Scendendo le scale scavate nella pietra che portano all’infernot nei sotterranei di Palazzo Volta di Piazza Vallino, a Cellamonte, si respira un’atmosfera magica, quasi incantata. E la prima reazione, entrando in questa stanza a temperatura costante (“ci sono circa 14 gradi tutto l’anno, estate e inverno”) destinata alla conservazione del vino, è pensare a quanta competenza, e a quanto lavoro fisico, siano stati necessari per realizzarla. Parliamo del pieno Ottocento, periodo a cui risalgono più o meno tutti gli infernot del Monferrato, elemento di unicità del territorio grazie al quale queste colline hanno ottenuto, poco più di due mesi fa a Doha, da parte dell’Unesco, lo straordinario riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità.
Palazzo Volta, unico esempio monferrino di architettura rinascimentale a doppio colonnato, era un tempo la casa del parroco, e oggi è la sede della Fondazione Ecomuseo della Pietra da Cantoni: con inserimento all’interno del circuito degli Ecomusei piemontesi, e con all’interno l’unico infernot pubblico del Monferrato (“tutti gli altri sono di proprietà di privati, spesso naturalmente titolari di aziende vitivinicole”).
Claudio Castelli, esponente del teatro di figura conosciuto e apprezzato in tutto il Monferrato (“vivo di Casale, ma originario di Sala Monferrato, dove sono anche consigliere comunale: e tutto il Monferrato è davvero casa mia”), è da alcuni mesi presidente dell’Ecomuseo, e di cultura monferrina, per radici famigliari e per cultura professionale, è intriso da sempre. Lo abbiamo incontrato, per farci raccontare cosa significano davvero gli infernot (“ma anche i casot, altrettanto importanti nella cultura locale”), e quale peso potrà avere il riconoscimento Unesco nel rilancio di tutto il Monferrato. Ma anche naturalmente per parlare della pietra da cantoni, e di cosa ha rappresentato nell’economia del territorio.
Presidente Castelli, facciamo il punto della situazione, prima di tutto: quanti sono gli infernot del Monferrato?
Domanda semplice, risposta complicata: fino ad oggi ne abbiamo censiti 47, che vengono presentati in due successive pubblicazioni, del 2004 e del 2007. Ma c’è assolutamente l’intenzione di riprendere la ‘mappatura’, consapevoli che il lavoro è tutt’altro che esaurito. Così come occorre fare un lavoro di maggiore dettaglio, ed arrivare magari anche lì ad una pubblicazione, sui casot, ossia i casotti di campagna che si trovano nelle nostre vigne, e che hanno sempre rappresentato per gli agricoltori del Monferrato un importante punto di riferimento: spesso le vigne erano su colline lontano da casa, con poco o nulla attorno. E il casot era il punto di riferimento in cui trovare ristoro e riposare un po’ durante il giorno: ma c’era anche chi ci viveva occasionalmente anche di notte.
Entrambi, infernot e casot, hanno come elemento caratterizzante la pietra da cantoni, d’altra parte utilizzata anche per la realizzazione di tante case qui in Monferrato, splendide ancora oggi. Qual è la storia di questo materiale, e perché è così importante?
La pietra da cantoni fa parte del dna di noi monferrini, e veniva estratta dalle cave presenti sul nostro territorio: praticamente ogni paese ne possedeva una, e rappresentava il materiale essenziale, la base della nostra edilizia. La sua formazione ha radici millenarie, e se ne trova un’accurata descrizione sul sito dell’Ecomuseo di Cella Monte. Ora le cave sono state chiuse, e anzi è stata autorizzata la riapertura di una di esse proprio per recuperare la pietra necessaria alla risistemazione dell’edificio che ospita l’Ecomuseo. Naturalmente ad un certo punto in edilizia, con l’arrivo di materiali più moderni e meno costosi, la pietra da cantone è diventata inattuale: ma basta vedere, nei nostri paesi, la differenza di qualità fra le case in pietra e le altre, per capire quale patrimonio questo materiale ha rappresentato e rappresenta per il territorio.
Un territorio, presidente, che secondo la vulgata comune ‘non ha mai saputo fare sistema’: grazie agli infernot, riconosciuti dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità, qualcosa potrà cambiare davvero?
Noi ce lo auguriamo tutti, e ognuno di noi deve fare il possibile perché questo succeda. Come Ecomuseo, ci auguriamo che l’annunciato finanziamento di 13 mila euro da parte della Regione Piemonte si concretizzi presto, perché ci consentirà di procedere sul fronte di nuove iniziative, accanto a quelle già avviate, e in cantiere. Peraltro non dimentichiamo che l’Ecomuseo ha prodotto e produce anche studi e pubblicazioni in altri ambiti di forte interesse, e legati al territorio: dai libri sui giardini storici del Monferrato, ad elevato interesse botanico, fino agli studi su graffiti e incisioni sulla pietra da cantoni, che ‘raccontano’ la storia del nostro territorio.
In più lei presidente, ricordiamolo, il Monferrato e le sue tradizioni di cultura popolare le mette in scena, con spettacoli itineranti di paese in paese, anche attraverso la sua attività professionale, ossia il teatro di figura…
(sorride, ndr) Eh sì, e pensi che anche l’arte dei burattinai è stata riconosciuta negli anni scorsi Patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Per i prossimi mesi, anche in vista di Expo 2015 e di tutto ciò che speriamo possa rappresentare in termini di flussi turistici, stiamo mettendo a punto una serie importante di progetti. Oltre a continuare naturalmente i percorsi con le scuole: perché è davvero fondamentale trasmettere la cultura del nostro territorio alle generazioni più giovani.
Ettore Grassano