Sabato 27 settembre alle 21, in piazza S. Anna a Frugarolo, Jose Beisso e Enrica Bocchio daranno voce e musica alla inquietudine esistenziale di Cesare Pavese. La performance, intitolata ‘Battito, tremore, infinito sospirare’, sarà soprattutto musicale, con alcune “incursioni letterarie”.
L’ingresso è libero. In caso di pioggia, lo spettacolo si svolgerà nel salone della Soms.
Ecco la presentazione dettagliata del progetto, nelle parole di Enrica Bocchio.
Su Pavese è stato scritto tanto, di tutto e di più, in una sorta di gara al possibile effetto suscitato da qualche nuovo piccolo particolare (vero, verosimile, ipotetico, falso, inventato) in grado di far apparire più bravo l’improvvisato (e “redento”?) biografo poiché capace di documentarsi più e meglio di altri. Fiutato lo scoop, si è scavato anche nelle pagine ritrovate che lo scrittore stesso aveva stralciato dal proprio diario; ci si sono attribuite confidenze intime che, essendo tali, non avrebbero mai potuto avere riscontro; si è messo mano al baule – custode delle carte che avrebbero dovuto essere riordinate da due amici fidati, da lui indicati – per consegnarci un Pavese banalmente suicida per delusione amorosa a causa di una capricciosa attricetta americana, (in realtà intelligente, estrosa e colta) dando vita proprio a quei pettegolezzi che, monito dell’ultima ora, ci era stato raccomandato di non fare.
In realtà il suo disagio esistenziale veniva da molto, molto più lontano: l’infanzia difficile per tragiche vicende familiari, l’abbandono dei luoghi più cari ed il trasferimento nella grande città, i problemi di salute (soffriva di asma nervosa) con conseguenti notti in bianco alla finestra, ispiratrici di riflessioni notturne che a lungo andare gli procureranno una forma progressiva di insonnia fino all’attesa finale dell’“inutile alba”. Il suicidio di un caro amico e compagno di liceo e la tentazione di emularlo (scaricò poi la pistola contro un albero) furono praticamente l’inizio di un leitmotiv che tornerà sempre più insistente. Durante gli anni di università, la “donna dalla voce rauca” era riuscita a rompere il ritmo della sua vita connotata da conflitti interiori, da esasperata sensibilità, da stati ansiosi; ma quando al ritorno dal confino, (ridotto da tre anni ad uno per domanda di grazia subito ottenuta) ebbe l’amarissima sorpresa dell’improvviso matrimonio della fidanzata, in lui subentrò una terribile perdita di autostima: da allora la donna nei suoi romanzi sarà quasi sempre considerata non degna di rispetto, ma anzi di disprezzo, di livore; da allora però partirà anche una irrimediabile solitudine, una ostinata volontà di colpevolizzarsi. Ogni tentativo di ritrovare o ricomporre un equilibrio tra sesso e sentimento, tra rapporto e abbandono lo condiziona fino a convincerlo di essere fisicamente impotente. L’idea del suicidio acquista sempre più fascino, ma contrariamente a quanto si legge nelle biografie che lo riguardano, la donna non è la causa, ma l’ispiratrice più costante dei suoi pensieri suicidi.
Un altro “tarlo” contribuisce progressivamente a distruggerlo: il rimorso per aver ceduto alle pressioni altrui con la richiesta di grazia, quindi per non aver scontato tutta la pena del confino come tanti suoi amici, ed anche per il fatto di non essersi unito agli altri a rischiare in montagna durante la Resistenza. Infatti, nella raccolta “prima che il gallo canti”, il riferimento a Cristo ed al tradimento di Pietro non è casuale: evidenzia la sua crisi esistenziale, il tradimento politico, il rimorso per il suo mancato coinvolgimento durante la guerra civile. Sfollato a Serralunga, stava rinchiuso dietro una trincea di libri, sollevando la testa solo per angosciose passeggiate-fughe tra i boschi, sommerso in una gran nebbia sui doveri e sulle assunzioni di responsabilità. E quando esplose l’ondata di gioia per la Liberazione, altrettanto esplose il suo isolamento, proprio per non aver condiviso sofferenze e battaglie.
Nel tentativo di tacitare i rimorsi, riscattare la precedente assenza, celebrare gli amici caduti, si iscrisse al PCI; riunioni, discussioni, articoli, impegni, attività lo portavano ad uscire dall’isolamento, al contatto con la gente: questa era l’ultima risorsa alla quale si aggrappava per tentare di imparare il “mestiere di vivere”. Ma quando si concluse anche l’ultima avventura sentimentale, che pure lo aveva riappacificato con tutte le donne del passato, prese il sopravvento l’aspetto disarmante del rapporto, e contemporaneamente il desiderio di autodistruzione: si convinse che tutto era inutile, che non aveva più niente da scrivere, che non era adatto alla politica, che “non valeva alla penna, né alle donne”, né agli amici né a se stesso e che la soluzione definitiva alle proprie angosce era una sola.
Ho voluto fare queste precisazioni prima di dare il via alla performance che Jose Beisso ed io terremo sabato 27 settembre a Frugarolo, in Piazza S. Anna (nel vicino salone SOMS in caso di maltempo), proprio per affrancare da facili pettegolezzi il gesto di un uomo dalla personalità complessa e tormentata, consapevole della propria cultura e sensibilità letteraria, ma contemporaneamente sopraffatto dal desiderio di autodistruggersi, di annullarsi, di tornare all’origine perché, come scrive nella dedica di “La luna e i falò”, arrivati alla maturità, “ripeness is all”, tutto si è esaurito.
Vorrei però specificare che la serata sarà soprattutto musicale, in quanto confortati dal parere di Massimo Mila, critico musicale ed amico di Pavese fin dai tempi del liceo D’Azeglio, il quale in un convegno a Vercelli aveva precisato che Pavese non era appassionato alla musica colta, né tantomeno alla musica d’arte, anzi, pur essendo un americanista, non amava neppure tanto il jazz, a cui lo stesso Mila aveva cercato di avvicinarlo, se non dal punto di vista puramente linguistico (lo slang dei testi) mentre era semmai interessato a quel reparto umile e modesto della musica rappresentato dalle canzonette di strada, quelle che cantano tutti. Abbiamo effettuato quindi una ricerca sui motivi musicali in voga nella prima metà del secolo scorso e contemporanei agli avvenimenti ed ai costumi di quegli anni: l’emigrazione, la grande guerra, i ritmi anni ’20, la rivista con le sue canzonette leggere, vagheggiate serenate anni ‘30, la novità dei ritmi sincopati, struggenti canzoni d’amore anni ‘40 e ‘50, la musica americana insinuatasi in Europa nonostante il proibizionismo di regime e via via fino ai nuovi ritmi liberatori e catartici del dopoguerra.
Vi aspettiamo tutti!
Enrica Bocchio