L’accento bergamasco di Giuseppe Ravera denota in maniera chiara la città in cui è cresciuto, ma è fuorviante: “in realtà mio nonno era di Strevi, ed io su queste colline ho trascorso tutte le estati della mia giovinezza: finché, laureatomi nel 2000 in Scienze Biologiche, con Erika (che ha una laurea in Scienze Ambientali, e successivamente è diventata mia moglie) abbiamo deciso di trasferirci qui stabilmente, per fare i contadini”. Nasce così, ormai 14 anni fa, il progetto Ca’ del Bric di Montaldo Bormida, sulle colline del Monferrato ovadese: splendida realtà che produce vini completamente biologici capaci di raccontare, anche sul piano culturale e delle ‘evocazioni letterarie’, la storia del territorio. Giuseppe Ravera è anche vice presidente del Consorzio di Tutela dell’Ovada.
Dottor Ravera, quanto pesano ‘le radici’ nel progetto Ca’ del Bric?
Sono essenziali: la Ca’ del Bric originale, in realtà, è quella in cui vissero i miei bisnonni, mezzadri dei conti Schiavina di Montaldo: si trova qui accanto, fuori dal paese, e ci vivono i miei genitori, che l’hanno comprata nel 1991. Unendo l’ettaro e mezzo di vigna originaria ad altri terreni coltivati un tempo da mio zio, ed in parte anche acquistati, si arriva ai 5 ettari vitati di oggi: tutti a produzione rigorosamente biologica già da diversi anni, e da quest’anno finalmente anche certificati.
Cosa vuol dire uve e vini biologici?
Significa aver eliminato in maniera totale la chimica dal vigneto: via trattamenti, fertilizzanti, prodotti non naturali. Se rispettata, la terra restituisce molto più di quello che ti aspetti. Attraverso l’agricoltura biologica è possibile produrre vini migliori, più veri, e riscoprire l’individualità perduta dei diversi vitigni: il gusto asciutto del Dolcetto, la vivace acidità della Barbera, il ricco bouquet dello Chardonnay escono con forza dalla vigne rinate. In più, anche se la legge richiede per i vini biologici l’eliminazione di 1/3 dei solfiti, noi li abbiamo eliminati completamente. Il che significa puntare ad avere un’uva talmente perfetta da non aver bisogno di nessun correttivo.
E come ci riuscite?
Abbiamo fatto sperimentazioni per anni, e le facciamo tuttora. Utilizzando lieviti naturali prodotti dalle stesse vigne, e null’altro. E questo senza essere estremisti o fanatici del bio. Non siamo cioè fra coloro che dicono: piuttosto meglio un vino meno buono, ma naturale. Noi puntiamo a vini sì naturali, ma anche di qualità altissima.
Insomma, la boutique ‘firmata’ che si contrappone ai grandi marchi?
Esattamente: senza naturalmente demonizzare nessuno. I grandi numeri non fanno per noi. Guardiamo altrove, e abbiamo scelto queste dimensioni che ci permettono di curare il vino come prodotto artigianale, ci muoviamo nella direzione di prodotti di fascia alta, e che raccontano storie di casa nostra, di questa parte di Piemonte…
Come Mayno Zero, il bandito senza solfiti?
Mayno della Fraschetta è stato una figura leggendaria, a cui abbiamo dedicato il dolcetto d’Ovada naturale, senza compromessi, e appunto senza solfiti. Ma possiamo citare anche Mansur, barbera del Monferrato dal colore rosso porpora, ispirato ad un altro personaggio tra mitologia e realtà: Mansur appunto, frate originario dell’alessandrino che a fine Ottocento girò il mondo, in maniera avventurosa e spericolata. Oppure Pilar Natural, chardonnay ispirato a Cent’anni di solitudine di Gabriel Garcia Marquez. Ma abbiamo anche il Balot (uve barbera e merlot), e poi un Rosé di Nebbiolo, e naturalmente il Gold Inside, Ovada riserva DOCG, punta di diamante del nostro territorio, premiato col Marengo d’Oro 2014. Infine, quest’anno abbiamo presentato, nell’ambito di Cantine Aperte, il Conte di Gelves Ovada docg 2012: il primo senza solfiti affinato in legno, degno di comparire alla tavola del re, come lo abbiamo definito.
Quante bottiglie producete all’anno, e come le vendete?
La nostra produzione annua oscilla dalle 30 alle 35 mila bottiglie, e oltre alla vendita diretta con consegna a domocilio, organizziamo visite guidate e degustazioni in cantina. All’estero, invece, abbiamo distributori in Germania e Giappone, e dall’anno prossimo saremo presenti a Millesime Bio, salone dei vini biologici di Montpellier, in Francia. In cantina ci avvaliamo della consulenza dell’enologo Vincenzo Muni’, mentre in vigna Giuseppe e la sua squadra svolgono tutto il lavoro.
E poi c’è la Grotta del vino, dottor Ravera: un piccolo gioiello che lascia a bocca aperta…
Si tratta di una cantina ipogea detta “ infernot” scavata a mano nel tufo, sotto la collina, all’interno della nostra proprietà. E in effetti è un’opera di due secoli fa, che riempie di meraviglia tutti i nostri visitatori. Realizzata con sorprendente perizia, è stata utilizzata fino agli anni Sessanta. Rispondeva alle esigenze dei nostri nonni: vinificare direttamente in vigna, considerato lo sforzo che, con i mezzi dell’epoca, sarebbe stato necessario per trasportare tutta l’uva a mano per distanze di chilometri. La Grotta è una testimonianza straordinaria dell’ingegnosa civiltà contadina da cui proveniamo, e di cui a Ca’ del Bric cerchiamo di fare ‘tesoro’.