Quando i fiumi straripavano senza esondare

Ma ci avete mai pensato se, per caso, tornassero al mondo i nostri nonni e sentissero le cronache attuali che descrivono i disastri ambientali delle piogge e delle frane?

Loro, che erano abituati a sentir parlare di bombe nelle svariate guerre che hanno vissuto, si metterebbero a ridere sentendo parlare di “bombe d’acqua” ad ogni piè sospinto. Sì perché ormai non vengono più i temporali, gli acquazzoni, i rovesci violenti ed improvvisi dei loro tempi, roba passata. Adesso da una parola in su si deve parlare di bombe d’acqua, come se fossimo in guerra con il cielo e con il Padreterno. E le processioni per scongiurare questo tipo di disgrazie non avrebbero effetto, né servirebbe ripristinare i rifugi antiaerei. Quindi a chi tocca, tocca, senza pietà per nessuno.

E le alluvioni di una volta dove sono andate a finire? I fiumi hanno dovuto fare un corso di aggiornamento, perché non è più permesso loro di straripare. Adesso, se vogliono proprio sfogarsi, devono esondare. La parola, forse a nessuno frega niente, ma voglio precisare, deriva dal latino ex-unda, cioè fuori dall’onda, come se il liquido fuoruscisse come da un bicchiere versato troppo in fretta. Straripare sarebbe vergognoso, perché richiama alla mente le ripe, cioè le rive dei fiumi, dei rii e delle rogge, che sono ridotte in uno stato vergognoso per l’incuria dell’uomo, per cui forse è per la vergogna che i nostri contemporanei preferiscono non nominarle, neppure per riferimento indiretto.

I sindaci, gli assessori all’ambiente e gli ingegneri idraulici degli enti locali (ammesso che esistano ancora, perché tutti ormai sono dottori, dottori non si sa bene in che cosa, ma dottori) non sanno neppure più bene che cosa siano le rive, come si faccia a tenerle in ordine, a proteggerle dalla fame di terra degli agricoltori, che se fosse solo per loro seminerebbero la meliga fin sul ghiaione, salvo poi lamentarsi di essere stati danneggiati.

E quando per l’accumulo di foglie, terriccio e sporcizia, si intasano le strade e le piazze, i giornali e le radio danno la colpa alle caditoie, una parola che sentendola i nostri nonni avrebbero allargato gli occhi di spavento. Infatti avrebbero pensato ad un assedio, perché nel primo significato originale le cosiddette caditoie sarebbero state le aperture nei muri di cinta e nei pavimenti delle fortificazioni di un tempo fatte con lo scopo di gettare proiettili e bombe sulla testa degli assalitori. Ma siamo in guerra e quindi: à la guerre comme à la guerre” dicevano i francesi, bisogna adattarsi non soltanto alla situazione ma anche al linguaggio. Solo che le bombe d’acqua non le gettano i nemici ma il Padreterno.

Al tempo dei nostri nonni le strade si sfogavano dando l’acqua ai tombini delle fogne. Ho il sospetto che non si parli più di loro per pudore, perché forse son brutte parole e sanno troppo di antico, di topi, di evasioni di galeotti, di romanzi di Alessandro Dumas. Mi sembra di veder spuntare la faccia dell’abate Faria.
Quindi non parliamo più di fogne e di tombini, anzi non puliamoli neanche più.

Ve lo vedere voi un sindaco dover far passare una delibera per finanziare la pulizia dei tombini? Una cosa sicuramente riprovevole.
Ed invece io e qualcuno ancora come me, che ne ha viste di tutti i colori, ma ha avuto la fortuna di vedere ancora all’opera i cantonieri comunali, i quali un tempo non erano né diplomati né laureati, ho una grande nostalgia di quei tempi felici e bacerei sulla fronte un vecchio cantoniere se lo vedessi o se venisse a trovarmi.
Luigi Timo – Castelceriolo