di Giancarlo Patrucco
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Il 29 maggio, a pochi giorni di distanza dall’incredibile successo del Partito Democratico alle elezioni europee, Matteo Renzi battezzò quell’impresa come la nascita di un “Partito della Nazione”. Non approfondì molto il concetto, né nel contesto storico e nemmeno in quello d’attualità. Si limitò a dire che i Democratici avevano fatto man bassa di voti in ogni zona del Paese e in ogni ceto sociale, dagli operai agli impiegati, dagli artigiani ai commercianti, dalla borghesia ai settori imprenditoriali più organizzati. Insomma, un consenso trasversale che poneva legittimamente il PD quale interlocutore e riferimento primario per le riforme che lui aveva promesso e che gli italiani avevano dimostrato di volere.
Intanto, la Magistratura scoperchiava uno scandalo dopo l’altro, da Taranto alla Terra dei Fuochi, dall’Expo al Mose, dalla Carige al Monte dei Paschi di Siena. Una seconda tangentopoli? Una riedizione di “mani pulite” di vent’anni fa? Alcuni elementi oggettivi erano ovviamente gli stessi: il passaggio di denari, i corrotti, i corruttori. Ma questo nuovo filone di indagini ha dimostrato subito di avere caratteristiche proprie, di gran lunga peggiori rispetto a quelle emerse dalle indagini del pool di Milano e simboleggiate dal “grande inquisitore” Di Pietro, che coniò allora la famosa definizione di “dazione”.
Con dazione, si intendeva identificare un contributo economico a quasi tutti i partiti della Prima Repubblica, sollecitato dai loro rappresentati intermediari e faccendieri a spese di imprenditori che subivano la grassazione per averne un ritorno, anch’esso economico, sulle opere che contavano di aggiudicarsi per le loro aziende.
Ho sintetizzato un po’ lo schema, perché a volte si trattava di contributi “volontari” – ricordate la distinzione fra concussi e concussori? – a volte si trattava di aperture di credito, mediante le quali ci si voleva assicurare la benevolenza del potere politico-amministrativo per introiti futuri. Però, l’impianto base era sempre lo stesso: i soldi transitavano dagli imprenditori ai partiti e tornavano agli imprenditori tramite “favori”.
Stavolta, invece, il quadro si è pericolosamente allargato, mostrando una fitta rete di corrotti e corruttori che tocca vitali gangli dello stato e delicati presidi della sua incorruttibilità. Accanto a faccendieri vecchi e nuovi, troviamo i soliti politici, ma anche magistrati, finanzieri, banchieri, gran commis. Insomma, uno spaccato terrificante di quanto la cancrena sia progredita in questi vent’anni e ormai coinvolga tutti i settori e tutti i ceti dirigenti del Paese.
Questo “partito della dazione” rischia di rivelarsi trasversale quanto il “partito della nazione” di Renzi, ma senza dubbio più potente e distruttivo. Non sorprende, dunque, che lo stesso premier, dopo aver proclamato sfracelli all’ennesimo scandalo, ci abbia ripensato, abbia riflettuto bene e abbia licenziato oggi un provvedimento legislativo che vorrebbe colpire alle radici il fenomeno. Ci riuscirà?
Non ho ancora avuto l’opportunità di leggermi per bene ogni norma, quindi scusatemi se vado un po’ a memoria. Bene la scelta di Raffaele Cantone (nella foto), bene il conferimento di poteri straordinari, bene la facoltà di investigare tutti i procedimenti d’appalto, di comminare sanzioni, di commissionare aziende. Però, la guerra alla corruzione è anche un fatto di cultura, di mentalità. Lo ha ammesso lo stesso Cantone: non riuscirò certo a impedire la corruzione. Ovvio. Un conto è la repressione, e ci siamo, un conto è la prevenzione e qui c’è ancora molto lavoro da fare.
Ne approfitto per ricordare a Renzi, nella sua veste di segretario del PD e non di premier, che in fase di prevenzione ci attendiamo molto dal suo partito come e più che da tutti gli altri movimenti politici. Sappiamo tutti che la politica è anche esercizio del potere e che il potere attira irresistibilmente ogni genere di trafficoni, come le mosche sul miele. Sappiamo pure che a scongiurare il pericolo non bastano i codici etici e neanche le primarie. Finché prevarrà il principio che i voti si contano e non si pesano, nessuno sarà particolarmente interessato a guardarci dentro per sentire se puzzano. In ogni periferia di questo sfortunato Paese, chi ci abita conosce molte storie, quasi sempre analoghe. Si comincia con il giovane di bell’aspetto e di parlantina sciolta, che si fa spazio e fa gruppo. Poi, allarga i suoi orizzonti e si presenta come candidato a qualche posto. Di lì può iniziare una carriera immacolata, ma anche un’ascesa fatta di favori, di promesse, di schiacciatine d’occhi.
Più passa il tempo e più rischi corre di incistarsi sulle sedie di velluto rosso, incrostando intorno a sé una rete di rapporti che non sa più bene dove volgere, finendo per volgerli verso se stesso. Questo ci hanno rivelato gli ultimi scandali, ma non facciamo finta di cascare dalle nuvole. Come se non si sapesse. Perché, se non si sapeva, allora vuol dire che veramente la politica si è fatta così distante dalla gente da non conoscere o riconoscere più quello che ogni cittadino (onesto) potrebbe dirle facilmente.
Ergo, se si vuole prevenire, i partiti politici aumentino la vigilanza al loro interno. E, magari, anche Cantone si troverà con meno ladri di fronte.