di Giancarlo Patrucco.
Troviamo Mauro Buzzi impegnato quale Presidente del Cissaca in un incontro nella sala Giunta del Palazzo Comunale di Alessandria. Qui avviene anche la nostra intervista, in una saletta appartata.
Durerà mezz’ora, abbiamo detto noi per rassicurarlo sui tempi. Invece, domande e risposte, dubbi e proponimenti, ipotesi e soluzioni andranno avanti a lungo, tracimando dalla saletta ai corridoi, fino all’atrio antistante la sala consiliare. Mauro – mi permetto di chiamarlo per nome, vista la lunga amicizia – non è tipo da lasciare in sospeso niente. Chiede, si informa, commenta, si scalda anche, perché il tema è di quelli pesanti: l’autismo. E l’intervista, dalla domanda su quel che può fare il Cissaca in merito, cambia rapidamente in quel che possono fare tutti, società e istituzioni.
Eccovene una trascrizione riassuntiva che spero conservi la positiva tensione di quelle quasi due ore passate insieme. Se non ci sono riuscito, cercate il video di Pier Carlo Lava. Lì troverete tutto quel che si è detto, parola per parola.
Cissaca è l’acronimo di un nome lunghissimo. Per farla breve, diciamo che alcuni Comuni hanno costituito un Consorzio perché si occupi dei servizi socio-assistenziali sul loro territorio: il Cissaca appunto E’ esatto, Presidente?
Sì. Cissaca sta per “Consorzio Intercomunale dei Servizi Socio Assistenziali dei Comuni dell’Alessandrino”. 24 Comuni, attualmente.
Avete rapporti solo con i Comuni o anche con l’Asl? E i soldi da dove arrivano?
Il Cissaca ha un bilancio che è poco al di sotto dei 12 milioni di euro annui. Le risorse economiche arrivano da varie parti: dai Comuni in percentuale di abitanti; dalla Regione; da progetti finalizzati; da servizi in conto Asl.
Con quei soldi, cosa fa il Cissaca, come opera?
Il Cissaca eroga servizi legati alla legge sull’assistenza, la 328. La sua competenza, quindi, è l’area socio-assistenziale. Per adempierla si avvale di una cinquantina di dipendenti, dei quali una decina di amministrativi e gli altri incardinati in più figure professionali tipiche del sociale: OSS, assistenti sociali …
A noi interessa in particolare la sindrome autistica. Come intervenite in questo settore?
Non c’è un settore specifico. L’autismo è causa di disabilità, quindi di handicap. Noi partecipiamo, con la competenza socio-assistenziale che ci compete, all’unità di valutazione multidisciplinare istituita dall’Asl, che si occupa della progettazione degli interventi sull’handicap.
Rispetto ai soggetti affetti dalla sindrome autistica, su indicazione della Neuropsichiatria Infantile dell’ASL, è possibile attivare progetti di sostegno al nucleo familiare e specifici al soggetto per mantenere e/o potenziare le abilità e le capacità della persona.
Contrastare l’autismo necessita di diagnosi precoci, seguite da terapie lunghe, qualificate, troppo costose per molte famiglie. Solo così, però, efficaci. E’ d’accordo?
Io so che l’autismo è un disturbo complesso, che ha molte sfaccettature e si presenta in forme diverse, con un’evoluzione che non è sempre prevedibile, da soggetto a soggetto. Intervenire non è facile e, nelle forme più pesanti, quasi impossibile.
So anche che altre patologie che hanno un’incidenza pari se non minore a quella dell’autismo, come la sindrome di down, ad esempio, o la Sla, sono ben più note e conosciute. L’autismo è una patologia grave, di cui si comincia solo adesso a parlare.
Dunque, abbiamo bisogno di maggiore informazione, a tutti i livelli. E abbiamo anche bisogno di maggiore formazione per tutti coloro che, nei vari contesti, lavorano sui bambini. Dalla prima infanzia, perché la diagnosi sia sempre più precoce. Nel periodo successivo, perché l’intervento sia sempre più efficace. Mirato. Sto parlando di famiglie, baby sitter, educatrici e assistenti ai nidi, insegnanti comuni e di sostegno nelle scuole materne, elementari, medie.
Sto parlando anche di certezze nei punti di riferimento. So che la Regione Marche, ad esempio, ha recentemente approvato – prima fra tutte – una legge specifica sull’argomento. Anche la Regione Piemonte ha emanato una sua direttiva nel marzo di quest’anno e attivato un tavolo di lavoro regionale. Ma si sa come vanno queste cose: ci vuole tempo ad avviare un macchina complessa.
Questa risposta, Presidente, mi obbliga a cambiare la domanda che avevamo preparato. Ci sono punti di riferimento pure in Piemonte. Il Centro di Mondovì ad esempio, che svolge test di valutazione funzionale anche per molti soggetti residenti al di fuori del suo territorio di riferimento. Oppure il caso di Novara, dove un’attivissima associazione di famiglie porta avanti il metodo ABA, con il supporto di quel Comune. Noi, in Alessandria, se vogliamo fare l’ABA dobbiamo andare a imparare fuori.
Conosco la situazione di Novara. Lì, però, è il Comune a gestire direttamente il servizio socio-assistenziale. Quindi, dispone di risorse proprie…
Ma noi non ci aspettiamo più risorse. Sappiamo come siamo messi in Italia. Però, se non bastano le risorse, non si potrebbero concentrare meglio? I dati che abbiamo raccolto fin qui ci mostrano un quadro frammentato e discontinuo. Non sarebbe più utile costituire un centro che si dedichi esclusivamente a questo?
Credo proprio di sì. Un tavolo di riferimento su cui far convergere chi si occupa di servizio sanitario, di servizio socio-assistenziale, di scuola, di riabilitazione, di terapie occupazionali. Potrebbe fare molto per informare, formare, indicare terapie, attivare una banca dati che raccolga tutte le informazioni relative ad ogni soggetto…
Però, il soggetto centrale, il motore non può che essere l’Asl.
E proprio lì andremo. Grazie, Presidente.