere la chimica. A meno che si sia spinta troppo avanti nell’esposizione finanziaria e non possa più tornare indietro. Ma a quel punto potrebbe trovarsi nel “cul de sac” che stanno sviscerando appunto a Bruxelles. Dovrebbe svalutare ulteriormente il prezzo di vendita dello stabilimento. Proprio mentre i possibili acquirenti (Dow Chemical in testa) mostrano meno interesse a causa dei gravami ambientali che pesano sull’area della Fraschetta alessandrina e che Solvay non affronta risparmiando sugli investimenti della bonifica.
La bonifica è il nodo fondamentale. Medicina democratica non è mai stata tenera nei confronti dei sindacati, onde stimolarli ad un maggiore impegno per l’ambiente anche come presupposto indispensabile per la salvaguardia dell’occupazione: ovunque la fabbrica che inquina è inevitabilmente destinata alla chiusura. Concetto quanto mai valido per Solvay di Spinetta Marengo (AL) se le istituzioni non vanno oltre alla messa in sicurezza e non avviano subito la vera bonifica del territorio: argomento clou del processo in corso. A maggior ragione suoniamo di nuovo il campanello di allarme di Spinetta Marengo: per conservare la sua competitività occorre perciò impegnare Solvay -oggi per domani- in un adeguato piano di investimenti per la vera bonifica del territorio inquinato, un piano tecnico di livello internazionale naturalmente sotto egida di un vero Osservatorio ambientale della Fraschetta. Sarebbe il segnale per sperare nel futuro del polo chimico (made by Solvay o Dow Chemical). In questo senso Medicina democratica è attiva nel processo in Corte d’Assise di Alessandria. Anche i sindacati facciano, rivendicando quel piano di bonifica, la loro parte per uscire definitivamente dall’orlo del baratro del 2008, non accontentandosi delle consuete inaffidabili rassicurazioni aziendali.
Medicina democratica Movimento di lotta per la salute
Sezione provinciale di Alessandria