La famigerata crisi, si dice e con ragione, sta letteralmente ‘tagliando le gambe’ alle generazioni più giovani, che hanno in Italia tassi di disoccupazione che non si raggiungevano dal ‘famigerato’ 1977: e prospettive di ‘deregulation’ e libero mercato che, francamente, suonano ad orecchie un po’ smaliziate come un “rassegnatevi ragazzi, il posto fisso e il lavoro garantito tramonteranno con i vostri padri e fratelli maggiori, e per voi la precarietà permanente sarà la regola”.
Uno scenario che, immagino, tanti di voi ben conoscono: in quel che resta del vasto ma anche esausto ceto medio italiano nonni e genitori costantemente sorreggono ragazzi (che sarebbero considerati ormai adulti, in realtà, in qualsiasi altro Paese normale) per i quali pare sia ormai regola e normalità farsi pagare casa, vacanze e vita quotidiana dalla generazione precedente. Mentre lo Stato di fatto li ignora, tra uno slogan renziano e l’altro, pensando sostanzialmente a riprodurre la propria inefficienza, e poco altro.
Ebbene, se questo è (e mi pare innegabilmente) il quadro, sarebbe lecito attendersi uno scenario sociale se non di ribellione e tumulti, quanto meno di forte incazzatura da parte di intere generazioni che vivono oggi un presente di assistenza (famigliare, non sociale in senso lato), e sono destinate ad un futuro, se non di miseria, di costante discesa socio-economica. A rischio in fondo ci sono i loro diritti, non quelli dei sessanta-settantenni di oggi.
Ed è questa la grande anomalia: se quel famigerato 1977 di crisi del modello industriale, e di precariato intellettuale di massa (la prima ondata del genere, in Italia) generò ribellione, e rabbia, oggi i ragazzi sono come anestetizzati.
Non reclamano uno spazio, non pretendono nulla. Accettano quel poco che verrà loro concesso, se mai succederà. Basta sbirciare un po’ sui social network, o dialogare con i ragazzi che ognuno di noi conosce, e ci accorgiamo che le cose stanno esattamente come scriveva l’altro giorno un mio amico su facebook: in queste settimane l’Italia è piena di giovani disoccupati, o precari, in partenza per vacanze che venti o trent’anni fa sarebbero stati ‘da fighi’, e ora sono un normale modo per vincere la noia, allo stesso modo in cui negli anni Settanta si andava al bar a bersi un tamarindo.
Quanto questo Paese di Bengodi che vive di benessere acquisito di massa senza più essere competitivo in nulla (persino ai mondiali di calcio, tradizionale nostra foglia di fico, abbiamo preso batoste da squadrette senza blasone, ma che correvano) possa reggere siano curiosi di scoprirlo. Intanto facciamoci cullare un altro po’ dal suadente suono del piffero dell’ennesimo uomo della Provvidenza.