A vederlo tonico, magro e scattante, non gli daresti cinquant’anni neanche per sbaglio. Eppure Oreste ‘Tino’ Rossi il traguardo del mezzo secolo lo ha raggiunto, e festeggiato rigorosamente con i coscritti del suo paese di nascita, Spinetta Marengo. Anche se ormai è un po’ anche ligure di adozione, e fa la ‘spola’ con Varazze, “che del resto era parte della mia circoscrizione in Europa”. A qualche mese dall’uscita dal Parlamento Europeo, e dopo 22 anni ininterrotti tra Roma, Torino e Bruxelles (“ma anche tanta politica locale, nelle strade di Alessandria e della Fraschetta”), Rossi è tutt’altro che rassegnato ad un pre-pensionamento di lusso, e anzi scalpita sia osservando lo scenario nazionale (“siamo messi malissimo, Renzi è un bluff, solo fumo senza arrosto”) che locale (“abbiamo il peggior sindaco d’Italia, lo dicono i sondaggi: e il Pd che fa? La nomina anche presidente della Provincia: ovvio, no?”). Ma a cosa sta pensando? E con quali alleati, in un centro destra ridotto in brandelli, e con piccoli gruppi di amici (bande, direbbe chi volesse essere spietato) che si guardano in cagnesco tra loro, mentre lo scenario romano è altrettanto frammentato?
Onorevole Rossi, quali presagi per questo autunno italiano, e alessandrino?
Pessimi, a saper leggere i dati, e soprattutto se si ascolta quel che dicono le persone per strada, a partire da chi lavora in proprio. Renzi e il Pd si accapigliano su un falso problema come l’articolo 18, mentre i veri killer della nostra economia sono altri: la pressione fiscale, la burocrazia, uno Stato che è nemico di chi lavora e investe, e lo disincentiva anziché aiutarlo. Se in Irlanda ti fanno ponti d’oro, se in nord Africa ti aiutano ad avviare le tue attività con incentivi a fondo perduto e poi ti tassano al 5%, perché mai una persona di buon senso dovrebbe aprire o mantenere un’azienda qui, alle condizioni che sappiamo?
Attento, che Renzi la mette nell’elenco dei disfattisti, di destra come di sinistra: come vede l’evoluzione dello scenario politico nei prossimi 12-24 mesi?
Vedo arrivare all’orizzonte una nuova, vecchissima balena bianca, e non è che lo dica con entusiasmo. Berlusconi e il centro destra sono completamente soggiogati dal renzismo, non sanno o non vogliono fare opposizione. E del resto, che da quando il Cavaliere parla bene di Renzi tutti i processi gli vanno per il verso giusto è un fatto evidente a tutti. A questo punto, che si marci verso la costituzione di un unico, grande partito centrista mi pare nelle cose. Naturalmente molto dipende dalle scelte che faranno a sinistra: dove o fanno nascere un partito del lavoro, diciamo pure comunista, attorno alla Fiom/Cgil, o davvero con Renzi rischiano di essere stritolati, fatti fuori poco a poco.
E poi c’è la Lega Nord: in tanti la davano per spacciata, ma sembra in rimonta. Nessun rimpianto?
Provo grande affetto per tanti militanti leghisti, e ho certamente ancora diversi amici da quelle parti. Ma un conto sono i rapporti personali, altro la politica. La Lega naturalmente beneficia dello sbandamento del centro destra, ma la deriva personalistica di Salvini non mi piace: Bossi, che era Bossi, mandava avanti in prima linea, in tv e altrove, un’intera squadra. Oggi la Lega si identifica solo nel suo leader, e non mi piace. Non è questa la mia idea di politica.
Il leaderismo però è la ‘cifra’ politica di questo momento storico: Berlusconi, Renzi, Salvini, ma pure Grillo e Casaleggio…
Grillo e Casaleggio si propongono come l’anti sistema, ma sposano lo stesso modello antidemocratico, di uomo solo al comando, degli altri partiti. Altro che partecipazione dal basso: quelli decidono regole, obiettivi, espulsioni, e gli altri si adeguano. Lo so che oggi sembra un modello vincente, perché è più semplice e immediato: ma è la negazione della partecipazione vera, del lavoro di squadra su cui dovrebbe fondarsi la politica. Che oggi, non a caso, è piena di yes man….
E come se ne esce?
L’unica strada possibile è che le persone, di destra di centro e di sinistra, tornino ad impossessarsi della politica, incazzandosi anche quando serve. Insomma, che stiamo vivendo in una ‘repubblica delle banane’ ormai è chiaro a tutti: il punto è riuscire a cambiare le cose, ad invertire il senso di marcia. Prendiamo il caso delle Province, per le quali si svolgeranno domenica prossima qui da noi le famose finte elezioni, che sono di fatto una nomina. Lì non c’è stata nessuna riforma: i costi sono rimasti esattamente gli stessi, gli sprechi anche, e l’unica cosa che è cambiata è che ora agli italiani e agli alessandrini non è più neanche concesso votare, e scegliere alcunché. E vogliamo parlare della legge elettorale?
Parliamone, certo: lei è per tornare alle preferenze?
Assolutamente sì: è l’unica strada che può riaprire ad un rapporto diretto con gli elettori, che devono poter scegliere i propri rappresentanti, per poi chieder loro conto dell’operato. E questo può succedere solo con la preferenza unica, e collegi non troppo grandi: in caso contrario il rapporto diretto viene meno, e soprattutto trionfa la logica del più ricco, che può finanziare un certo tipo di campagna elettorale, per sé e per gli altri. Il rischio oggi qual è? Che si vada sempre più verso una politica di nominati, di persone che devono tutto al leader che li ha scelti, e rendono conto solo a lui. La democrazia è un’altra cosa.
Durante il suo quinquennio in Europa, l’impressione è stata quella di un certo ‘scollamento’ rispetto ai politici alessandrini sul territorio: sulla Cittadella, ad esempio, non si sarebbe potuto fare di più?
Altro che, e ci ho provato in tutti i modi. Se si fosse presentato per tempo un progetto ambizioso, e davvero credibile, ci sarebbe stata la possibilità di ottenere finanziamenti ingenti, anche per decine di milioni di euro. Però dai politici locali, ma anche dai parlamentari alessandrini e dallo stesso demanio, non ho ricevuto nessun input, nessun dossier su cui lavorare. Sì è preferito seguire la strada del bando di gestione pluriennale, e non mi pare che ci sia stata la fila, al momento di presentare le domande. Peccato, perché la Cittadella è un patrimonio straordinario, che non siamo mai riusciti a valorizzare.
Lei è di Spinetta onorevole, e negli anni scorsi si è impegnato in prima persona, naturalmente insieme ad altri in uno specifico Comitato, sul fronte dell’inquinamento ambientale legato al polo chimico. Ora che succederà?
Si è in attesa della sentenza di primo grado, che dovrebbe arrivare nei prossimi mesi. E’ un passo fondamentale, per poi procedere. Personalmente, più che ad individuare i responsabili (che è compito dei giudici) sono interessato al processo di completa bonifica del territorio. E per realizzare la bonifica stessa è fondamentale che lo stabilimento rimanga aperto, e sia all’avanguardia. Ci sono diversi altri casi eclatanti di aziende che hanno chiuso i battenti, e sono ancora lì: chiuse, e fonte di inquinamento, perché nessuno ha finanziato alcuna bonifica. A Spinetta deve assolutamente andare diversamente.
Cosa c’è nel futuro politico di Tino Rossi?
Oggi sono un osservatore attento e appassionato. Mi colloco nel centro destra, ma ne colgo appieno lo stato confusionale. E credo fermamente che occorra ripartire dal basso, dalla gente. Ad Alessandria si voterà, salvo colpi di scena, nel 2017. Sembra una data lontana, ma non lo è: e mi piacerebbe fare la mia parte per innescare un processo di confronto e partecipazione vera dei cittadini. Perché non pensare ad un meccanismo che consenta agli elettori di individuare candidature eccellenti, su cui poi eventualmente andare anche a cercare l’appoggio dei partiti?
Ma lei si candiderebbe a sindaco di Alessandria?
Assolutamente no: io vorrei stimolare, attraverso momenti di confronto pubblico, tradizionali e sui social network, un meccanismo di selezione vera delle migliori candidature disponibili. Ho in testa almeno due o tre nomi, forse di più, di alessandrini di valore, e che non hanno mai fatto politica. Ma non sta a me sceglierli: devono essere loro a farsi avanti, o gli elettori a proporli. In un percorso che non si fermi sulla soglia di questo o quel partito, ma al contempo non escluda i partiti stessi che sono disposti a mettersi in gioco. Compresi i 5 Stelle, che non ho mai demonizzato: certo, dovrebbero smetterla di considerarsi i depositari esclusivi della verità, e aprirsi al confronto senza pregiudizi. Ma se fossero loro a presentare una candidatura eccellente, perché non considerarla?
Ettore Grassano