Cascina Montagnola sembra un angolo di paradiso. E la storia di Donatella Giannotti e di suo marito Bruno potrebbe essere frutto della penna di uno scrittore. A pochi chilometri da Tortona, sulle colline di Viguzzolo, i due coniugi milanesi, oggi coadiuvati dal preziosissimo Joseph Manuel, vignaiolo e factotum, hanno deciso, nel nevoso gennaio del 1988, di investire denaro e passione in una realtà rurale quasi totalmente abbandonata, che oggi è diventata un’azienda (e una casa) così bella da lasciare senza fiato. Nei loro 10 ettari di vigneti (ma ce ne sono anche 7 di seminativi) Donatella e Bruno producono uve di qualità assoluta, e vini le cui punte di diamante sono il Rodeo, un Colli Tortonesi Barbera premiato col Marengo d’Oro 2014 e il Morasso, un Colli Tortonesi Timorasso il cui nome è ripreso da un termine dialettale locale, premiato con il Marengo d’Oro edizione 2013.
Donatella, perché due professionisti del mondo finanziario milanese decisero di investire in un casolare diroccato nel tortonese?
La scelta di uno stile di vita rincorso da tempo, e al tempo stesso la ricerca di un’alternativa al lavoro svolto per vent’anni dietro ad una scrivania, sicuramente gratificante, ma che cominciava a starci un po’ stretto. L’occasione non capitò proprio per caso, venivamo spesso nel tortonese a casa di amici nelle vesti di campagnoli del week end, un giorno questi amici ci portarono a visitare la Montagnola, un luogo assolutamente fatiscente all’epoca, ma che traboccava di un fascino ansioso d’essere riscoperto, e quella domenica nevosa del gennaio 1988 partì la nostra avventura.
Oggi la vostra è una splendida realtà: ma quanto ci avete messo a farla decollare?
Vent’anni di passione, ma anche di tanti sacrifici: all’inizio facevamo i pendolari, anche perché sistemare sia la casa e la cantina che le vigne non è stato un percorso rapido, e neanche semplice. La prima produzione ufficiale, con il nostro barbera, è datata 1997, e ci siamo trasferiti qui definitivamente nel 2001.
Eravate entrambi esperti di vini, oppure no?
In un’intervista con un giornalista di una nota testata molti anni fa, ho dichiarato che fino a 25 anni io bevevo solo coca cola, e mio marito mi ha rimproverata. Ma è la verità, tutto è nato dopo aver visto quella che chiamo la squadra di guerrieri, un ettaro di vigneto di barbera risalente agli anni ’50, quello da cui proviene il Rodeo, il vino premiato.
Siete ‘cresciuti’ da soli, o vi siete affidati ad esperti del settore?
Impossibile crescere da soli in questo settore se non hai una tradizione familiare di attività vitivinicola. La svolta decisiva è stato l’incontro nel 1996 con il nostro attuale enologo, Giovanni Bailo, col quale ci siamo trovati in perfetta sintonia sulla filosofia di produzione e gli obiettivi da raggiungere. Successivamente, sull’onda dell’entusiasmo, abbiamo impiantato nell’arco di una decina d’anni, altri vitigni e con la passione del nostro team ci siamo concentrati sui metodi di conduzione dei vigneti atti a produrre uve e quindi vini di pregio.
Quante etichette avete in cantina, di vostra produzione?
Una decina ormai, con alcune vere eccellenze. Il citato Barbera Rodeo e il Morasso sono i vini di punta. Ma cito volentieri anche l’Amaranto, una barbera con un 30% di merlot, il Donaldo, una croatina di stoffa importante, il Margherita, un affascinante assemblaggio di vitigni a bacca rossa. Tra i bianchi il Dunin, un cortese strutturato, il Risveglio, un potente Chardonnay barricato, l’Alcesti, un Sauvignon dal carattere tortonese, il Sornione, un’intrigante vendemmia tardiva di Cortese. Voglio citare il nostro Magnum celebrativo dei nostri 10 anni di produzione, la Decima Vendemmia, annata 2006, una barbera in purezza affinata per ben 5 anni in barrique, da scoprire. Complessivamente arriviamo ad una produzione di 35 mila bottiglie, che vendiamo per il 50% all’estero e una fetta importante viene acquistato direttamente dai privati.
Qual è il vostro rapporto con il territorio? Da produttori ‘di prima generazione’ avete pagato uno ‘scotto’, faticando a costruire relazioni?
Quando si decide di entrare in un settore che non si conosce, uno ‘scotto’ si paga sempre. E poi un contesto sociale ancora un po’ diffidente verso il nuovo è piuttosto frenante, ma con tempo e umiltà ci stiamo creando uno spazio solido. Il rapporto con le nostre colline, con chi le vive e le ama, e anche con gli operatori del mondo del vino è assolutamente positivo. Il tortonese ha in mano carte vincenti come le grandi Barbere e il Timorasso: un vitigno difficile, ma che produce un bianco di grande fascino, e con potenzialità ancora tutte da esplorare.
E. G.