E’ uno dei pochi veri ‘scienziati del vino’ del nostro Paese, star internazionale acclamata in Paesi come il Kazakistan e la Georgia, “dove è nata la vite, milioni di anni fa, e dove ora il vino sta vivendo una nuova, entusiasmante primavera: ma quando torno qui, nel nostro Monferrato, mi si spalanca il cuore. Viviamo in una delle terre più belle e ricche di potenzialità al mondo, cosa aspettiamo ad accorgercene?” Donati Lanati (la sua storia, e quella della cascina-laboratorio Enosis Meraviglia ve la raccontammo l’anno scorso, e vale la pena rileggerla) sorride se glielo ricordi, quasi a voler dire “va beh, che sarà mai, l’ho fatto per amore”, ma in realtà ha avuto un ruolo decisivo nel percorso verso il riconoscimento del Monferrato come Patrimonio dell’Umanità, arrivato nei mesi scorsi dopo un iter decennale. Fu sua infatti, alcuni anni fa, l’intuizione di puntare sugli Infernot come elemento dotato di ‘unicità, e non trasferibilità’, caratteristiche essenziali per ottenere la ‘certificazione’ Unesco. Ma adesso cosa succederà? Riuscirà davvero il Monferrato ad approfittare di questo importantissimo riconoscimento per ‘decollare’, e per far crescere, insieme e attorno a sé, una parte significativa della nostra provincia? E come si fa, concretamente? Quali dovrebbero essere i prossimi, decisivi passi?
Dottor Lanati, facciamo un passo indietro: come le venne l’idea di puntare sugli Infernot?
(sorride, ndr) Ricordo quel giorno come se fosse ieri: arrivò ad Enosis Meraviglia Ugo Cavallera, con uno sguardo sconsolato e un plico di documenti in francese, che in sostanza dicevano che la domanda presentata all’Unesco, e fondata sul valore dei vigneti del Monferrato, era stata respinta ma che si poteva ricorrere. Semplicemente perché per concedere l’importante riconoscimento (Patrimonio dell’Umanità) l’Unesco ha bisogno di individuare l’unicità, elementi che non si possono trasportare e che abbiano un organo di controllo. Da lì a me e al mio team di Enosis Meraviglia è venuta l’idea: gli Infernot del Monferrato con l’Ecomuseo Pietra da Cantone rientravano in queste caratteristiche, perché li abbiamo solo noi e sono legati al nostro territorio e alla conservazione del vino. Ma vorrei fosse chiaro: perché un’idea si concretizzi bisogna che poi molte persone, associazioni e istituzioni la sposino e ci lavorino. C’è stato in questo caso un grande lavoro di squadra, che ha portato al risultato che sappiamo. Bello e importantissimo.
Ecco, veniamo all’oggi: cosa bisogna fare perché il riconoscimento Unesco non rimanga solo una medaglia, e sia invece una leva importante di rilancio del territorio, prima di tutto dal punto di vista economico e imprenditoriale?
In primo luogo bisogna crederci, crederci davvero. Smetterla di piangersi addosso, e di ragionare in termini di piccola concorrenza o invidia col vicino di casa, o col paese della collina più in là. E puntare su una strategia comune, condivisa, di accoglienza e valorizzazione del territorio. Che parta naturalmente dagli Infernot, e dal vino, per coinvolgere tutta la filiera dell’economia: dalla cultura al patrimonio immobiliare.
Ma la scintilla quale può essere?
La scintilla sono sempre uomini capaci, motivati, determinati. Non ci sono altre strade: se oggi le Langhe, o la Toscana, sono territori che nel mondo hanno un’immagine e un valore maggiore rispetto al nostro Monferrato è solo perché quegli uomini li hanno avuti, e noi no. Naturalmente però non è mai troppo tardi: si deve guardare avanti, e recuperare il tempo perduto. Ma ci vuole il leader, anche tra i vini.
Ossia? Ha qualche asso nella manica?
Sì, ma me lo tengo ancora un po’. Però le dico questo: per farcela davvero, per decollare, dobbiamo mettere in campo un vino che sia sintesi di tradizione e innovazione, e una produzione di qualità ma anche quantitativamente significativa, diciamo almeno 500-600 mila bottiglie. Quello sarà l’ariete, la punta di diamante su cui puntare. Attorno, naturalmente, va costruita un’offerta integrata, e una adeguata politica di accoglienza. In tempi non sospetti, gli egizi e gli assiri dicevano: “metodo antico, successo moderno”. E’ una ricetta ancora attualissima.
Chi deve farlo? Ossia: ci deve essere una cabina di regia, e a chi spetta?
A mio parere la politica, e la mano pubblica in generale, hanno già fatto anche troppo in questi decenni. E ognuno interpreti questa affermazione come crede. Insomma, è tempo che la politica si fermi a fare qualche riflessione e si limiti a creare le condizioni perché i privati, intesi come i veri attori dell’imprenditoria diffusa, possano lavorare, credendoci e investendoci. Le faccio qualche esempio concreto? Nei giorni scorsi abbiamo avuto ospiti ad Enosis Meraviglia una decina di nostri clienti georgiani e americani. Non persone qualsiasi, ma ricchi imprenditori, che hanno aziende, vitivinicole e non, di dimensioni ragguardevoli. E che guardano al Monferrato con grandissimo interesse, e con i capitali necessari per fare investimenti interessanti. Altro esempio? Cave di Moleto: per me uno degli angoli più belli e suggestivi del Monferrato, e del mondo. Su quelle colline ci saranno almeno 50 ettari di vigneto abbandonati o sotto utilizzati, e una serie di caratteristiche naturali che potrebbe consentire di farne un territorio di fama e richiamo mondiale. Certo, bisogna attrarre investitori qualificati, e dar loro modo di lavorare e sviluppare un progetto ambizioso: agevolandoli, e non ostacolandoli.
Intanto, dottor Lanati, il prossimo 23 agosto i 7 comuni monferrini ‘patria’ degli Infernot partono con un primo evento celebrativo e di valorizzazione, con una serie ramificata di iniziative. E’ la strada giusta?
Assolutamente sì, e ci sarò. Mi auguro che sia solo l’inizio di un percorso, e sono ottimista, perché sento in giro, sia tra gli amministratori locali del nostro Monferrato che tra gli imprenditori, un entusiasmo nuovo. Per quanto mi riguarda, anche se trascorro per lavoro all’estero buona parte del mio tempo, sarò lieto di fare la mia parte, per l’amore che provo per questa terra, dove vivo ormai da quasi cinquant’anni, e che ha ispirato tutti i miei sogni, e il mio percorso professionale.
Ettore Grassano
Nella foto: Donato Lanati con il Primo Ministro della Georgia Irakli Gazibashvili.