Gianluca Ghnò: “Il teatro in carcere? Un’esperienza unica!”

ghnò con gattodi Debora Pessot

Dodici attori, un pubblico gremito e attento, e un palcoscenico un po’ particolare: la sala-teatro predisposta all’interno della Casa di Reclusione di San Michele. C’erano giornalisti, amici, semplici curiosi ma soprattutto loro, ovviamente: i carcerati. Che erano spettatori, ma anche attori appunto, poiché si è trattato del debutto della Compagnia Teatrale ‘Codice a Sbarre’ composta da ragazzi che a San Michele stanno scontando la loro pena. Dodici gli interpreti che si sono cimentati ne ‘Il giardino incantato”, rappresentazione scenica tratta dal famoso album di Fabrizio De Andrè “Non al denaro non all’amore né al cielo”, ideata e curata da Gianluca Ghnò e Marco Longoni, il commento musicale, gli arrangiamenti e la direzione del coro sono stati seguiti da Andrea Negruzzo. Ed è così che vizi e debolezze del genere umano, che trapelano dai ritratti fatti dal mitico cantautore genovese, sono stati cantati, raccontati o semplicemente letti, toccando le corde più sensibili degli astanti fino alla commozione generale.

Gianluca Ghnò – regista e direttore artistico degli Stregatti – racconta l’esperienza con gli occhi che tradiscono le emozioni ancora fresche. Si concede una pausa dallo studio (lo vedremo nell’insolita veste di attore: interpreterà Landrù, personaggio de Il gatto in tasca di Georges Feydeau) e chiacchiera con alle spalle un’attenta osservatrice, la sua dolcissima gatta Kobe.
Gianluca, trovi che il teatro sia terapeutico?
Il teatro è decisamente terapeutico, ancora più in un contesto del genere. Può aiutare adghnò ampliare la conoscenza di sé e, soprattutto, a relazionarsi con gli altri. Pensa che i ragazzi in carcere non erano tutti nelle stesse celle, erano in bracci diversi, per cui molti di loro non si conoscevano nemmeno. Ciò di cui sono più orgoglioso è che si è creato un gruppo molto unito, al di là della resa e dell’energia che ci hanno messo, si aiutavano, si sostenevano l’un l’altro. Lo spettacolo era la conclusione prevista dal bando, ma a me ha interessato di più il laboratorio in sé. Sia chiaro, fa piacere aver fatto un’esibizione pubblica, soprattutto per loro perché gli rimane un ricordo, oltre al fatto che tra gli spettatori molti avevano le famiglie, c’erano anche gli altri detenuti. Però è stato proprio bello il lavoro fatto insieme per arrivare fin lì, per creare un gruppo, anche se tra mille difficoltà. Uno pensa che in carcere non ci siano i problemi di assenze che spesso ci sono nei corsi normali (dovuti a malattia, ecc.) … pensi ‘di sicuro in carcere non ci saranno mai assenti.’ E invece no! C’era quello che impegnato in chiesa, quello che doveva fare le pulizie, quello che frequentava un altro corso, quello scarcerato, quello mandato in un altro penitenziario.

Carcere 2Quando è iniziato il tuo lavoro in carcere? Come si è sviluppato? E quali difficoltà?
Il primo incontro c’è stato a Pasqua, poi sono passate alcune settimane. Il laboratorio effettivo è iniziato a maggio, ci vedevamo una volta a settimana per un’ora e mezza. All’inizio abbiamo fatto un po’ di esercizi teatrali e lavori di gruppo, per conoscerci. Andrea gli faceva cantare le canzoni che gli piacevano per vedere come se la cavavano. Diciamo che la difficoltà maggiore è stata all’inizio perché il gruppo cambiava sempre. In carcere, per comunicare i corsi che ci sono, affiggono un avviso e chi è interessato a partecipare si iscrive. Per cui qualcuno magari lo ha fatto per passare il tempo, ma poi non si è trovati bene, altri si sono aggiunti dopo … l’evoluzione vera del gruppo è terminata due mesi fa, lo spettacolo vero lo abbiamo preparato negli ultimi due mesi. Di quelli che si sono esibiti ce n’erano solo un paio arrivati il primo giorno, quindi è cambiato completamente. Un altro problema era il tempo che ci mettevamo per passare i controlli, ne restava sempre poco da dedicare alle prove. Tant’è vero che nell’ultimo mese abbiamo raddoppiato gli incontri, altrimenti non ce l’avremmo fatta.
E’ la prima volta che ti cimenti con un lavoro in carcere?
Si! Ricordo che la prima volta che sono entrato ero da solo. Quel giorno non c’erano néCarcere San Michele Andrea né Marco e io ero abbastanza intimorito, come succede per tutte le prime esperienze. Poi sai in carcere devi passare i controlli, le guardie con i mitra, ci sono chiavistelli enormi per aprire le varie porte … Io amo molto i film carcerari e tutto questo stimolava il mio immaginario da film americano. All’inizio era un po’ inquietante. Ma con loro è stato bello da subito. Avevano proprio voglia di comunicare …

 
Carcere 3Avevi già idea di cosa avresti messo in scena?
Avevo già in testa qualcosa. Mi piaceva l’idea delle poesie tratte da Spoon River, che ispirarono l’album di De André negli anni Settanta (un capolavoro assoluto), anche se non era un’idea originale la trovavo molto bella, questi testi li hanno usati anche in altri carceri. Sono poesie che parlano di uomini normali con un linguaggio normale, è per questo che funzionano e sono diventate famose in tutto il mondo, non hanno un linguaggio aulico per intellettuali. Sarebbe stato bello, se avessimo fatto un percorso con un gruppo fisso da subito, farle scegliere a loro. Quando, però, gli abbiamo fatto ascoltare il disco di De André sono rimasti entusiasti ed è stato allora che ho pensato di mettere in scena un disco, non so se è mai stato fatto. Abbiamo ascoltato il loro modo di interpretare le canzoni e la loro inclinazione, tenendo presente chi aveva più voglia di studiare a memoria, chi si offriva, chi diceva che la memoria non l’aveva proprio … in pratica le parti se le sono scelte. Andrea Negruzzo ha lavorato moltissimo e con grande pazienza.
C’erano anche ragazzi stranieri, capivano il contenuto dei testi?Carcere 4
Tra gli stranieri c’erano i due ragazzi arabi che capiscono bene l’italiano. Certe cose sul recitato gliele ho lette e spiegate … abbiamo lavorato molto sul significato perché è su questo che si basava il lavoro. Era fondamentale che capissero il significato dei testi , al di là del modo di recitare o di cantare. Il problema più grosso lo abbiamo avuto col cinese, perché non capiva altre lingue, ma la SIE mi ha mandato un’interprete, che ha pure partecipato brevemente allo spettacolo, ed è stata molto utile perché almeno anche lui è riuscito ad inserirsi. Il ragazzo colombiano parlava bene italiano, tant’è vero che il pezzo in spagnolo se lo è tradotto da solo. Per me era molto importante che le cose che dicevano gli appartenessero il più possibile. Le canzoni scelte in effetti erano molto funzionali al progetto, se ci pensi De André era il poeta degli umili … Mi ritengo molto soddisfatto perché ero alla mia prima esperienza e non sapevo cosa aspettarmi, ma ti confesso che in questo ultimo periodo tutto quello in cui mi sono cimentato per la prima volta è stato positivo. Tre anni fa ho lavorato per la prima volta con i ragazzi disabili di Casale e adesso non posso più fare a meno. Sono esperienze che ti gratificano a livello umano…
Sei stato supportato anche dal personale del carcere? Come si sono sviluppate le giornate? Sei mai rimasto da solo con loro?
In carcere c’erano sempre le educatrici, principalmente la dottoressa Stuccilli, che ci seguiva senza essere mai invadente. Lei, insieme alla dottoressa Francesca Bravi del SIE, coordinava il tutto. Diciamo che hanno lavorato dietro le quinte. Il teatro è un posto privato e temevo che le guardie stessero a guardarci mentre provavamo, invece non sono praticamente mai venute. Qualche volta, se li sentivano cantare, entravano e li applaudivano e poi, puntualissimi, alle 14.45 li portavano via.

Carcere 5Come ti sei sentito? Ti sei accorto di quante persone si sono commosse?
Me ne sono accorto dopo. Io ero in fondo alla sala come sempre durante gli spettacoli faccio le luci e sto dentro al mio stato emotivo … Quando si sono accese le luci mi sono reso conto di quanto sia stato coinvolgente. È ovvio che far cantare ai detenuti ‘Libertà’ è stato emotivamente toccante, ma penso che l’emozione sia da attribuire anche a come loro si sono presentati al pubblico, come hanno lavorato. Sono stati molto attenti, molto concentrati e molto veri … spontanei. Non era una semplice recita, che forse non avrebbe nemmeno avuto senso in quel contesto. Loro all’inizio pensavano di fare la classica commedia con le battute, ma non erano ancora pronti … non li conoscevo abbastanza. Questo testo li rispecchiava molto di più, infatti loro ci si sono ritrovati in tante piccole cose.

Li hai visti cambiati in qualche modo?
Li ho visti sicuramente più responsabilizzati, perché all’inizio erano un po’ ‘caciaroni’, non tutti ma quasi … Addirittura qualcuno mi ha detto ‘questa settimana non ho avuto tempo di studiare’, oppure inventano balle in generale. Verso la fine erano più intimoriti, la paura più grande è stata per la memoria, ma è un timore che tutti gli attori hanno! Però si sono uniti molto, hanno fatto gruppo. Ed era bello, perché quando qualcuno di loro faceva bene qualcosa o migliorava tutti lo andavano ad abbracciare, si facevano i complimenti. C’era una bella tensione pulita … A volte quando fai in modo professionale subentrano altri elementi: confronti, invidia, bisogno di apparire o di dimostrare qualcosa … ma è normale. In questo caso non c’era altro che la voglia di fare bella figura davanti a tutti come gruppo! Addirittura hanno cantato un pezzo scritto da loro e musicato da Andrea, si intitola Ricordati, dedicato al papà di Bruno, il cantante del gruppo e vero autore del testo. Mentre provavamo, quando hanno saputo che mio padre era mancato da poco, hanno deciso di regalarmela, ma ho preferito usarla per lo spettacolo. In qualche modo me l’hanno dedicata … è stato un momento molto bello!

Il testo: Un giorno disse un padre al proprio figlio ‘ricordati delle mie parole, così non potrai andare avanti sai, forse un giorno ricorderai’. Adesso che son passati gli anni, mi chiedo se avessi ascoltato, però non mi sento deluso perché sono cresciuto. Un giorno se potrò ricredermi di più ti giurò che non oserò mai più. Ormai che sono anch’io padre, chissà se riuscirò ad ascoltare, così ricorderò tutto quello che hai fatto tu, per farmi amare un po’ di più. Un giorno se potrò ricredermi di più ti giuro che non oserò mai più.

Che sensazioni hai avuto quando sei andato via per l’ultima volta?Carcere 6
Mi mancano già. Ora faremo il video e poi il direttore ha detto che quando sarà tutto pronto andremo in carcere a farglielo vedere e sarà un’occasione per rivederci. Quando siamo andati via, dopo lo spettacolo, abbiamo visto due dei ragazzi che ci salutavano dalla finestra della cella … ci è venuto il magone. Che ti devo dire? Mi auguro di vederli presto fuori di lì. Non so esattamente quanto debbano stare, per alcuni non penso ci sia ancora molto tempo da scontare. Non ho voluto sapere le loro pene e il perché fossero detenuti, per non rischiare di avere pregiudizi. Penso che anche per loro sia stata un’esperienza costruttiva, ci hanno scritto una bella lettera per ringraziarci.

Carcere 7L’esibizione è stata il frutto di un progetto, “IL GIARDINO INCANTATO”, il cui scopo è stato quello di lavorare sull’alleggerimento della noia e della solitudine all’interno della struttura carceraria attraverso un laboratorio teatrale che ha impegnato i detenuti per sei mesi, grazie al contributo previsto dal bando del CSVA, e alla collaborazione di S.I.E. (Solidarietà Internazionale Emergenze Onlus), associazione capofila, con PianetaMarte e la Compagnia Teatrale Stregatti.

Gli altri partner del progetto: Vip Alessandria Onlus, Cooperativa Sociale Coompany, C.I.S.S.A.C.A (Consorzio Intercomunale Servizi Socio Assistenziali), Arti grafiche “Il Particolare”.