Non c’è bisogno di essere fans ‘sfegatati’ di Massimo D’Alema (che fece la valanga di errori che fece, inutile mettersi ora qui a riaprire lo scrigno dei ricordi) per ritenere che il suo, l’altra sera all’Assemblea Nazionale del Pd sia stato l’intervento più lucido, nonché velato di sarcasmo feroce, appena un po’ attenuato nell’energia della voce dagli anni che avanzano. Grazie, tra l’altro, a chi lo trovasse on line, e lo segnalasse ai lettori.
E che la perplessità nei confronti di Matteo Renzi e della sua squadra di incantevoli fanciulle/assistenti (assai più presenti sui media dei renziani uomini, figure tutto sommato di contorno, scarsamente distinguibili) nell’Italia reale sia crescente e palpabile lo capisce chiunque, checchè ne dica l’esercito amico dei media e dei sondaggisti.
E se chi critica viene liquidato con l’etichetta di gufo (i fascisti dicevano “nemico della patria’, ma oggi che per la patria nessuno ci rimetterebbe più neppure un’unghia incarnita non resta che parlava di ‘portasfiga’). è chiaro che la questione c’è, è forte e pesante, e destinata ad esplodere nei prossimi mesi.
Ho amici coetanei che, beati loro, hanno solidi lavori come dipendenti nel privato, e a sentire definire i loro sacrosanti diritti di lavoratori come ‘simboli’ o ‘totem’ si stanno alterando parecchio. E’ gente, tra l’altro, che allo Stato sta già dando molto, in termini di prelievi fiscali abnormi: e che ora all’idea di sentirsi privilegiata in quanto ancora in possesso di elementari diritti di lavoratore, beh un po’ la pazienza la perde di sicuro.
Ha ragione da vendere, D’Alema, quando ammonisce Matteo e le sue girls, e dice loro di studiare prima di parlare, e di considerare che non basta ‘intortare’ le masse disinformate (chi lo faceva fino a qualche anno fa, con tecniche comunicative assolutamente similari? Vi viene in mente un nome?), e fregarsene della minoranza che sa, riflette, capisce. Perchè poi la paghi, e non è detto che sia dopo vent’anni.
I giochi di parole (“Io il metodo Boffo? Al massimo metodo buffo!”), gli slogan, le frasi ad effetto fanno parte da sempre del bagaglio dei leader politici di casa nostra: le mitiche ‘pause’ e i grugniti di Craxi, le barzellette da sacrestia (ma ambigue e feroci) di Andreotti e quelle da barbiere per uomini anni Settanta di Berlusconi, persino la ‘narrazione’ di Vendola, che pure si fermò (inspiegabilmente?) ad un passo dai campioni finora citati, e chi l’ha visto più. E prima ancora, naturalmente, gli slogan celoduristi ante litteram di ‘testapelata’, che incantava un popolo di straccioni analfabeti straparlando di impero.
Renzi, insomma, non inventa nulla, ed è degno erede della tradizione italica. Ma oggi davvero l’impressione è che il tempo sia scaduto, e che il giovane premier sia sempre più impelagato in una ‘distruzione’ dell’esistente che spaccia per innovazione. Mentre sta solo smontando un sistema di diritti, certezze, riferimenti, senza sostituirlo con nient’altro, che non sia un ‘ognun per sè’ che rischia di rivelarsi, per rimanere nell’ambito lavoro, più simile al caporalato che al libero mercato di Paesi evoluti.
Eppure tanti, a destra come a sinistra, imprenditori in primis, dicono che il problema non sono le tutele dei lavoratori (semmai deboli, in molti casi debolissime), ma una burocrazia assurda, e dai costi esorbitanti, e un fisco che non ha eguali in negativo in nessuna altra parte del mondo, se commisurato alla pochezza di servizi che lo Stato offre in cambio.
E stiano attenti i dipendenti pubblici statali e parastatali, che pure in questo ‘sragionare’ di diritti del lavoro da smantellare sembrano essere l’unica oasi assolutamente preservata, nelle dichiarazioni di intenti di Renzi. Attenti perchè è semplicemente impossibile che un Paese in cui il sistema economico frana, gli imprenditori ‘alzano i tacchi’ e i dipendenti privati diventano solo forza lavoro, il pubblico impiego rimanga oasi a bassa retribuzione (ma non vale per la pletora di dirigenti e funzionari ben pagati) ma ad altissima tutela. Il prossimo giro sarà per loro.
E’ vero, come vuole una certa retorica di queste settimane, che “Renzi è quel che è, ma alternative non ce ne sono?” Oppure le alternative ci sono sempre, e vanno costruite, per uscire da una logica di ‘partito unico trasversale’ in cui si può fare sì qualche ‘distinguo’, ma bisogna per forza fingere di condividere il ‘progetto complessivo’, anche se si tratta solo di slogan ottimistici e poco più?
Un osservatore autorevole in questi giorni ci ha detto: “c‘è spazio per un partito di sinistra da almeno 10%, costruito attorno a Fiom/Cgil: ma se non ‘spaccano’ ora, finiranno stritolati”. Per non dire, naturalmente, di un centro destra ridotto a palude, in cui nessuno sa più dove andare e che fare, se non la Lega Nord, che sta comunque facendo e proponendo.
Voi come la pensate? Come vi sembra che gli italiani (e gli alessandrini) stiano vivendo questo ‘passaggio’ delicato del Paese? Che 2015 vi aspettate?