“Quando qualche collega consigliere a Torino mi chiede ‘da voi nell’acquese qual è la situazione delle crisi aziendali?’, gli rispondo che siamo avanti: da noi non ce ne sono più, perché le aziende sono già scomparse tutte! E’ una battuta, naturalmente, ma amara, perché la situazione è davvero di grande difficoltà. E credo che l’unica via d’uscita sarebbe un vero filo diretto di collaborazione fra Torino e i territori: uso il condizionale perché nei fatti con la giunta Chiamparino, così torinocentrica, la vedo durissima”. Paolo Mighetti, architetto 35 enne di Cavatore (dove è stato anche consigliere comunale per una lista civica, dal 2009 al 2012) da qualche mese è consigliere regionale per il Movimento 5 Stelle, e anche presidente della Giunta delle elezioni (ineleggibilità, incompatibilità, insindacabilità). Che, di questi tempi basati su continue contestazioni, verifiche, addirittura elezioni annullate per via giudiziaria non è proprio un ruolo tranquillo. Lo abbiamo incontrato, approfittando della pausa estiva attorno a Ferragosto, per farci raccontare come vede ‘l’elefante’ Regione, e se davvero ha l’impressione che qualcosa stia cambiando nella gestione e nella prospettiva. Ma anche per capire come un trentenne alla prima esperienza politica e ‘di Palazzo’ vede il futuro del nostro territorio, e quali sono le sue proposte per rilanciarlo.
Architetto, lei in Regione è sia consigliere che presidente, ma limitiamoci alla sua qualifica professionale. Ci racconta innanzitutto chi è, e come è arrivato all’incarico politico di oggi?
La politica mi ha sempre interessato in realtà, fin da ragazzino. Consideri che, nato nel 1979, ero un adolescente ai tempi di Tangentopoli, nel 1992-93: e quando qualche mese fa ho visto tornare agli onori delle cronache Primo Greganti ho avuto come un flash, rendendomi conto una volta di più di quanto il cambiamento in questo Paese sia complicato. Il mio primo voto comunque, e le prime simpatie politiche, andarono ai radicali. Erano gli anni del G8 di Genova, per capirci: evento che però ho vissuto da semplice osservatore, pensavo più che altro a studiare. Ma già allora, confrontandomi tra Acqui e Genova con amici e coetanei, capivo che eravamo tanti a pensarla in un certo modo. Ossia convinti che la politica fosse importante, ma anche in mano, in Italia, a partiti corrotti e inavvicinabili.
E lì arrivò Beppe Grillo?
Seguivo già Beppe e i suoi spettacoli, e il suo blog dagli inizi. E ricordo, in particolare, un suo spettacolo allo stadio Moccagatta, qui ad Alessandria, nel 2005: ci aprì gli occhi, diceva esattamente quel che la gente comune pensava da tempo. Di lì a poco il suo blog divenne la mia pagina di apertura di Internet, perché volevo violentarmi, e costringermi ad occuparmi di questioni pubbliche che non potevo più fingere di non vedere.
Così decise di aderire al Meet Up di Acqui Terme?
No, prima mi iscrissi a quello di Asti, che era già stato costituito. Poi, dopo la partecipazione al primo V Day, scoprii che qualcuno ne aveva aperto uno anche nella mia città, Acqui Terme appunto. E, incontrandoci, emerse che in fin dei conti ci conoscevamo già tutti: ed eravamo gli stessi che, da anni, si scambiavano sulla politica e sull’Italia le stesse impressioni incontrandosi all’Università, o nei bar cittadini.
Acqui rispose subito con entusiasmo?
Assolutamente no. Per anni a ritrovarci a discutere, e a provare a lavorare concretamente sui problemi, siamo stati pochissimi. Le prime riunioni (perché gli attivisti del Movimento 5Stelle sono persone in carne ed ossa, che amano incontrarsi e confrontarsi, non solo sul web!) le facevamo al bar Il Sarto, che ora non c’è neanche più. E ricordo che, in occasione del V Day, raccogliemmo 1.000 firme in un solo giorno: ma appunto un conto è firmare per sostenere un’iniziativa, altro è partecipare attivamente. Per quello c’è voluto più tempo. Però alle elezioni comunali del 2012 abbiamo presentato un nostro candidato sindaco, eleggendolo consigliere comunale, e sfiorando il secondo consigliere. Fino poi al boom delle elezioni politiche del febbraio 2013, e all’ottimo risultato delle Regionali 2014, in cui siamo passati da 2 a 8 consiglieri regionali.
Partiamo dunque proprio dalla Regione Piemonte: quanto credito siete disposti a dare a Chiamparino? Ossia: farete opposizione ‘dura e pura’, sempre e comunque, o siete disposti a confrontarvi sui singoli temi?
Opposizione seria sicuramente. Ma costruttiva, noi siamo nati per questo, come Movimento. Dopo di che, dipende in primis da Chiamparino, che ha la maggioranza dei consiglieri, decidere se scegliere la strada del dialogo e del confronto oppure no. I primi segnali non sono incoraggianti: è vero che, sul fronte dei costi (e degli sprechi) della politica alcuni passi in Regione è stato costretto a farli: ma lì, con un’opinione pubblica così arrabbiata e sensibile al tema, non poteva fare altrimenti. E’ sulla gestione che sono scettico….
Teme una politica regionale ‘torinocentrica’? Alessandria rischia la marginalità?
Più che rischiarla, la marginalità la stiamo già vivendo: anche appunto considerato che la nostra è una provincia policentrica, con tantissimi piccoli comuni, e territori molto diversi tra loro. Ma cosa crede che ne sappiano a Torino dell’Acquese, della Val Lemme o di altri lembi di territorio che confinano con la Liguria? Un esempio recente: l’altro giorno l’assessore Parigi (Cultura e Turismo, ndr), quando le ho segnalato che nell’ambito di un’analisi sulla situazione turistica regionale non aveva minimamente parlato dell’alessandrino, mi ha replicato che lo aveva fatto in riferimento a Unesco e Monferrato. Peccato però che di fatto si tratti solo di una parte delimitata del nostro territorio. Ma a Torino non lo sanno.
Con la trasformazione (peraltro ambigua ed incompiuta: vedremo che fine faranno deleghe e competenze, ad oggi nel limbo) delle Province, il rischio non è un ulteriore ‘distacco’ tra centro e periferie?
Se guardiamo a ciò che concretamente hanno fatto in questi ultimi decenni gli enti Provincia, a partire da quella di Alessandria, direi che il problema non è questo: anzi, le Province su alcuni temi strategici, come il trasporto pubblico, hanno generato solo confusione, sovrapposizione di ruoli e immobilismo. Ora attenti, però, a non sostituire le Province con il comune capoluogo, perché saremmo al punto di partenza. La soluzione è invece puntare sui comuni centri zona, e fare in modo che siano loro a tenere i rapporti con la Regione su una serie di temi delicatissimi: dalla sanità, ai trasporti, al lavoro.
Parliamo delle Terme di Acqui architetto Mighetti: qual è la vostra proposta?
Prima di tutto vorremmo capire che intenzioni ha Chiamparino, a partire dalla nomina del nuovo cda. Abbiamo letto nomi di personaggi, dall’eterno Renzo Patria al nipote di Lino Rava, già parlamentare e tutt’ora assessore provinciale, che sono il trionfo della partitocrazia. Cosa ne sappiano un politico della prima repubblica piuttosto che un ingegnere che ha sempre fatto tutt’altro di terme e turismo termale nessuno se lo chiede: è ininfluente, in base alla logica della vecchia politica. E’ questo il nuovo che Chiamparino rappresenta? Poi c’è il futuro: va bene raccontarci, come facciamo da decenni, che le Terme sono una risorsa straordinaria per tutto il territorio. Ma come sono state gestite fino ad oggi lo vediamo o no? Perché turisti di fascia medio alta (gli unici ad essere almeno per ora sopravvissuti alla crisi economica) dovrebbe scegliere di fare una vacanza termale ad Acqui, se attorno alle sedute per i fanghi c’è il vuoto in termini di accoglienza, e buona parte delle stesse proprietà immobiliari delle Terme è fatiscente?
Quindi? Siete per vendere ai privati o conservare la proprietà pubblica?
Temo che oggi vendere ai privati significherebbe svendere, oltretutto probabilmente con finalità di speculazione in direzione diversa da quella termale. E, d’altra parte, sperare che un privato entri come socio di minoranza, consegnandosi mani e piedi a questa politica, di questi tempi, mi pare irrealistico pensarlo. Forse si dovrebbe pensare ad una diversificazione delle attività delle Terme di Acqui, in rapporto ai target di riferimento. Ma spetta alla Regione, azionista di maggioranza, e a Chiamparino avanzare una sua proposta. Noi stiamo aspettando.
L’acquese, al di là della vicenda Terme, è territorio in forte difficoltà?
Direi che gran parte del tessuto produttivo è stato smantellato negli ultimi decenni, e quel che è rimasto è il filone dei costruttori, che si sono espansi storicamente in buona parte della riviera ligure: Andora, Ceriale, Alassio e altri centri. Da noi è rimasto pochissimo, e anche la filiera della viticoltura, pur potendo contare su realtà importanti e su vini che non conoscono crisi, come il Moscato, vive certamente un momento di difficoltà. Anche per l’incapacità che tutto il territorio dell’acquese ha avuto di valorizzarsi davvero, sul fronte turistico: e se pensiamo a quanti soldi pubblici sono stati stanziati nei decenni, e sprecati, è chiaro che alla situazione di oggi si è arrivati per errori e responsabilità precise.
Oggi però l’acquese esprime ben 2 consigliere regionali: oltre a lei, c’è anche Walter Ottria (Pd), già sindaco di Rivalta Bormida. Almeno a Torino marginali non siete: collaborerete, o prevarrà l’appartenenza di schieramento?
La disponibilità a muoversi in maniera congiunta su certi temi territoriali da parte mia c’è: penso alla questione delle risorse idriche ad esempio, che peraltro è uno di quei temi su cui, come Movimento 5 Stelle, abbiamo promosso un’iniziativa che consenta di modificare la normativa regionale. L’acqua sarà un bene sempre più prezioso nel nostro futuro, e essendo la nostra una delle falde più ricche di tutta la regione, è nostro dovere civico, credo, tutelarne la qualità. Oggi però è sufficiente che un singolo piccolo comune, per superficialità o per altre intuibili ragioni, decida diversamente, e il danno si estende ad un territorio vasto. Spero che su questo tema, come su altri legati all’acquese, Ottria la pensi come me. Vedremo.
Lei è neo consigliere regionale architetto Mighetti. Cosa si aspetta da questa esperienza quinquennale?
(riflette, ndr) Mi ha colpito sentire il presidente Chiamparino affermare che lui non crede nella ‘decrescita felice’, perché è un vecchio industrialista. Ecco, io credo che questo quinquennio vedrà il definitivo tramonto, in Piemonte come altrove, dell’industrialismo come lo intende Chiamparino, che è esponente di una cultura e di una politica che hanno già perso: sono il passato, e purtroppo lasceranno alle loro spalle totale devastazione. Il nostro territorio ne porta innumerevoli segni. Mi aspetto e mi auguro di poter dare il mio contributo alla realizzazione di un nuovo progetto di Piemonte, basato sulla messa in rete e la condivisione di beni e servizi, e anche sul superamento di una burocrazia opprimente che oggi tarpa le ali sul nascere a chiunque abbia voglia di mettere in piedi un’iniziativa in qualsiasi settore.
Ettore Grassano