A Pechino ho potuto intuire l’enorme sviluppo macro-economico che da circa trent’anni, incessantemente, progredisce a dismisura. Ma come ogni grande guerriero, anche la Cina ha il suo tallone d’Achille. Questo paese non può e non deve permettersi di fermarsi ora, nel punto più crescente della sua onda economica: diversamente il collasso e l’implosione sarebbero devastanti (molto di più del fallimento della Lehman Brothers nel 2008).
Questa economia, a mio parere, è fondata sulla fusione sociale che da secoli caratterizza questo paese. Un territorio (pari a 9.596.986 milioni di km2) che vede 56 etnie differenti condividere un’unica lingua e un’unica storia (ci sono altre 8 lingue-dialetti diffusi e parlati, ma il mandarino è la lingua ufficiale). È evidente, le guerre e i conflitti sono sempre stati all’ordine del giorno, ma è facile intuire ora che un’unica amministrazione bilancia la nazione.
Un ulteriore elemento mi è maggiormente evidente. Il “pensiero cinese” sin dagli albori della sua nascita, non è mai stato prettamente metafisico ma sempre pragmatico, cosicché la “natura dell’intelletto di questo popolo” si rivela principalmente nella realtà quotidiana.
Inoltre non credo che la Cina possa affermarsi veramente nel mondo unicamente con l’economia, è chiaro che dovrà ristabilire piani di “recupero solidale” con regioni (vedi Tibet) e con differenti etnie (vedi Uiguri). Considero in aggiunta alcuni piani regolatori che sono stati attuati quali; l’introduzione della pena di morte, nei casi più gravi, per chi inquina e danneggia la salute pubblica e l’ambiente (piano regolatore del 2013) e la regolamentazione sulla proprietà privata del 2007 (dal 1949 le proprietà appartenevano allo Stato).
Dopo questa permanenza, rientro in Italia portando con me sapori e storie di un altro Paese: Cina così lontana, ma non poi troppo.