Diciamoci la verità: a fronte di un Paese reale in fase di avanzato collasso, con aziende che chiudono e licenziano a raffica (magari comunicandolo ai lavoratori con un cartello, come ha fatto la Guala Closures la settimana scorsa nel pavese), cosa volete che gliene freghi agli italiani delle riforme istituzionali?
Già siamo fanalini di coda quanto ad educazione civica, ed è un’esigua minoranza della popolazione a conoscere le basi anche minime della Costituzione, la divisione dei poteri e quant’altro. Figuriamoci quindi quanto i cittadini possano trovare appassionante il dibattito sulla riforma del Senato, della legge elettorale o degli enti locali.
Eppure, guardate, anche lì si sta giocando il futuro del Paese, e con segnali tutt’altro che entusiasmanti.
Certo, per i grandi media (con conti economici drammatici, e la cui sopravvivenza dipende da ulteriori aiuti governativi, cioè dalle nostre tasche, a fondo perduto per sopravvivere) è in corso un’operazione di straordinaria semplificazione, modernizzazione, velocizzazione. E il nostro enfant prodige, il Telemaco cresciuto in riva all’Arno, procede col vento in poppa.
Del resto, nessuno può negare che Renzi stia cercando di mettere le mani (almeno a parole) su un enorme moloch di inefficienza e sprechi, che va dal colle più alto (naturalmente esente da tagli, almeno finchè c’è Napo al comando), fino alle più sperdute periferie.
Ma se guardiamo un po’ meglio alla sostanza di queste riforme, cosa emerge davvero? Non straordinari risparmi (il bluff delle Province è emblematico da questo punto di vista) ma, questo sì, una straordinaria concentrazione di poteri verso il centro, e verso una ‘democrazia di secondo grado’.
Lo scenario che si profila, dunque, è quello di un Paese in cui sempre più comanderanno in pochi, e in pochissimi avranno il vero controllo della pecunia. Cosa questo possa poi comportare, naturalmente, lo scopriremo strada facendo.
Per ora, però, abbiamo dinanzi agli occhi che, dopo le Province, anche il Senato sarà soggetto appunto ad elezioni ‘di secondo grado’, in cui in sostanza è la politica a selezionare e riprodurre sé stessa. Ovviamente con un opportuno (o almeno dichiarato e strombazzato) taglio dei costi, il che è più che sufficiente, con l’aria che tira, per ottenere il plauso popolare.
E se tra un po’ qualcuno proponesse di trasformare anche l’ultima Camera elettiva in un bel consesso di alte personalità delle arti e dei mestieri, nominate anzichè elette, ma pronte a prestare la propria opera in maniera gratuita? Siamo certi che l’opinione pubblica, adeguatamente stimolata da media compiancenti, non applaudirebbe a quest’ultimo triplo salto carpiato?
Proviamo allora a ricordare a tutti che la democrazia non è mai gratis, e che a buttar via il bambino con l’acqua sporca ci vuole un attimo. Rimediate però, di solito, è assai più complicato, e ha tempi lunghi. Magari un ventennio.