Sull’altra sponda del Mediterraneo (1)
Marocco. Non è facile descriverlo neppure dopo un mese dal mio arrivo. Ho scelto il Marocco come meta per il mio semestre all’estero per diversi motivi. Il primo è per il mio percorso di studi universitario, incentrato sull’arabo e sulle relazioni internazionali con il Medio Oriente e il Nord-Africa. Il secondo è una passione quasi innata per l’area nord-africana, forse dettata da quell’aura di mistico che trovavo nelle mie letture infantili sulla sponda opposta del Mar Mediterraneo. La terza è di carattere sociale, visto la consistente comunità marocchina in Italia e la conseguente voglia di conoscere un mondo che potevo solo vedere nelle distorte descrizioni dei giornali e della nostra opinione pubblica. La quarta e ultima è di carattere globale: ho sempre avuto molto domande. Chi sono questi musulmani che vivono così vicini a noi? L’eterno dualismo Islam e Occidente può essere lenito da una convergenza d’idee? Che ne sarà del Marocco nei prossimi dieci anni? Resisterà alle pressioni spesso indirettamente proporzionali tra conservatorismo e modernismo, tra sviluppo e tradizione?
E così ho lasciato tutto e mi sono trasferito qua, in un mondo nuovo, circondato da persone nuove che parlano una lingua nuova. Qui avrò il tempo di crescere, imparare e toccare dal vivo una realtà che finora potevo solo immaginare.
Eppure oggi, a quasi un mese esatto dal mio arrivo, il 26 agosto, non saprei con chiarezza a rispondere a nessuna delle mie domande. Il perché risiede non nella delusione di una realtà inferiore alle mie aspettative, bensì ad una dinamicità che mai mi sarei aspettato di trovare. Una dinamicità che si dipana nonostante mille contraddizioni, equilibri precari, una libertà individuale ancora poco digerita dagli insegnamenti della filosofia europea, un sentimento religioso ancora molto forte e una forbice tra ricchi e poveri esagerata. Problemi e crisi che, tuttavia, non sembrano infiacchire la fame delle nuove generazioni marocchine, volenterose di ritagliarsi un posto nel mondo e chiamati, volenti o nolenti, a ridisegnare le direttrici del Marocco nei prossimi anni.
Dare un giudizio in questo momento sarebbe un atto di superbia (hýbris, dicevano i greci) che non potrei perdonarmi. Troppo poco ho visto e troppo poco ho imparato. Per ora dunque mi limiterò a dare una breve descrizione del luogo che chiamo casa.
L’università che mi ospita si chiama Al-Akhawayn University (I due Fratelli), creata nel 1993 per “volere” del re saudita Fahd e da quello marocchino Hassan II. Ho virgolettato volontariamente il verbo volere, per la singolarità e casualità dell’episodio che sta all’origine della nascita di questa università. Nei primissimi anni 90’ una petroliera affondò davanti alle coste del Marocco rilasciando grandi quantità di petrolio nelle sue acque. I sauditi prestarono soldi per rispondere al disastro ambientale. Tuttavia i venti allontanarono il petrolio verso le acque internazionali e il Marocco, sbarazzatosi del problema, usò i soldi sauditi per stabilire una delle università migliori del Marocco basata sul modello americano. Al-Akhawayn University, appunto. Ospita studenti marocchini da ogni parte del paese e di estrazione sociale agiata, e una buona percentuale di studenti stranieri. L’attenzione della didattica viene posta su Ingegneria, Economia e Scienze Informatiche, perché, come sostiene il mio compagno di stanza, parafrasando a sua insaputa un qualunque dirigente europeo:- Il futuro è di chi innova, sviluppa e ricerca.”
È situata in Ifrane, piccola cittadina di 15.000 abitanti situata nel mezzo delle Middle Atlas, considerata la Svizzera del Marocco perché hanno la neve, le baite e le piste da sci. Ciò non toglie gli elementi più caratteristici del Marocco: un suq caotico, affollato e colmo di ogni necessità, moschee che chiamano cinque volte al giorno i fedeli alla preghiera, i tipici vestiti lunghi marocchini e un modo di concepire il tempo e i ritmi della vita ben lontani dallo stress e dal tempo tiranno di noi occidentali. Un fattore, che a mio avviso, accomuna un po’ tutti i paesi mediterranei. Dulcis in fundo, non manca nemmeno un traffico anarchico, impavido e disordinato.
Mancano i grandi centri commerciali, le catene distributive o il commercio all’ingrosso. Sopravvivono i piccoli artigiani, i piccoli ristoratori, i macellai, i fruttivendoli e i baristi. Un sistema di produzione e consumo vetusto: dal produttore al consumatore quasi direttamente. Non riesco proprio a immaginare come potrà reagire all’arrivo, se e quando arriverà, dei nostri modelli che già si stanno implementando nei grandi centri urbani.
E proprio questo sarà l’argomento del mio prossimo aggiornamento.