Un mercato particolare è certamente quello del calcio, e poiché lo sport principe ha sempre infiammato il cuore dei tifosi, è ovvio come il passaggio di un campione da una squadra all’altra polarizzi in modo enfatico l’attenzione. Tale attività di compravendita di “pedatori” ha avuto un crescendo rossiniano nel tempo, così come si è evoluto questo sport da semplice gioco – anche se esercitato da professionisti – a coagulo di interessi dai molteplici zeri.
Oggi, forse, stupiscono le enormi quotazioni, ieri di più la cessione di un personaggio, magari la “bandiera” della squadra. Anche l’Alessandria U.S., che ha goduto, come ben sappiamo, di antichi fasti, è stata protagonista, talvolta, di exploit di mercato.
Ma prima di addentrarci nella descrizione di quelle che furono le tre pietre miliari delle cessioni, non solo per il mondo grigio ma per tutto il football nazionale, vogliamo ricordare la stranezza del primo acquisto mandrogno, da cui scaturì la prima formazione.
Il geom. Amilcare Savojardo (poi valente trainer e dirigente) fu acquistato dalla Vigor di Torino dietro la “corresponsione” di un posto di lavoro presso l’allora mitica Borsalino.
Per ritornare all’argomento, ricordiamo l’Alessandria U.S. comunque sempre protagonista: la vendita del campione Baloncieri (Balòn) ad uno dei mitici rivali, cioè il Torino (1925). Essa rappresenta la seconda eclatante operazione di mercato (la prima fu quella di Rosetta dalla Pro-Vercelli alla Juventus) che sancì il passaggio di un giocatore da una Società di provincia ad un grande Club. Cominciarono da allora le grandi appropriazioni e il conseguente depauperamento del capitale provinciale, che non poteva concorrere con la moneta capitalista.
La storia di Balòn iniziò con un avventato prestito del campione al Toro per un’amichevole.
In quella partita le mirabilie di Baloncieri fecero innamorare i dirigenti granata, i quali avanzarono formali richieste di acquisto. Dopo laboriose trattative, tenute segrete ai tifosi per evitarne… la rivoluzione, venne ceduto per la cifra record di 70.000 lire (circa un milione e mezzo di euro oggi: teniamo presente che in quei tempi si parlava ancora di dilettantismo). Com’era logico, appena risaputo lo staff grigio venne incolpato di affarismo e non bastò certo l’autoironia dell’allora Presidente comm. Ronza che esclamò: “Non è il caso di disperare. Abbiamo ceduto un vecchio ronz…ino!”. Tanto vecchio e malandato da diventare capitano della nazionale. Si può dire che di lì prese le mosse il vero mercato calcistico.
Il destino delle provinciali era segnato e poco dopo (1929) l’Alessandria U.S. dovette registrare un’altra dolorosa perdita, Elvio Banchero, che aveva preso il posto di Baloncieri nel cuore dei tifosi mandrogni. Venne infatti venduto al Genoa, ancora grande. Così la dichiarazione del Presidente alessandrino per calmare i commenti: “La notizia della cessione di Banchero al Genoa 1893 comparsa su alcuni giornali è esatta.
Il valoroso giocatore lascia la squadra grigia e nessuno può certamente rallegrarsi di questo fatto. Quando di queste dolorose amputazioni soffre l’organismo sociale, tutto uno stuolo di supporters, tutta una città ne soffre. Ma la fredda ragione deve finire per imporsi agli impulsi del sentimento e tutti devono persuadersi che la soluzione era inevitabile e necessaria”. La dura legge che persegue il risanamento delle casse societarie e l’incremento delle tasche dei giocatori cominciava a trovare ragion d’essere.
La terza e purtroppo ultima operazione di mercato fu quella di Gianni Rivera al Milan (1960) per l’allora “modica” cifra di 130 milioni di lire.